Dalla botola segreta dei Pellegrino all’assessore che ritratta per paura: questa è la ‘Ndrangheta a Ponente

Il quadro tracciato dal procuratore della Repubblica di Imperia Alberto Lari
Diano Marina. «Andando a scorrere velocemente la sentenza de “La Svolta” (2017, ndr), cosa ci dice: abbiamo due locali di ‘ndrangheta, a Ventimiglia e a Bordighera. Che reati commettono? Usura, estorsione, droga, armi. Alle elezioni condizionamento del voto, sia alle elezioni regionali che alle elezioni del Comune di Vallecrosia (2012). Appalti, una serie di appalti che sono stati fatti violando le normative per favorire l’associazione criminale. Abbiamo un tale potere diffuso da parte di alcuni soggetti che quando le persone subiscono un reato, per andare a trovare chi è stato ci si rivolge al mafioso. Sembra di essere nel paesino della Sicilia e della Calabria: mi hanno rubato la macchina e anziché andare dai carabinieri, vado dal mafioso che mi deve trovare chi è stato. Quando avviene il famoso omicidio giù in Calabria, che poi l’omicida scappa e va a Mentone, a Ventimiglia gli danno il supporto logistico al killer: parte un killer dalla Calabria e viene in Liguria e viene ospitato a Ventimiglia. Gli forniscono il supporto logistico perché lui ha una missione: deve ammazzare la persona che ha ammazzato il mafioso. E lo nascondiamo qua, lo teniamo qui a casa delle persone condannate per associazione mafiosa».
Ha tracciato un quadro dettagliato della presenza mafiosa nel Ponente ligure, il procuratore della Repubblica di Imperia Alberto Lari, che ieri pomeriggio è stato relatore alla conferenza “La mafia nel Ponente Ligure”, che si è svolta presso la sala consiliare del Comune di Diano Marina.
Un quadro delineato dalle sentenze, divenute definitive, che hanno portato alle condanne degli esponenti della ‘ndrangheta tra Ventimiglia e Bordighera, al termine di un’indagine iniziata nel 2010, che si è conclusa due anni dopo con la retata che ha coinvolto duecento carabinieri, un elicottero e che ha portato all’arresto di quindici persone, tra cui il presunto boss Giuseppe “Peppino” Marcianò.
Anche se si tratta di elementi noti, soprattutto agli addetti ai lavori, il racconto di chi le indagini le ha svolte, come il procuratore Lari, apre gli occhi su una provincia in cui la mafia è profondamente radicata. «Quando facciamo i sequestri a casa dei Pellegrino – ha ricordato il magistrato – Troviamo i nascondigli e le botole. Troviamo che è stato disposto all’ingresso della casa un armadio a doppio fondo in maniera tale che sembra la porta del muro, la apriamo e dietro c’è un nascondiglio introvabile per latitanti. Troviamo che al piano di sotto c’è un appartamento segreto per i latitanti. Quindi non è che diciamo “forse favoriscono i latitanti”. No: creo una villa in maniera tale che ci siano delle strutture per ospitare i latitanti». Queste cose, ha sottolineato, «succedono nel nostro territorio e questi hanno aspettato non il latitante che ha fatto la rapina al supermercato: stiamo parlando di latitanti di ‘ndrangheta. Quindi vuol dire che io sono talmente inserito nella ‘ndrangheta che ospito i latitanti. E i latitanti si fidano di me. Queste cose abbiamo».
Mafia e politica. «Ad esempio abbiamo, e mi dispiace anche, un coinvolgimento che poi nel processo è stato dimostrato e non dimostrato, della politica – ha affermato Lari -. Abbiamo sicuramente dimostrato nelle sentenze che anche la politica ha subito delle minacce, e nel subire queste minacce dispiace vedere poi che quando c’è stato il processo queste minacce sono state un po’ alleggerite. Perché io leggo, citando la sentenza, “dal contenuto della deposizione è possibile dedurre che la stessa marcata ritrattazione effettuata dagli assessori in dibattimento, costituisca riprova della pesante valenza intimidatoria delle visite fatte dagli imputati, evidentemente andata a buon segno”. Lo dice la sentenza. Vuol dire che c’è stato un assessore che si è presentato davanti a un tribunale, ha ritrattato le sue precedenti dichiarazioni perché intimidito».
Omertà. «Abbiamo testimoni che non vogliono presentarsi davanti al giudice – prosegue il procuratore – Stiamo parlando di un processo che si è tenuto nel tribunale di Imperia (La Svolta, ndr). Un testimone chiamato a testimoniare nel processo contro i Pellegrino, dice: “Avrò bisogno della guardia del corpo, dovrò testimoniare contro i Pellegrino. Non ci voglio andare in tribunale. La sera al comando dei carabinieri ho dovuto dire la verità, ora quelli mi fanno fuori, è gente mafiosa, io non ci voglio andare domani, voglio stare fuori da questa storia. Io ho la mia vita e voglio sia tranquilla, ho già tanti problemi”. Poi uno dice perché sono stati condannati per associazione mafiosa, i Pellegrino».
E ancora: «Poi abbiamo prove della protezione data ai commercianti: “Vuoi lavorare, ti do la protezione. Non vuoi la protezione non lavori”. Proprio conversazioni chiare, stiamo parlando di Ventimiglia. E poi c’è tutta una parte della sentenza in cui si parla del metodo mafioso: il controllo del territorio, come ho detto le richieste di protezione, l’aiuto nel recupero dei crediti. Cioè hai un credito, non ti pagano, vieni da me, ci penso io. Non vai dall’avvocato, vai dal mafioso. “Non riesco a farmi liberare la casa”, “tranquillo vieni da me, ti fascio lasciare la casa”. “Mio figlio non trova lavoro”, “tranquillo, te lo trovo io, sono un mafioso”. “Le banche non mi prestano i soldi”, “tranquillo, ci penso io, vieni da me, te li presto io”. Addirittura al cimitero non c’è il loculo, “non ti preoccupare”, sempre i Marcianò, “te lo trovo io il posto al cimitero”. Capite che quando una persona ha un potere a 360 gradi che qualunque cosa è in grado di farla, altro che il sindaco, questo è il re del paese. E questo vive a Ventimiglia, poi capite perché sono stati condannati per associazione mafiosa: perché c’erano tutta questa serie di elementi che dimostravano un radicamento sul territorio e un potere assoluto».
I riti della ‘ndrangheta. «Abbiamo in questi processi dimostrato anche di riunioni di mafia. Poi tra l’altro, nelle riunioni al nord utilizza termini arcaici che utilizzava la vecchia ‘ndrangheta. Io che ho avuto la fortuna di essere il pubblico ministero che ha gestito questa parte di indagine che riguarda Maglio 3, ed è la famosa riunione che viene a Bosco Marengo, in Piemonte, nella quale si forma una locale di ‘ndrangheta, una società minore. Ho fatto un salto sulla sedia quando mi hanno portato la trascrizione, perché queste persone parlavano come nei film. Perché la forza della ‘ndrangheta è proprio in questo rituale, questo linguaggio è sacro: ogni tua parola ha un significato. “Noi ci siamo riunioni”, “Michele è della minore”, “Il locale è battezzato, ci sono loro”, “Siete in regola, si forma la società minore”. Queste le intercettazioni che abbiamo. Proprio questo rispetto delle regole è la loro forza».
Sanremo, l’indagine della combine al Casinò. «Non è un caso che adesso dalle indagini che stiamo facendo su tutte le truffe, che ci sono a miliardi, del “finto maresciallo” ecc, ci viene sempre fuori che c’è il telefonista napoletano, ci viene fuori che dentro c’è la Camorra: perché è ovvio, se un reato comporta centinaia di migliaia o milioni di utili, dietro c’è la camorra. Se noi abbiamo fatto qualche anno fa un’indagine con la squadra mobile al Casinò di Sanremo, dove truccavano le carte e riuscivano in questo modo a guadagnare centinaia di migliaia di euro, abbiamo visto che gli imputati principali avevano rapporti con la camorra e con la ‘ndrangheta. Perché la logica ci vuole in queste cose: non è possibile che si trattino affari di questo rilievo senza avere una copertura. Poi nel processo bisogna dimostrare qual è la copertura e chi sono i soggetti, però noi dobbiamo fare uno sforzo ed analizzare in maniera critica questi fatti, in maniera logica, e dargli il giusto peso. Quindi mai banalizziamo i fatti».
La ‘ndrangheta. «Dobbiamo tener presente che centinaia di sentenze ormai ci dicono che la ‘ndrangheta è l’associazione mafiosa più pericolosa del mondo, la più potente del mondo, che ha delle regole ferree, che non si può uscire dalla ‘ndrangheta, che se tu la tradisci muori, che visto che c’è un forte vincolo familiare, perché ci sono le famiglie storiche, è quasi escluso il fenomeno del pentitismo perché tu dovresti accusare tutti i parenti: ci sono pochissimi pentiti all’interno della ‘ndrangheta. C’è un vincolo indissolubile tra gli associati, e quindi a questo punto ogni frase che io dico nel momento in cui sono stato condannato per mafia, ogni mia frase ha un rilievo enorme, perché io sto parlando, muovendomi all’interno di queste regole. Se io posso dire “ti ammazzo”, magari in un momento di rabbia, detta da un mafioso ha un significato completamente diverso, soprattutto se detta all’interno di un contesto che viene molto ben definito». «Dobbiamo tener presente che se l’associazione è così potente, quando ci emerge questa associazione il fatto diventa di per sé gravissimo. E cioè: io non posso avere un rapporto con una persona di ‘ndrangheta, non devo avercelo, perché nel momento in cui so che questa persona fa parte di questa associazione che ha queste regole (cioè, tu mi tradisci io ti ammazzo, ecc), io con questa persona non ci posso e non ci devo parlare, non devo avere a che fare mai».