Da Bordighera a Mayotte, Philippe Lagarde sopravvive all’uragano Chido
«Ha distrutto tutto, il mio tetto è stato sradicato: non so come mai non sono stato portato via»
Bordighera. Partito lo scorso agosto per un’esperienza lavorativa all’estero, Philippe Lagarde, 48 anni, conosciuto nella città delle Palme grazie a uno studio dentistico e ai molti anni trascorsi a Bordighera, ha dovuto affrontare uno dei fenomeni atmosferici più potenti che si possano verificare: il ciclone tropicale.
Giunto a Mayotte, territorio d’oltremare dipendente dal governo francese ed isola appartenente geograficamente all’arcipelago Comore situato nell’Oceano Indiano, per insegnare scienze naturali ai ragazzi di scuola superiore, il 14 dicembre, Lagarde ha dovuto fare i conti con l’uragano Chido, il più devastante degli ultimi 90 anni. Ci sono state numerose vittime, ma il numero, purtroppo, non è ancora definitivo.
Caratterizzato da venti che hanno raggiunto i 220km orari, il ciclone ha scatenato una vera e propria distruzione su larga scala: «È durato mezza giornata, ha devastato tutto: alberi, strutture e case, nello specifico quelle costruite con lamiere in cui abitavano i migranti africani», dichiara Lagarde, che ripercorre quei tragici istanti:
«È stato un momento difficile che ha accentuato le problematiche che l’isola già aveva di suo e che ha riportato tutto indietro: siamo stati senza corrente per più di un mese, senza acqua e con un solo pasto al giorno per oltre tre settimane. Abbiamo cercato di sopravvivere come si poteva, anche gli aiuti sono stati limitati, complici le difficoltà legate all’aspetto logistico della consegna dei beni e ai danni che le navi e l’aeroporto inevitabilmente hanno subito».
«Nel momento in cui è giunto l’uragano stavo cercando in qualche modo di trattenere le forti piogge che entravano nell’abitazione e, a un certo punto, ho visto volare la bombola del gas del vicino: in quell’istante ho capito la gravità della situazione. Si tratta di un’immagine che non dimenticherò mai, anche perché, pochi istanti dopo il mio tetto si è sradicato. Non so come mai non sono stato portato via».
Cosa si pensa in quell’istante? «Rimani impietrito. In quel momento non sai cosa ti succede, non realizzi. La prima cosa che ho fatto, mentre il sottotetto cadeva, è stata quella di raggiungere la porta e di scendere nel pian terreno per aspettare la fine del ciclone, immerso, insieme ai vicini, in mezzo metro d’acqua. Per fortuna me la sono cavata con qualche contusione, ma è stata dura. Non posso dire di aver avuto paura -continua Philippe Lagarde– ma questo, solo perché, in quel momento, ha regnato la confusione. La forza di un ciclone di questo tipo è indescrivibile».
È possibile vedere un lato positivo quando eventi di tale portata sottolineano la fragilità dell’uomo, delle sue creazioni e della natura stessa? Probabilmente solo chi ha vissuto un’esperienza di questo tipo può farlo: «Coesione, umiltà, generosità e aiutare il prossimo senza chiedere nulla in cambio: sono questi i valori importantissimi che ho riscoperto. Sono state tre settimane di sopravvivenza pura che mi hanno insegnato a superare tutti quei pregiudizi che la società a volte impone: ho incontrato persone squisite che mi hanno ospitato e mi hanno dato da mangiare e da bere».
A distanza di un mese dall’accaduto, gli abitanti dell’isola fanno di tutto per tornare alla normalità: «La popolazione non si lascia abbattere, i cittadini hanno una forza mentale ammirevole. Molti hanno raccolto i pezzi di tetto che hanno trovato in giro per ricostruire un riparo, altri, invece, sono stati collocati nelle strutture pubbliche, come ad esempio nelle scuole. Questa soluzione ha creato dei ritardi anche per la riorganizzazione dei percorsi di studio perché, ovviamente, non si potranno svolgere le lezioni presso gli appositi istituti. Motivo per il quale, dal 27 gennaio, dovrebbero mettere a disposizione delle tende militari: insomma le modalità saranno un po’ all’antica».
«Per quanto riguarda la mia esperienza personale, qualche settimana dopo l’uragano sono stato evacuato con arei militari poiché avevo perso completamente la casa. Ho colto questa opportunità non solo per aspettare che si normalizzasse un po’ la situazione, ma anche per lasciare la mia porzione di acqua e cibo a chi non aveva la possibilità di andarsene».
Importante, per Lagarde, sottolineare anche la situazione della vegetazione e degli animali dell’isola di Mayotte: «E’ stato un devasto ecologico: gli alberi sono stati distrutti e le popolazioni di lemuri non trovano più frutti per nutrirsi, di conseguenza mangiano quello che capita. Gli animali, infatti, raggiungono le case alla ricerca di cibo: non è una cosa positiva per l’ecosistema, però mi concentro anche sulla forza della natura. Il paesaggio, infatti, in poco tempo, è cambiato radicalmente e la vegetazione si è ripresa velocemente».
Ripensando a quanto vissuto in quel momento e a ciò che sta vivendo in questo istante, Lagarde spiega: «Abbiamo fatto tutti un salto nel vuoto, in questi casi non si controlla nulla. Per fortuna, ad oggi, c’è maggiore disponibilità di cibo, anche se manca l’acqua e la corrente», e pronuncia, infine, poche parole intrise di speranza e positività: «C’è tanta volontà, ripartiremo sicuramente».