Ognuno fa i conti con i dazi suoi. Profumo di Liguria al prezzo d’America

26 aprile 2025 | 06:38
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Ognuno fa i conti con i dazi suoi. Profumo di Liguria al prezzo d’America

Pesto, olio e fiori: cosa cambierà secondo Massimo Bianchi, da sempre vicino al mondo dell’import-export

Imperia. C’è un pezzo di Liguria che ha imparato a parlare inglese. Lo fa con l’accento del basilico DOP, con il profumo dell’olio taggiasco, con i colori delle serre sanremesi. Ma da qualche tempo a questa parte, la voce di questi prodotti incontra un ostacolo all’ingresso: i dazi imposti dagli Stati Uniti dalla presidenza Trump.

A raccontare lo scenario è Massimo Bianchi, amministratore delegato della BRB Production & Trade, che ci accompagna nella comprensione dell’attuale scenario economico con l’esperienza di chi, da sempre, si è occupato delle nostre eccellenze agroalimentari esportandole in tutto il mondo.

Dazi e disputa Airbus: cosa è successo?
«Durante il suo mandato Trump ha introdotto dazi su diversi beni europei – spiega Bianchi – tra cui olio d’oliva, formaggi e vini, come risposta alla lunga disputa sugli aiuti di Stato concessi ad Airbus. La misura, sebbene alleggerita con la presidenza Biden, ha lasciato profonde cicatrici nei rapporti commerciali. E la Liguria, pur minuta, ha pagato un conto salato».

Quali prodotti sono stati colpiti? «L’effetto domino ha investito in pieno le produzioni tipiche del Ponente. L’olio extravergine ligure, già di nicchia e costoso, è diventato meno competitivo. Gli importatori americani si sono rivolti altrove – Tunisia, Grecia – mentre i produttori locali hanno dovuto affrontare maggiori costi logistici e cali nelle esportazioni. Il pesto, pur non direttamente sanzionato, ha subito i rincari degli ingredienti base (Parmigiano, olio) e la prudenza dei distributori americani verso le preparazioni miste. Il risultato? Un’esplosione di produzioni “alla ligure” negli USA, prive dell’identità e della qualità del prodotto originale. Le olive taggiasche, a loro volta, hanno dovuto navigare tra burocrazia e dazi generici applicati alle conserve, perdendo terreno nei circuiti gourmet americani».

E il settore florovivaistico? «Non colpito direttamente, ma danneggiato dagli effetti collaterali – precisa Bianchi – in particolare dall’aumento della sfiducia nei rapporti commerciali e dai costi per spedizioni e controlli doganali». Il distretto florovivaistico di Sanremo, eccellenza ligure, ha visto calare le esportazioni e complicarsi le relazioni con gli USA.

I numeri parlano chiaro. Olio: la domanda americana è cresciuta del 35% dal 2014 al 2024, ma l’Italia ha perso quote di mercato a favore di Tunisia e Grecia. Basilico Genovese DOP: nel 2016 oltre il 50% della produzione certificata (circa 1.700 tonnellate) veniva esportata negli USA. Fiori: negli Stati Uniti il consumo pro capite è ancora contenuto, ma il mercato resta tra i più ampi al mondo, dominato però da produzioni sudamericane.

Quali difficoltà incontra oggi un produttore imperiese?
«Oggi – spiega Bianchi – un produttore si trova davanti a un mercato più competitivo, una burocrazia intricata e la necessità di ricostruire fiducia. Molti importatori, nel frattempo, hanno stretto relazioni stabili con fornitori di altri Paesi. Per i liguri è diventato difficile rientrare».

E cosa rischiamo di perdere, oltre ai numeri?
Molto di più.Un mercato redditizio, dove il prodotto ligure viene venduto a prezzi premium. Una vetrina internazionale che racconta la Liguria al mondo. La continuità agricola: meno export significa meno margini, meno giovani disposti a restare nei campi, rischio abbandono dei terrazzamenti. Un’identità: se il pesto autentico sparisce, resta solo l’imitazione. Un’economia: l’agroalimentare è spina dorsale del Ponente e dell’Italia. Un vasetto di pesto sugli scaffali di New York – conclude Bianchi – non è solo una vendita. È un racconto. Se quel racconto smette di viaggiare, la Liguria diventa invisibile».

E se oggi i dazi sono, in parte, sospesi, il loro effetto a lungo termine continua a pesare. La Liguria, intanto, continua a profumare. Ma a un prezzo che, spesso, l’America non è più disposta a pagare.