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Migranti a Ventimiglia, l’allarme lanciato dalle associazioni: «In settanta abbandonati sotto al ponte»

20 marzo 2025 | 13:47
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Molti hanno problemi psichiatrici e psicologici, sono facili prede di dipendenze. Richiesta convocazione del tavolo sulle vulnerabilità in Prefettura

Ventimiglia. Sono tra i sessanta e i settanta i migranti, anche se chiamarli così è improprio, che vivono sotto il cavalcavia di Roverino, sul greto del fiume Roja che costeggia via Tenda. Alcuni hanno già un lavoro, ma non trovano un alloggio, altri invece attendono da mesi di vedersi riconoscere l’asilo in Italia. Altri sono soggetti cosiddetti vulnerabili: le guerre dalle quali sono fuggiti, il viaggio doloroso e difficile per giungere sulle coste italiane e la vita ai margini ne ha piegato l’esistenza, fin quasi a spezzarli.

Nonostante la diminuzione degli sbarchi (-60 percento nel 2024 rispetto all’anno precedente) e nonostante la sentenza del Consiglio di Stato francese che ha dichiarato illegittimi i respingimenti attuati dalla Francia alle frontiere con l’Italia, a Ventimiglia la situazione resta delicata. Forse addirittura più di prima.

E’ questo il quadro che emerge dal report “Ventimiglia ai margini“, redatto da Caritas Intemelia, Diaconia Valdese, Medici del Mondo e WeWorld. Le richieste alle istituzioni non sono molte, ma fondamentali per i progetti di accoglienza e integrazione. In primis c’è necessità di strutture di accoglienza temporanea, come il Pad (Punto di accoglienza diffuso) già aperto dalla prefettura ma solo per donne e bambini, che in totale rappresentano il 10 percento delle persone presenti a Ventimiglia. Garantire l’accesso alle cure sanitarie ridurre le barriere culturali e sostenere il terzo settore, supportando le associazioni al fine di ottimizzare le risorse disponibili completano il quadro.

«Nel 2024 il numero delle persone in movimento è calato notevolmente – dichiara il direttore della Caritas Maurizio Marmo – Constatiamo comunque la presenza di persone che si fermano a Ventimiglia e che hanno bisogno di un aiuto e di un supporto ulteriore: sia persone che richiedono un asilo, ma l’inserimento nei Cas di solito richiede tre o quattro mesi, quindi rimangono sulla strada, sia persone che sono in situazioni di difficoltà più grave, perché comunque hanno vissuto dei traumi magari nei Paesi di provenienza, ma anche durante il viaggio e quindi sono in maggiori difficoltà e quindi richiedono un aiuto e un supporto ulteriore. Abbiamo anche però di tante persone che sono inserite anche nel mercato del lavoro locale ma che non trovano un’abitazione e quindi sono costrette anche loro a rimanere sulla strada. Situazioni diverse per le quali pensiamo sia necessario trovare delle soluzioni, delle risposte specifiche e adeguate».

«Nel 2024 c’è stato un cambio di contesto molto forte, derivante dall’implementazione degli accordi tra Italia e Tunisia – ha detto Jacopo Colomba (WeWorld) – Quindi la rotta Tunisia è stata fortemente ridotta, ed è stata invece la rotta principale nel corso del 2023. Gli sbarchi sono, quindi, diminuiti dal 60 per cento e come conseguenza, quasi diretta, abbiamo registrato una forte flessione delle presenze a Ventimiglia e anche dei respingimenti alla frontiera franco-italiana. Un altro fattore che incide sicuramente è questa sentenza del Consiglio di Stato francese del febbraio 2024, che ha reso i respingimenti, oggi riammissioni, più complesse da parte delle autorità francesi. Al tempo stesso, però, quello che constatiamo è che i problemi sono multidimensionali, perché si tratta ormai di persone con più traumi e bisogni molto difficili da affrontare. Quindi non è più un transito rapido, veloce, come è stato soprattutto nei primi anni di chiusura della frontiera, nei primi tre anni, ma si tratta di persone che hanno già avuto fallimenti migratori, traumi nel viaggio, nei Paesi di transito e anche in Italia e nei Paesi europei, che in alcuni casi li rimandano proprio sul suolo italiano a causa degli accordi di Dublino. Quindi sono persone isolate socialmente e che in molti casi presentano delle vulnerabilità complesse dal punto di vista soprattutto mentale».

Tra le nazionalità più rappresentate, ha aggiunto Colomba, «a livello di nuovi arrivi di persone in puro transito c’è sicuramente una componente del Nordafrica, ma anche le tradizionali nazionalità dell’Eritrea, dell’Etiopia e del Sudan. Sono Paesi ovviamente coinvolti in conflitti, sotto dittatura in molti casi, quindi continuano a giungere in Italia. A livello, invece, della popolazione più stanziale le nazionalità sono molteplici. Si va dall’Africa subsahariana, Paesi come Nigeria e Gambia, fino al Nordafrica e a paesi del Corno d’Africa. In particolar modo c’è una comunità di somali, che sono già stati considerati rifugiati a tutti gli effetti, ma che purtroppo hanno grosse difficoltà in termini di integrazione e che in molti casi sono portatori di dipendenze».

«In questo periodo storico – ha affermato Costanza Mendola (Diaconia Valdese) – Ci occupiamo di dare orientamento e assistenza a persone ormai stanziali sul territorio per varie ragioni. Nello specifico, sono persone che magari hanno già esaurito tutta una serie di percorsi migratori in Europa, ma anche in Italia. Ci siamo messi in rete, abbiamo cercato di dare una risposta il più integrata possibile, a partire dalla regolarizzazione sul territorio, quindi un’assistenza socio-legale a un’assistenza lavorativa. Ci occupiamo anche di orientamento e ricerca del lavoro, perché parliamo prevalentemente di persone regolari sul territorio e recentemente, all’interno dello stesso progetto, anche di orientare sotto un punto di vista abitativo che è un tema molto difficile, delicato anche per persone italiane, quindi lo è ancora di più per persone straniere».

Il problema maggiore è quello della mancanza di alloggi, ma ci sono anche altre difficoltà da affrontare. «Molte delle persone – aggiunge Mendola – Portano vulnerabilità specifiche, quindi di carattere psichico, mentale, piuttosto che di abuso di sostanze stupefacenti o alcol. Quindi abbiamo anche attivato o una sorta di referral sanitario per cercare di metterci in rete anche con le forze sanitarie del territorio per far fronte a una situazione che diventa pericolosa per i cittadini, poco serena per chi vive sul territorio, ma per tutelare anche la popolazione emigrante che comunque c’è, esiste. Cerchiamo quindi di essere presenti, di fare dei percorsi integrati, così li chiamiamo, che prendano forma sulle singole persone cercando di inserirci laddove possiamo: quindi sulla regolarizzazione con dei referral specifici per appunto casi sanitari, per metterli in contatto con la domanda di affetta lavorativa e provare a lavorare con il territorio anche, assolutamente».