La storia di Aquila di Arroscia nel racconto dello storico sanremese Andrea Gandolfo
Nel 1294, il governo della Repubblica di Genova volle fosse annesso ai domini di Albenga
Sanremo. Lo storico sanremese Andrea Gandolfo traccia la storia del borgo di Aquila di Arroscia, che, nel 1294, il governo della Repubblica di Genova volle fosse annesso ai domini di Albenga:
“Il paese di Aquila di Arroscia è situato su un poggio rivolto verso il fianco sinistro della Valle Arroscia poco sotto la displuviale della Rocca del Bozzaro, che raggiunge l’altitudine di 948 metri. In zona, e precisamente nelle contigue valli Pennavaira e Ferraia, sono presenti numerose caverne frequentate a partire dal Paleolitico superiore da gruppi di cacciatori preistorici, tra le quali si possono menzionare l’Arma dello Stefanin, l’Arma do Cuppà e la grotta del Pertusello.
Esse furono poi rioccupate per lunghi periodi in età protostorica, quando tutta l’area risultava particolarmente frequentata sia per l’ampia disponibilità di cacciagione sia perché rappresentava un passaggio relativamente comodo e agevole per tutti coloro che intendevano raggiungere la pianura padana, mentre i boschi della Val Ferraia avrebbero costituito per secoli una vitale risorsa economica locale soprattutto per la produzione di carbone. Il toponimo, chiamato Aquila fino al 1862, pare sia legato all’antica denominazione dell’omonimo castello medievale detto appunto dell’Aquila, in quanto, secondo la leggenda, vi era solita posarsi un’aquila, anche se il rapporto con il nome dell’animale potrebbe essere di natura diretta, considerata la posizione eminente del paese, oppure, secondo altri, sarebbe collegato allo stemma gentilizio della locale casata feudale dei «Cha», sul quale erano effigiate due aquile sormontate da una corona, che avrebbero appunto originato il toponimo.
Durante l’età romana la popolazione aquilana, nemica dei Romani, si alleò, nel corso della seconda guerra punica, con i Cartaginesi di Annibale, che venne aiutato, quando, proveniente dalla Spagna, dovette valicare le Alpi, mentre il fratello Magone aveva stabilito il suo quartier generale con le sue numerose navi nel porto di Albenga, in un sito dove è attualmente ubicata la caserma Piave in regione Vadino. Dopo la stipulazione di un’alleanza tra Romani e Ingauni nel 201 a.C., la zona di Aquila venne colonizzata dai romani, che vi introdussero tra l’altro quella particolare specie di ulivo, ancora oggi chiamata «colombaira» e ben diversa da quella che sarebbe stata introdotta nell’estremo Ponente dai Benedettini verso l’XI secolo meglio nota come «taggiasca».
I colonizzatori romani importarono inoltre nel territorio aquilano, insieme all’ulivo, la coltivazione della vite, e specialmente del vitigno detto «ormeasco» in quanto originario della zona di Ormea nel basso Piemonte, l’antica Ulmeta romana. Dopo la caduta dell’Impero romano e le scorrerie dei barbari, Aquila passò con le altre località della Liguria occidentale prima sotto il dominio dei Longobardi e poi sotto quello dei Franchi di Carlo Magno, che vi introdusse il sistema feudale, mentre il paese veniva inserito nel Comitato di Albenga, dal quale dipendeva amministrativamente.
Dopo aver fatto parte della Marca Arduinica, divenne un feudo dei Clavesana nel XII secolo o, secondo altri, già intorno al 1090, quando i nuovi signori feudali vi eressero un grande castello, utilizzato come residenza estiva dei marchesi e situato alla quota di 827 metri sul crinale che domina le valli Arroscia e Pennavaira. Di esso rimangono alcuni ruderi dai quali è ancora possibile individuare parti della torre poligonale, delle mura in pietra irregolare disposte accuratamente su filari orizzontali e del perimetro dell’antica costruzione con avanzi della merlatura originaria nella parte nordoccidentale della struttura castellana. In questo periodo si svilupparono anche le varie borgate del paese, tra cui si annoverano le località di Affreddore, Prato, Loga, Mugno, Salino e Montà, all’incrocio tra la via che sale dal fondovalle al passo di San Giacomo e l’itinerario di mezzacosta della bassa Valle Arroscia.
La prima rappresenta un percorso che passa trasversalmente tra la Valle Arroscia e la Val Pennavaira, mentre il secondo collegava anticamente i castelli ingauni e genovesi di Arnasco, Vendone e Curenna, contrapposti politicamente e militarmente a quelli aleramici eretti dai Clavesana e dai Del Carretto ad Aquila e a Onzo. In particolare, il castello aquilano era destinato a presidiare, insieme con il vicino Castellermo, il percorso lungo il crinale e le terre situate tra la media Valle Arroscia e la Val Pennavaira. La presunta datazione di queste strutture al XII-XIII secolo è spesso collegata con la fondazione dei primi insediamenti umani nella zona, ma in realtà tali insediamenti potrebbero anche essere molto più antichi, come testimonia il fatto che presso Castellermo, ossia castello dell’eremo, sembra abbia dimorato San Calocero, un martire che la tradizione vuole sia vissuto in età paleocristiana nell’omonimo romitorio.
Negli ultimi decenni del periodo altomedievale cominciò inoltre a stabilirsi in paese l’antica famiglia dei Cha, forse di origini fiamminghe, come attesterebbe la presenza di un’«h» tra la «c» e la «a», al cui unico discendente sarebbe stata data in moglie nel 956 la figlia da un doge veneziano, che avrebbe poi inviato la coppia ad Aquila, dove ancora oggi buona parte degli abitanti porta il cognome dell’antica stirpe feudale. Intanto i marchesi di Clavesana, dopo aver stretto un’alleanza con Genova nel 1202, dovettero contrastare il tentativo di Albenga di impadronirsi del castello, nel quale si stabilì nel 1286 Emanuele I di Clavesana, che lo avrebbe strenuamente difeso con tutti i mezzi a sua disposizione anche quando un arbitrato emesso dal governo della Repubblica di Genova nel 1294 decretò che castello e borgo avrebbero dovuto essere incorporati nei possedimenti di Albenga.
Successivamente Giorgio Del Carretto, dopo aver rilevato nel 1328 Aquila da Oberto Cepolla, che l’aveva in feudo dai Clavesana insieme al vicino centro di Gavenola, occupò borgo e castello, che sarebbero poi tornati sotto il dominio dei Clavesana, i quali vi rimasero fino al 1386, quando tutti i paesi dell’alta Valle Arroscia passarono sotto il diretto controllo della Repubblica di Genova con Aquila, appartenente al Vicariato di Ranzo, divenne uno dei quindici comuni del Capitanato avente per capoluogo Pieve di Teco. Nel corso del periodo di dominazione genovese si intensificarono ulteriormente i traffici commerciali verso la Val Pennavaira e il Piemonte per via della favorevole posizione del castello, situato in un punto strategico di passaggio obbligato per le carovane transitanti in Valle Arroscia.
Una nuova sistemazione dei confini tra le varie località della zona, stabilita nel trattato stipulato a Vienna nel 1738, fissò le rispettive competenze territoriali dei paesi valligiani rimaste in vigore fino ad oggi, con il versante orografico destro della Val Pennavaira assegnato ad Aquila nell’attuale provincia di Imperia, la parte superiore di quello opposto alla provincia di Cuneo e la parte media e inferiore incorporata nell’odierna provincia di Savona.
Dopo la nascita della Repubblica Ligure nel 1797, il paese entrò a far parte della Giurisdizione del Centa con capoluogo Albenga, mentre, in seguito all’annessione della Liguria all’Impero francese nel 1805, il borgo passò sotto il Cantone di Pieve nell’ambito della più ampia unità amministrativa del Dipartimento di Montenotte. Annessa quindi al Regno di Sardegna insieme al resto del territorio ligure nel 1815, Aquila venne compresa nella Divisione di Nizza per entrare a far parte, dal 1860, nella nuova provincia di Porto Maurizio. Dal 1928 al 1947 il paese venne aggregato al Comune di Borghetto d’Arroscia per poi ridiventare comune autonomo.
Numerosi furono inoltre gli Aquilani che parteciparono alla prima guerra mondiale, mentre, nel corso della Resistenza, il paese fu sede operativa del distaccamento partigiano «G. Bortolotti» dipendente dal 2° battaglione «U. Calderoni» e inquadrato nella I Brigata d’Assalto Garibaldi, che diede un valido contributo alla guerra di Liberazione in Valle Arroscia. Nel secondo dopoguerra Aquila conobbe un intenso sviluppo legato soprattutto alla ripresa delle tradizionali attività economiche basate sull’olivicoltura, la pastorizia, la viticoltura e la produzione di patate, fagioli e varie qualità di frutta, mentre la buona amministrazione del Comune ha permesso l’asfaltatura di tutte le strade intercomunali, il completamento della rete fognaria, la realizzazione di un acquedotto potabile e irriguo e la costruzione di un nuovo campo sportivo. Anche la ricezione turistica è molto curata con due alberghi-ristoranti, uno situato nella piazza centrale del paese e l’altro in località Salino, che offrono degustazioni di prodotti tipici locali come l’olio vergine d’oliva, latte e latticini, castagne e i pregiati vini Ormeasco e Pigato».