Non è un paese per vecchi, «azzerare la movida, vietare la musica»
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Lettera shock di un residente al Comune. Ma in piazza Bresca chi si lamenta è una strenua minoranza. Avanti con il progetto di filodiffusione
Sanremo. Passato l’ennesimo Festival dei record, la Città dei fiori torna a fare i conti con il mugugno quotidiano. L’ultima richiesta a dir poco paradossale è stata recapitata a Palazzo Bellevue negli ultimi giorni. L’oggetto: vietare la musica in pubblico. Una “proposta” sottoscritta proprio durante la settimana clou della kermesse, mentre migliaia di persone affollavano le vie del centro, tra concerti, eventi e dirette televisive.
La lettera, firmata dall’avvocato Renato Alberti, in rappresentanza dei comitati cittadini contrari alla movida in piazza Bresca, piazza Sardi e lungomare Trento Trieste, chiede “l’azzeramento di ogni autorizzazione all’esecuzione di musica in aree pubbliche e in centro città” fino a quando il Comune non sarà in grado di garantire “un controllo serio ed effettivo delle immissioni dei locali pubblici in danno dei residenti”. Insomma, nella città che ospita la più importante manifestazione della canzone italiana, c’è chi vuole mettere il bavaglio alla musica stessa.
Il tema della convivenza tra locali e residenti non è nuovo e negli ultimi anni ha acceso un flebile dibattito. È evidente che chi vive nei pressi delle aree più frequentate possa subire disagi dovuti al rumore, ma è altrettanto vero che piazza Bresca e piazza Sardi sono da qualche decennio luoghi di socialità e svago, a cui manca solo l’identificazione con un brand turistico. Chiunque abbia fatto un giro in piazza Bresca durante l’ultima settimana di Festival avrà notato un piccolo dettaglio: la stragrande maggioranza degli alloggi è chiusa, vuota, una seconda casa per villeggianti occasionali. Gli abitanti effettivi che si affacciano sulla piazza si contano sulle dita di una mano, eppure sono loro a condurre questa battaglia contro uno dei cuori pulsanti della movida matuziana.
A riaccendere la polemica è stata la presenza a Sanremo del Doom District, lo spazio creato da un gruppo collegato a Fedez all’interno di un ristorante di piazza Sardi. Per alcuni giorni, la crew ha utilizzato il locale come base operativa, tra dirette social ed eventi con ospiti. Le proteste non si sono fatte attendere: sui balconi di un alloggio sono comparsi cartelli con scritte come “Più scuola e meno DJ” e “Meno affari, più rispetto”, e il Comune è intervenuto per ridurre i volumi. Per evitare che la situazione degeneri in una guerra senza fine, il Tavolo del commercio, istituito dall’assessore Lucia Artusi, ha avviato un dialogo con i gestori dei locali, i quali si sono detti disponibili a installare un impianto di filodiffusione a proprie spese. Questo sistema permetterebbe di regolare i volumi e contenere i decibel, cercando un compromesso tra le esigenze dei residenti e quelle della città.
Rimane il fatto che la richiesta di vietare la musica nelle aree pubbliche è così surreale che sembra uscita da una sceneggiatura di un film dei fratelli Coen. Il rischio, però, è che questa battaglia si trasformi in un precedente pericoloso. Quale sarà il prossimo passo? Un Festival muto? Il dialogo tra residenti e locali è necessario, ma il punto di equilibrio non può essere la cancellazione della movida. Perché Sanremo senza musica non è Sanremo. E forse qualcuno dovrebbe ricordarselo.