Caro canone a Bordighera, anche il Consiglio di Stato dà ragione agli ambulanti

14 aprile 2025 | 18:45
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Caro canone a Bordighera, anche il Consiglio di Stato dà ragione agli ambulanti

I giudici: «L’amministrazione comunale di Bordighera ha introdotto un coefficiente non previsto (e non consentito) dalla legge per arrivare ad una tariffa più alta»

Bordighera. I commercianti del mercato ambulante del giovedì vincono, ancora. Dopo il Tar della Liguria, che aveva accolto il ricorso di Confesercenti e ambulanti contro l’aumento del canone mercatale imposto dalla giunta guidata dal sindaco Ingenito, la sezione settima del Consiglio di Stato, con una sentenza, ha respinto il ricorso proposto dal primo cittadino a nome del Comune di Bordighera.

A impugnare la delibera del 14 novembre del 2023, che imponeva ai commercianti un aumento del 25 percento sulle tasse da versare al Comune, oltre a un ulteriore “coefficiente moltiplicatore” pari a 2,025 e istituita un canone unico per l’occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, erano stati Confesercenti Imperia e i rappresentanti sindacali dei commercianti Roberto Benassi, Giuseppe Piccolo, Fabrizio Sorgi, Giovanni Arangio Febbo e Dennis Benjamin Esposito.

Ad essere contestato, in particolare, il fatto che, avevano denunciato gli ambulanti, «il comune abbia applicato alla tariffa oraria un coefficiente moltiplicatore di euro 2,250», senza alcuna base normativa. In secondo luogo, «i ricorrenti hanno lamentato la violazione e dell’art 1, commi 837, 842 e 843, della legge 160/2019 nella parte in cui la deliberazione impugnata richiamava l’esigenza di assicurare “il pari gettito” – attraverso la previsione del coefficiente moltiplicatore – al fine di garantire al comune il medesimo gettito derivante in passato dai contributi soppressi con l’introduzione del nuovo canone, sennonché, il ragionamento dell’ente avrebbe contrastato con le citate disposizioni di disciplina del canone, che non contengono alcun riferimento al “pareggio di bilancio” quale parametro utilizzabile per determinare le tariffe». Infine, secondo quanto sostenuto dai commercianti, e avvalorato dal Tribunale amministrativo regionale, nell’applicare le nuove tariffe al rialzo, il Comune ha violato «l’art 1, commi 837 e ss., della legge n. 160/2019 in combinato disposto con il comma 817 dello stesso articolo. Nello specifico, il comma 817 si applicherebbe esclusivamente al canone patrimoniale di concessione, autorizzazione ed esposizione pubblicitaria, ma non a quello mercatale, introdotto dal successivo comma 837, che si applicherebbe in deroga alle disposizioni di cui al comma 838, e la cui tariffa sarebbe integralmente disciplinata dai commi 842 ed 843».

Il comportamento dell’amministrazione comunale era stato ritenuto illegittimo dal Tar in quanto «la fissazione di una tariffa di euro 0,657» è stata ottenuta «applicando un ulteriore coefficiente moltiplicatore di 2,250 non previsto dalla legge». Inoltre, «Il TAR ha altresì ritenuto la medesima tariffa illegittima in quanto la sua applicazione determinerebbe una tariffa giornaliera superiore a quella determinabile nel limite di incremento del 25% ammesso dalla legge».

La giunta Ingenito ha deciso di fare ricorso contro la sentenza di primo grado, perdendo però anche in Consiglio di Stato, che nero su bianco, dopo aver analizzato la vicenda dal punto di vista normativo, scrive che «l’amministrazione comunale ha cercato di sterilizzare tale scelta (seguire la risoluzione del Mef nella parte in cui era previsto il criterio corretto per applicare il menzionato comma 843, ndr) introducendo un coefficiente non previsto (e non consentito) dalla legge per arrivare ad una tariffa più alta». «Tale metodo – scrivono i giudici – Risulta essere illegittimo perché una volta stabilita la tariffa sulla base dei criteri indicati dal Mef e, si ripete, condivisi dall’amministrazione appellante, l’aumento era possibile solo nella misura del 25 % senza poter prima applicare coefficienti ulteriori».

«In conclusione – sentenzia il Consiglio di Stato – L’appello non può essere accolto nel merito, potendosi tralasciare di esaminare la proposta eccezione di inammissibilità per genericità delle deduzioni. Infatti, da quanto sopra evidenziato è emerso che l’amministrazione ha seguito formalmente il criterio indicato dall’Amministrazione finanziaria per poi applicare un coefficiente di aumento non avente fondamento nella disciplina di riferimento». «La complessità e non univocità della questione controversa giustifica, tuttavia – conclude – La compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio».