“Elf on the shelf”: tradizione, storia e l’analisi della psicologa Eleonora Citino
«Non è il gioco dell’elfo sulla mensola ad essere particolarmente dannoso, come non lo è Babbo Natale. Ad essere pericoloso è il modo in cui i genitori scelgono di utilizzare questo strumento»
Camporosso. Si avvicina il Natale e con lui, quel periodo dell’anno che trasporta tutti in clima magico, dove anche gli adulti tornano bambini.
Se a contribuire a questa atmosfera rientrano sicuramente i presepi, gli addobbi natalizi oppure Babbo Natale, da qualche tempo anche la tradizione americana dell’Elf on the Shelf gioca un ruolo importante.
Questa usanza, che trova le proprie origini da un libro per bambini scritto interamente in rima, ripropone un’antica leggenda legata alla festa del Ringraziamento americana e al Natale: secondo la storia, sembrerebbe infatti, che un piccolo elfo un po’ monello e furbetto fosse stato mandato da Babbo Natale per far parte della famiglia per tutto il periodo natalizio. La sua missione, a questo punto, sarebbe proprio quella di controllare cosa accade all’interno delle mura di casa per poi riferire tutto a Babbo Natale.
Se durante il giorno questo simpatico elfetto rimane seduto sulla mensola, di notte il prezioso aiutante del personaggio più iconico del Natale raggiunge il Polo Nord attraverso una porticina magica per riferirgli tutti i comportamenti che il bambino ha adottato. Al rientro dalla sua missione, tuttavia, l’elfo non perderebbe l’occasione per fare qualche birichinata facendo degli scherzi in grado di far divertire non solo i più piccoli, ma anche i genitori.
Secondo la versione americana l’elfo compare nel giorno del Ringraziamento, cioè l’ultimo weekend di novembre, mentre in Italia si seguono, generalmente, le date tradizionali del 1° o dell’8 dicembre e porta con sé importanti regole: prima fra tutte, quella di non toccare l’elfo, poiché se questo avvenisse, la sua magia potrebbe scomparire e, di conseguenza, non potrebbe informare Babbo Natale.
In merito a tale usanza, sono molte le perplessità avanzate da professionisti quali psicologi ed educatori che hanno maturato, nel corso del tempo, pesanti critiche nei confronti di tale tradizione riferendosi al sistema premi/punizioni, al fatto che l’elfo potesse diventare motivo di frustrazione per i bambini a causa della sua presenza persistente, nonché sul ruolo genitoriale. Motivi per i quali, la questione è stata affrontata con la psicologa del lavoro e psicoterapeuta in formazione Eleonora Citino.
«Innanzi tutto occorre fare una premessa: non è il gioco dell’Elf on the Shelf ad essere particolarmente dannoso, come non lo è Babbo Natale. Ad essere pericoloso è il modo in cui i genitori scelgono di utilizzare questo strumento. È poco utile demonizzare una pratica di questo tipo, perché, in realtà, potrebbe essere molto efficace e carina per i bambini, dipende, appunto, da come lo si usa», dichiara Eleonora Citino, che aggiunge:
«Rispetto alla questione del sistema premi e punizioni, è chiaro che se la pratica nasce come un gioco deve rimanere tale: se subentra un sistema di questo tipo allora non si parla di qualcosa di ricreativo, ma di prestazione, perdendo, dunque, tutte le caratteristiche che originariamente possiede. Nel momento in cui l’Elf on the Shelf viene posto in questa maniera, cioè si dice al bambino di stare bravo perché sennò l’elfo riferisce tutto a Babbo Natale, allora è ovvio che i piccini si sentano in dovere di comportarsi bene in visione della conseguenza punitiva dell’elfo, generando delle pressioni negative. La modalità che viene posta dai genitori è fondamentale: non deve essere visto come una prestazione, ma come un gioco da fare insieme».
«Anche rispetto alla tematica del ruolo genitoriale, bisogna pensare a come questa tradizione viene utilizzata. E’ importante che l’elfo non sostituisca i genitori: esso dovrebbe diventare uno strumento proprio come i libri da leggere per la buonanotte. Gli adulti dovrebbero utilizzarlo per educare i propri figli veicolando, ad esempio, attraverso il gioco, i valori e gli insegnamenti che si vogliono condividere.
La cosa fondamentale, è che i genitori siano con i loro figli, facendo sì che la pratica diventi un’occasione per stare insieme: un aspetto fondamentale che va a pesare più di qualsiasi altro oggetto materiale che i bambini possano ricevere a Natale. Fare le cose insieme può rendere questa tradizione molto bella e molto utile per i piccini.
Nel caso in cui i genitori lascino il compito educativo all’elfo, allora si manifesta una perdita del ruolo genitoriale. Nel momento in cui l’aiutante di Babbo Natale viene usato come scorciatoia per delegare i compiti genitoriali, allora sì che diventa pericoloso: assumendo un ruolo di guardia, il bambino si comporta bene perché ha paura che l’elfo lo guardi. Questo tipo di minacce portano alla paura. Non si educa attraverso la minaccia: non è lo scopo ordinario del gioco.
Rispetto al momento in cui l’elfo sarà chiamato ad abbandonare la casa, trovo esagerato che si parli di un possibile trauma che possa scaturire a causa di un senso di abbandono: il concetto di trauma ora viene collegato facilmente a cose che possa generare sofferenza, ma non è così. Inevitabilmente, i bambini si affezioneranno all’elfo e la sua partenza può generare sofferenza per l’allontanamento, ma non può essere ricondotto a un trauma. Nel momento in cui, questo distacco viene vissuto dal bambino come un vero e proprio abbandono, allora bisogna rivedere le modalità con cui i genitori hanno presentato questo personaggio».
«Consiglio ai genitori di spiegare le cose in modo chiaro, i bambini hanno bisogno di spiegazioni precise, pragmatiche e chiare che possono elaborare con gli strumenti che hanno a disposizione alla loro età: è necessario esporre chiaramente che l’elfo si soffermerà solo per il periodo di Natale, in maniera che il bambino sarà pronto alla sua partenza. In questa maniera – continua la professionista- i bimbi potranno passare il tempo a disposizione con l’elfo in maniera diversa e potrebbe anche incentivare la loro creatività, l’immaginazione, ma soprattutto il pensiero simbolico: la capacità di rappresentare nella mente cose che non sono reali, una potenzialità del cervello che va sviluppata quando si è piccoli.
Nel momento in cui non viene utilizzato come uno strumento punitivo, ma un mezzo per creare un mondo immaginario insieme al genitore allora non può che tradursi in qualcosa di positivo. I bambini da soli, nel corso dello sviluppo, imparano a distinguere la finzione dalla realtà, perciò non bisogna aver paura di far credere al bambino che l’elfo esista».
L’altro aspetto che è stato analizzato, riguarda invece la pubblicazione di scherzi effettuati ai bimbi, perché se da una parte questa pratica può divertire gli adulti, dall’altra parte vi si possono creare conseguenze non ottimali: «Bisogna partire dal fatto che, nel momento in cui foto e video dei bambini vengono diffusi sui social, in realtà non si ha un vero e proprio consenso da parte dei figli perchè non hanno la consapevolezza e la maturità per farlo ed è un vero e proprio rischio: non si sa esattamente chi stia guardando i contenuti diffusi. Quando si fanno scherzi ai bambini bisogna stare molti attenti, perchè se da una parte, l’adulto sa che è uno scherzo, il bambino non sa di cosa si tratta e può intendere il gesto come violenza o umiliazione: quando vengono spettacolarizzati scherzi sui bambini si ha una conseguenza lesiva. La percezione e la sensibilità tra adulti e bambini è differente», ha concluso la professionista Eleonora Citino.