A Ventimiglia la manifestazione per ricordare i 49 migranti morti per attraversare il confine
“Chiudiamo i Cpr, apriamo le frontiere” il grido lanciato dai presenti tra i quali anche chef Rubio
Ventimiglia. Si è tenuta questo pomeriggio, presso il valico di frontiera di Ponte San Ludovico, la manifestazione pacifica per ricordare i 49 migranti che dal 2015 hanno perso tragicamente la vita nel tentativo di attraversare il confine francese e cercare una vita migliore di quella che si stavano lasciando alle spalle.
“Chiudiamo i Cpr, apriamo le frontiere“, questo il grido lanciato dai presenti, tra questi anche Gabriele Rubini, alias chef Rubio, che, dopo aver letto e dipinto i nomi dei giovani deceduti su alcune lastre di pietra, hanno poi acceso candele e lumini dando vita a un momento di raccoglimento e riflessione.
«Sebbene alcuni fossero amici o familiari conosciuti all’interno della comunità di Ventimiglia, la maggior parte di queste persone era sconosciuta a chi è in città e a chi oggi è qui presente, alcune persone che vivono in questo territorio hanno cercato di rintracciare i loro nomi e le loro identità, ma ogni persona che qui viene commemorata ha vissuto un pezzo della sua vita, proprio in questo territorio. Non possiamo sapere cosa abbia portato qui ciascuno di loro, possiamo solo immaginare una fetta del prezzo dell’arrivo sulle coste europee. La perdita di cui questo mare e questa terra sono stati testimoni lascia il suo eco nei cuori e sui corpi di innumerevoli persone rimaste alle loro spalle. Alcune persone oggi presenti conoscono bene questo dolore, altre possono solo sforzarsi di immaginarlo – sono state le parole pronunciate in un discorso dagli attivisti – . Sappiamo bene, però, che queste morti, come quelle di tante altre persone in altre parti del mondo, erano del tutto evitabili se non fosse per i rappresentanti degli Stati europei e chi fa affari con loro, se non fosse per mantenere saldi gli antichi e sempre attuali canali coloniali della ricchezza, se non fosse per l’egemonia dell’Occidente sul resto del mondo. Non ricordiamo questi morti come vittime di una tragica circostanza. Li onoriamo come persone la cui stessa esistenza entro i confini dell’Europa non è stata una coincidenza o un delitto, ma un’impresa, un successo ottenuto alla faccia della retorica razzista, nonostante i controlli aumentati, i muri, le recinzioni e i porti chiusi, le porte chiuse, la burocrazia».
«Oggi qui non temiamo una distopia imminente; siamo ben consapevoli di vivere già in una distopia – hanno proseguito gli attivisti – . Ricordiamo la chiusura delle frontiere di Schengen, dieci anni fa. Ricordiamo quando lo stato di emergenza è stato prorogato ancora, e ancora. Alcuni di noi, dei nostri genitori e nonni ricordano le devastazioni della guerra. Non possiamo non vedere i parallelismi tra ciò che si apprende dai libri di storia e ciò che si ripete oggi. Non possiamo ignorare i record che vengono infranti in questo momento storico, i limiti che vengono superati. Ora, più che mai nella nostra storia, le specie sono portate all’estinzione. Ora, più che mai c’è un bisogno globale di aria pulita, acqua potabile e cibo sano che continua ad essere ignorato. Ora, più che mai nella storia dell’umanità, più persone sono disperse a livello globale a causa della guerra, della devastazione ecologica, dell’insicurezza economica o di un macabro mix di tutte queste cose.
Forse per alcuni c’è una piccola consolazione nel ricordare che la storia dell’umanità è ciclica, che ciò che sale deve scendere. Nulla dura per sempre. Quanto può peggiorare prima di migliorare? lo trovo pertinente ricordare a noi stessi che la disperazione, l’imbarazzo, la rabbia, il senso di colpa, l’intorpidimento, sono conseguenze purtroppo normali di una società fondamentalmente malata. Non possiamo ignorare ciò che sta accadendo, non possiamo non vedere la corruzione che ci circonda nella nostra vita quotidiana, e quindi dobbiamo gestire le emozioni dolorose. Sono il vapore che alimenta il nostro motore per andare avanti di fronte alla tragedia, alla perdita, ai palesi torti subiti. Forse potrei parlare solo per me, ma so che io e altri troviamo conforto nel trovare luoghi di resistenza contro il presente, nel mantenerli. Abbattere ciò che non funziona al presente, per fare spazio, per sollevare il futuro.
È più che mai necessario forgiare e rafforzare le reti di persone disposte a portare avanti il futuro. La nostra strada non sarà lastricata con il sangue degli altri. Non guarderemo ciecamente alle ricchezze che sono state confiscate ad altre terre, altri fiumi, altri popoli, e che vengono accaparrate qui, in Europa. Diamo il benvenuto a tutti coloro che non riescono a rimanere sordi al suono delle grida e delle sirene in lontananza, che non guardano sullo schermo i villaggi in fiamme, le città ridotte in macerie, i volti dei bambini coperti da teli bianchi, le famiglie separate e parcellizzate, tutto il fuoco che imperversa e consuma e vomita fumo, senza quella sensazione acida di disperazione, la nausea dell’inazione. Diamo il benvenuto a tutti coloro che vedono, sentono, annusano, toccano e assaggiano questo disastro e che interpretano questi sensi come una chiamata all’azione. Siamo qui insieme perché ricordiamo, non dimentichiamo, non ci adagiamo, non ci arrendiamo. Non accettiamo il mondo così com’è attualmente. Siamo qui per ricordare le persone morte, per onorare la loro lotta continuandola. Siamo qui, a cucire insieme il tessuto della resistenza, e continueremo a farlo finché non arriverà il momento di far emergere il nostro futuro dalle ceneri, insieme».
L’ultimo decesso risale allo scorso 12 gennaio quando, proprio tra gli scogli attigui al valico di frontiera, è stato rinvenuto il corpo di un giovane migrante, Jonas, i cui funerali si terranno sabato 8 febbraio presso il cimitero di Roverino dove verrà sepolto poiché la famiglia non può economicamente permettersi di far rientrare la salma nel paese d’origine. Le associazioni e i famigliari hanno chiesto di poter usufruire del “funerale di povertà” che prevede che sia il Comune a farsi carico dei costi della cerimonia funebre ma, a detta degli attivisti «purtroppo il Comune di Ventimiglia, che ha normalmente la responsabilità dei funerali per le persone senza risorse, ha scelto di scaricare questa responsabilità sulla famiglia di Jonas che deve pagare 1250 euro per la sepoltura. Abbiamo semplicemente chiesto che fosse accompagnato in questo momento da una cerimonia, che non fosse sepolto da solo». Per questa ragione è stata lanciata una raccolta fondi per aiutare la famiglia del giovane in questo momento difficile: «Siete benvenuti se vorrete rendergli omaggio», hanno concluso gli attivisti. A queste dichiarazioni il Comune ha prontamente replicato: «Sono stati rintracciati i parenti che sono arrivati a Ventimiglia. In questi casi, non essendo a carico dei servizi sociali, le spese sono a carico loro o delle associazioni. Nel caso non pagassero faremo noi il funerale, ma poi chiederemo il rimborso».
