Giorno del ricordo, Vallecrosia commemora le vittime delle foibe
Fondamentali le testimonianze di Nico Franzutti e Don Karim, esuli di seconda generazione
Vallecrosia. Si è tenuta questa mattina, presso la stele sita nella piazza della stazione di Vallecrosia, la celebrazione del Giorno del ricordo volta a commemorare le vittime delle foibe, nonché dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra.
Presente all’evento l’amministrazione comunale, il sindaco di Camporosso e l’assessore alla cultura Gibelli e Gastaldo, le scolaresche, le autorità civili, militari e religiose, i consiglieri regionali Biasi e Russo, il generale Marcello Bellacicco nonché due esuli di seconda generazione: Nico Franzutti e don Karim che, nel corso della celebrazione hanno raccontato la storia delle loro famiglie.
«Mio padre e mia nonna furono tra i protagonisti di questi momenti difficili e dopo questo tremendo esulo arrivarono qua», dichiara Franzutti che ha aggiunto: «Mio papà Aldo e mia nonna Emilia erano profughi della città di Pola che abbandonarono a loro malgrado, spinti dalla paura e dal terrore per le azioni che gli uomini al seguito di Tito operavano contro uomini, donne, giovani e anziani che erano italiani. Gettavano le persone, anche giovanissime, nelle foibe: cavità naturali che si trovano nella zona Carsica. La parola ricordo non deve essere dimenticata: mio papà e mia nonna nella disperazione di quei momenti furono più fortunati di tanti altri esuli. Infatti, seppur in tempi diversi loro furono accolti qui a Camporosso dalla fidanzata di mio papà che poi sarebbe diventata mia mamma.
«Purtroppo, al contrario dei miei, fu molto più difficile il destino di tante altre persone che invece furono ospitate in sistemazioni provvisorie come i campi profughi che poi, provvisori non furono: persone rimasero lì per 10, anche 20 anni. Naturalmente, le condizioni di vita erano difficilissime».
Don Karim, invece ha testimoniato: «Io mi trovavo in Iran, cosa centra con laggiù? La mia mamma era di là, ma io non lo sapevo. Mi incomincia a raccontare qualcosa però non ne parla mai. Poi, noi, tra fratelli e sorelle, siamo in cinque, più altri due cugini, siamo in sette abbiamo ricostruito la storia di mamma e della mia nonna: lei è nata a Laurana, un piccolo paesino sito tra Pola e Trieste. Anche se, l’origine di mia nonna è quella della Boemia: è austroungarica, si è trasferita perchè suo padre faceva il professore universitario a Trieste. Mia nonna è cresciuta lì e si è sposata con un uomo di Laurana, un comandante di nave mercantile e avevano una vita felice, finchè arriva la guerra. l’8 settembre 1943, momento in cui c’è l’armistizio, mio nonno viene arrestato: era un civile, ma viene portato via come prigioniero dai tedeschi nei campi in Polonia. La nonna continua ad andare avanti speranzosa però si accorge che la situazione sta peggiorando e decide di andare a Trieste. La nonna però, vede che la situazione sta sempre peggiorando e, avendo degli amici a Bolzano, riesce a partire e intanto, lascia tutto: alberghi, case. Proprio sullo stile di quello che vediamo, i profughi», e ha aggiunto:
«Per quattro o cinque anni sono stati a Bolzano: sono salvi, contenti e felici. Qui riescono a riportare anche il nonno: era molto deperito e in condizione grave e dopo qualche tempo, riprese le forze. Mi fa piacere raccontare questa storia personale della mia famiglia, sono storie brutte è un ricordo che ci deve stimolare ad andare avanti nella fraternità e se queste cose non ci fossero state io oggi non ci sarei stato. Perciò una disavventura porta comunque dentro di sè i semi di speranza che devono essere colti: anche quando tutto va male, non dobbiamo disperare, perchè la speranza va oltre la vita stessa che viviamo».
Durante la celebrazione, inoltre, è stato fondamentale l’intervento del generale Bellacicco che si è rivolto, in particolare, agli alunni presenti: «Ormai è un appuntamento per me oserai dire fisso. Credetemi, oltre ad essere un piacere è un grandissimo onore. Devo dirvi ragazzi, è un privilegio per me poter parlare con voi. Io mi limito solo a dirvi tre parole, tre concetti: monumento, ricordo e coraggio.
Monumento: i monumenti, quando li vediamo, non sono qualcosa di fini a loro stessi, sono qualcosa messi dalle persone che vogliono ricordare qualche altra cosa: altre persone, altri eventi. Quando passiamo davanti a un monumento soffermiamoci un attimo cerchiamo di capire perché è lì. I monumenti sono in funzione del ricordo: che cosa dobbiamo ricordare? Si possono ricordare le cose belle che è la cosa più semplice in assoluto che si possa fare, e ci sono anche le cose brutte. Ricordarle è più difficile perchè quando ci sono le cose brutte si tende a rimuoverle, non tenerle presenti per vari motivi: ipocrisia, sottovalutazione di quello che è stato, tanti motivi diversi. Per ricordare le cose brutte ci vuole soprattutto coraggio perchè una cosa brutta, in fin dei conti è quella che insegna più di altre cose del non fare gli stessi errori nella vita. La cosa brutta, è qualcosa che ti deve portare a riflettere, è qualcosa che bisogna cercare di non ripetere. Per ricordare le cose brutte ci vuole il coraggio di farlo. Il mio invito è quello di avere sempre il coraggio di ricordare anche le cose brutte, perchè proprio da loro derivano gli insegnamenti per quello che avremo davanti e per il nostro futuro».
A prendere parola, infine, il sindaco facente funzioni Marilena Piardi: «Quando si hanno testimonianze dirette arriva veramente la sofferenza che questo popolo ha dovuto subire. Personalmente, sono stata con le scuole di Vallecrosia, accompagnata dal gruppo alpini e da un amico di Trieste che ora non c’è più, in un campo di concentramento perchè Trieste ha due caratteristiche, ha vissuto veramente due realtà: campo di concentramento e foibe, per cui ha vissuto le due realtà più nere, scure e buie della nostra politica e dei nostri colori politici. Spero ci sia la possibilità di fare nuovamente un viaggio di questo tipo per ripercorrere la storia dell’Italia: è stato impressionante vedere le persone piangere per i propri cari: è un passato, ma un passato recente.
Non è un passato troppo lontano e, al giorno d’oggi, guardando la cronaca attuale, si vedono ancora dei popoli che vogliono avere la supremazia su altri e la speranza che condivido con don Karim è che veramente le persone trovino quella che è la dimensione umana e che trovino la pace. Rivolgendomi agli studenti, che sono il nostro futuro, sono quelli che possono fare la differenza, spero comprendano il valore della libertà e comprendere cosa significa, in questo caso, essere italiani. Ringrazio tutte le autorità presenti, le associazioni combattentistiche, la polizia locale e soprattutto gli alpini, che nel 2019 hanno permesso di dedicare la piazza alle foibe, grazie anche al sindaco di Camporosso, nonchè i consiglieri regionali e tutti i presenti. E’ un momento di unione e non di condivisione, non ci sono vittime nere o rosse o vittime di serie A o di serie B».
Giuseppe Turone invece, ha affermato: «Come alpini siamo orgogliosi di aver dato a Vallecrosia, nel 2019, questo luogo da dedicare ai martiri delle foibe».