Sanremo e il futuro del Festival, i giudici scuotono città e Rai
Scontato il ricorso al Consiglio di Stato dopo la sentenza che impone un bando di gara. Il sindaco Mager deve prepararsi a ogni evenienza: «Ci sono anche opportunità»
Sanremo. «Inizieremo a metterci la testa subito», ha dichiarato il sindaco di Sanremo Alessandro Mager dopo la clamorosa sentenza emessa ieri dal Tar Liguria che obbliga il Comune a bandire una gara pubblica per l’assegnazione del marchio Festival della Canzone Italiana e di conseguenza per l’organizzazione dell’evento. «È una sentenza che stabilisce importanti prerogative per il Comune, unico e incontestato detentore del marchio Festival della Canzone. Sarà una grande sfida, ma nella decisione dei giudici amministrativi ci intravedo delle opportunità, perché un bando può portare a una concorrenza tra operatori in favore dell’ente locale».
La sentenza di ieri, pur lasciando invariata la gestione del Festival 2025, impone a Palazzo Bellevue di avviare un bando, almeno di livello europeo, per le edizioni a venire. Il disciplinare dovrà definire la concessione di un marchio che genera ricavi superiori ai 50 milioni e che include implicazioni commerciali, artistiche e logistiche uniche nel panorama nazionale. Per il municipio, che in passato ha avuto difficoltà persino a bandire l’appalto per le luminarie natalizie, appare una sfida titanica, alla luce di come si sono conclusi i recenti bandi per la gestione della rsa Casa Serena (criticato aspramente dall’Anac) e l’affidamento della concessione per la riqualificazione straordinaria del Porto vecchio.
Per farsi trovare pronta in tempi congrui, l’amministrazione Mager dovrà affidarsi a consulenti legali di altissimo livello, capaci di progettare un bando complesso e mai affrontato prima, il che comporterà costi significativi. La giunta Mager dovrà inoltre sondare il mercato per verificare se esistono operatori disposti a competere con la Rai. Un’altra questione cruciale è la mancanza di una sede comunale adeguata a ospitare la kermesse. Il Teatro Ariston, storica casa della manifestazione dopo il Casinò Municipale (dove tutto è nato nel 1951), è una struttura privata. Qualsiasi futuro concessionario dovrà necessariamente includerlo nella propria proposta, poiché alternative reali non sembrano esistere.
L’unico precedente è rappresentato dall’edizione del 1990, quando il Festival si svolse al mercato dei fiori di Valle Armea. Quell’esperienza, seppur unica, evidenziò tutte le difficoltà di una location non pensata per ospitare un evento del genere. Oggi, spostare il Festival al mercato dei fiori di Valle Armea è impensabile, non solo per l’inadeguatezza della struttura, ma anche perché attualmente ospita altre attività come palestre e scuole. In questo senso, il mancato sviluppo del progetto Palafestival torna indietro come un boomerang. La realizzazione di una sede pubblica sarebbe stata una carta fondamentale per garantire il mantenimento a Sanremo della kermesse.
Tra i timori più grandi c’è l’ipotesi di un trasferimento del Festival fuori città. Immancabile ogni anno il commento di qualche ex conduttore o personaggio televisivo che chiede alla Rai di abbandonare l’Ariston. Il più netto Paolo Bonolis nel 2021. Se la Rai decidesse di non partecipare al bando o, peggio, di trasferire il proprio format in un’altra città, magari a Roma, dove gli studi televisivi non mancano, le conseguenze sarebbero devastanti per tutto il Ponente ligure. Il legame tra il Festival e la città è storico, ma non indissolubile: una manifestazione in tutto e per tutto simile, ma ribattezzata con un altro nome, organizzata lontano da Sanremo, sarebbe un rischio per tutti, organizzatori compresi, ma è un’ipotesi che non può essere esclusa a prescindere.
Ora la giunta Mager potrebbe avviare una manifestazione d’interesse per sondare il mercato, come suggerito dalla società J.E. Srl, promotrice del ricorso al Tar. Questo consentirebbe di verificare se ci sono realmente altri operatori sulla piazza pronti a investire nel Festival e a garantire gli stessi standard qualitativi della Rai. Comunque la si legga, la sentenza del tribunale amministrativo regionale rappresenta l’alba di un cambiamento epocale.
Tra storia e cultura. Fino al 1991, l’organizzazione del Festival alternava una gestione diretta del Comune di Sanremo, per il tramite del Casinò, a collaborazioni con produttori musicali e televisivi, mentre il ruolo della Rai si limitava alla trasmissione radiofonica e televisiva. Dal 1991, una delibera comunale ha sancito l’affidamento alla Rai non solo della diffusione, ma anche dell’organizzazione e realizzazione del Festival. Decisione che ha comportato una sovrapposizione tra l’operatore televisivo e il soggetto organizzatore. Secondo il Tar, questa evoluzione ha consolidato un modello di gestione che non rispetta i principi di trasparenza e concorrenza.
La sentenza esclude che il Festival di Sanremo possa essere qualificato come bene culturale ai sensi del Codice dei beni culturali. I giudici hanno sottolineato che né il marchio né il format del Festival rientrano nella definizione di “beni culturali”, in quanto non rappresentano testimonianze materiali aventi valore di civiltà. Il Festival non è nemmeno assimilabile a una tradizione culturale immateriale riconosciuta dall’Unesco, come il canto lirico italiano o l’opera dei Pupi siciliani. Si tratta infatti di un evento delimitato nel tempo e nello spazio, organizzato annualmente da soggetti pubblici e privati, e non di una consuetudine sociale radicata nella cultura collettiva.