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Rogo di auto a Ospedaletti, in aula parla il padre dell’imputato: «Mi ha detto che non c’entra nulla e io gli credo»

24 aprile 2025 | 15:16
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Rogo di auto a Ospedaletti, in aula parla il padre dell’imputato: «Mi ha detto che non c’entra nulla e io gli credo»

Ascoltato come testimone della difesa, l’anziano ha raccontato la difficile situazione del figlio, che lui ha cercato in ogni modo di aiutare

Imperia. «Ho chiesto a mio figlio se c’entrasse qualcosa con l’incendio, perché sentivo girare delle voci in paese. Mi ha detto che assolutamente lui non c’entrava nulla e gli ho creduto. Anche perché io tutte le sere, tra le 23 e le 24, andavo a casa sua per controllare che prendesse le medicine e che dormisse. Poi, di segni dell’incendio non ne aveva».

A parlare, davanti al giudice monocratico Marta Bossi, è il padre ottantenne di Alessandro Polo, il dipendente comunale di Ospedaletti finito a processo con l’accusa di incendio doloso in quanto, secondo la Procura, la notte del 22 aprile del 2020, in strada Vallegrande a Ospedaletti, avrebbe dato fuoco a tre auto, un furgone e un camper, per la gelosia nutrita nei confronti del proprietario di una delle vetture bruciate, “rivale” in amore. Da quell’auto, le fiamme si sono poi propagate alle auto parcheggiate vicino.

Ascoltato come testimone della difesa, l’anziano ha raccontato la difficile situazione del figlio, che lui ha cercato in ogni modo di aiutare. «All’epoca avevo rapporti abbastanza tesi con mio figlio, perché ho scoperto che era dedito al gioco, beveva un po’ troppe birre e ho anche saputo che usava qualche droga. Ho scoperto che mia moglie sapeva tutto e questo mi ha fatto infuriare, così sono andato via di casa – ha detto l’uomo -. Dal 2018 al 2020, mio figlio è andato in cura da uno psicologo perché anche sul lavoro le cose non andavano tanto bene. Quando ho scoperto quello che faceva, ho deciso di intervenire. Poi nel 2019 è morta mia moglie. Sei mesi dopo, mio figlio ha avuto un infarto, così ho iniziato a seguirlo per fargli fare delle cure perché ne aveva bisogno. Nel frattempo aveva fatto domanda per essere ricoverato in una struttura, per essere aiutato, perché da solo non ce la faceva». Infatti, come emerso nel corso del dibattimento, l’imputato è stato ricoverato in Veneto per circa un mese, nell’autunno del 2020. Pochi mesi dopo l’incendio.

Una mossa, questa, che secondo l’accusa e i legali di parte civile, serviva per allontanare l’imputato, in quel momento al centro delle indagini per l’incendio doloso. Al contempo, inoltre, il padre dell’uomo ha venduto la casa di sua proprietà, a Ospedaletti, dove Polo viveva da solo. «L’ho fatto perché ho scoperto che era pieno di debiti – ha detto il genitore – Ho venduto la casa a 210mila euro e ne ho comprata una a 60mila euro a Vallebona. Mi sono rimasti 14mila euro, il resto l’ho usato per pagare i suoi creditori».

Sul fatto che Polo si sia rasato i capelli il giorno dopo l’incendio (per l’accusa prova che avesse bruciato i capelli e volesse nasconderlo), il padre ha riferito: «Mio figlio ha cambiato spesso pettinatura, era solito tagliarsi i capelli molto corti o rasarseli».

«In paese tutti parlavano di un video che girava sui telefonini – ha aggiunto l’anziano -, Dicevano che poteva essere mio figlio, ma non si poteva riconoscere. In quel momento lui però prendeva una terapia che lo rendeva tranquillo, imbambolato, quindi non ho mai pensato che potesse essere stato lui».

Al termine dell’escussione del teste, il giudice ha rinviato l’udienza al prossimo 6 giugno per ascoltare gli ultimi due testimoni e per la discussione. Poi la sentenza.