«La polvere non si vende, serve al marketing»
Nel salotto buono di Sanremo si trova la Calzoleria Ligure. Il titolare non pulisce le vetrine per scelta, scatenando il web e infastidendo i colleghi commercianti
Sanremo. Ogni tanto qualcuno passa, sbircia dalla vetrina, scatta una foto e la pubblica sui social. Seguono i soliti commenti, poco eleganti e molto creativi. L’ultimo episodio? Solo qualche giorno fa. Ma Gian Carlo Gandolfo, il titolare della storica Calzoleria Ligure di via Matteotti, non sembra scomporsi. Leggendovi nel pensiero risponde prima che arrivi la domanda: «Marketing».
Quella polvere sugli scaffali, quel caos perfettamente organizzato e quell’insegna che ha più anni di molti passanti: tutto sarebbe frutto di una strategia studiata ad arte. «Mia figlia, che è laureata in comunicazione alla Iulm, mi ha suggerito di sfruttare la polvere. Visto che non ho voglia di toglierla, tanto vale usarla per attirare l’attenzione», – prosegue Gandolfo, con tono semiserio, in quella bottega trasformata in circolo ricreativo per amici -. Il suo piano comunque funziona, perché la Calzoleria Ligure è diventata una calamita per curiosi e nostalgici, inserita in una cornice di vetrine luccicanti. Non importa se i commenti online oscillano tra l’ironico e il velenoso. Per Gandolfo, l’importante è che se ne parli: «Oscar Wilde diceva che l’unica cosa peggiore dell’essere criticati è non essere considerati affatto. Beh, io mi attengo a questo mantra, ripreso in epoca più recente anche da Andreotti».
L’accoglienza ligure, nella sua versione più “genuina”, qui è una regola d’oro. «Se entrano e toccano la merce senza chiedere, li accompagno gentilmente alla porta. O forse non tanto gentilmente». E se qualcuno ha il coraggio di obiettare, la risposta è pronta: «Non mi interessa vendere a chiunque. Io vendo quando ne ho voglia, e se il cliente mi piace». Dietro quella vetrina vissuta, c’è un pezzo di storia sanremese. La Calzoleria Ligure è stata frequentata da principi e principesse, come Grace Kelly e Ranieri III di Monaco immortalati nel 1958 durante una delle loro visite. Gian Carlo conserva gelosamente gli aneddoti: «Io stesso ho venduto un paio di mocassini a Carolina di Monaco. Certo, li ha mandati a comprare al suo autista, ma erano per lei».
Ma restituire all’onore del mondo almeno l’insegna? «Negli anni ’50, con mio padre, ci abbiamo provato. Avevamo ingaggiato Ferrari, un noto pittore di Sanremo. Appena iniziati i lavori, però, sono intervenuti quelli delle Belle Arti. Ci hanno fermato, chiedendo una montagna di documenti e imponendo l’assunzione di un antiquario. Il pittore ci sarebbe costato 300 mila lire, ma gli artigiani indicati dalla Soprintendenza ne chiedevano 3 milioni. Abbiamo lasciato perdere». Vendere? «Qualche anno fa, attratto proprio dalla nostra insegna, un famoso pasticcere tedesco in visita a Sanremo per il Festival della canzone propose di acquistare il negozio per trasformarlo in un locale moderno, preservando gli elementi storici. Le trattative non sono finite nel migliore dei modi…».
Non si capisce mai se si parli sul serio o se sia tutto uno scherzo. Eppure, il salotto di Gandolfo, frequentato da volti noti della Sanremo degli anni ruggenti, è un luogo accogliente, capace di svelare aneddoti inaspettati a chiunque abbia il coraggio di varcare la soglia (spoiler: nessuna traccia di polvere all’interno). La Calzoleria Ligure è un luogo che polarizza. C’è chi lo vede come un museo polveroso da aggiornare, chi come un’icona intramontabile di un’epoca d’oro. Alcuni colleghi commercianti rumoreggiano, non lo accettano. Gandolfo, però, non sembra preoccuparsene: «Io so cosa rappresentiamo e cosa abbiamo rappresentato. Che piaccia o no, siamo qui dal 1881, e la nostra storia non si cancella con un piumino».