Delitti in provincia di Imperia, l’ultimo ergastolo comminato nel 2008
Per trovare un altro caso bisogna tornare indietro di sessant’anni
Imperia. Bisogna tornare indietro fino al 15 maggio del 2008 per trovare una condanna all’ergastolo comminata in provincia di Imperia. Ad essere condannato a vita è il russo Roman Antonov che, con la complicità della moglie Maria Antonova, aveva ucciso immigrato ucraino e simulato poi un incidente stradale con il cadavere di quest’ultimo, facendolo passare per il proprio, con l’obiettivo di riscuotere i premi di alcune polizze assicurative sulla vita. Il delitto avvenne a Vasia, nell’entroterra di Imperia.
Sono rare le sentenze di carcere a vita pronunciate dalla Corte di Assise di Imperia. Così come poche furono le volte in cui i pm di Imperia o Sanremo (prima dell’unione dei due tribunali), si trovarono a formulare una richiesta di condanna all’ergastolo, come venerdì scorso hanno fatto i sostituti procuratori Matteo Gobbi e Paola Marrali nei confronti di Salvatore Aldobrandi, a processo con l’accusa di aver ucciso, il 13 novembre del 1995, la 21enne Sargonia Dankha.
Lo dimostra il fatto che per trovare un’altra condanna all’ergastolo bisogna tornare indietro di sessant’anni. Era il 1965, quando i giudici togati e popolari di Imperia condannarono Giuseppe Briguglio, 28 anni all’epoca, per aver ucciso la giovane moglie incinta di otto mesi: Rosetta Montalbano, 18 anni appena, a colpi d’accetta.
Il delitto avvenne la sera del 20 maggio 1965 sotto la loggia del monastero di Santa Chiara, a Imperia. L’assassino riteneva che la moglie gli fosse infedele e per questo aveva chiesto la separazione e l’annullamento del matrimonio. La giovane, che non aveva acconsentito, venne brutalmente uccisa. La sentenza di condanna all’ergastolo venne confermata anche nel secondo grado di giudizio dalla Corte d’Assise d’Appello di Genova.
Dagli archivi dei giornali si apprende che una richiesta analoga era stata formulata ancora prima dell’orrendo delitto avvenuto a Porto Maurizio. Siamo nel 1963, il 3 febbraio per la precisione, quando Antonio Mancuso, di 27 anni, viene accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai motivi abbietti per l’uccisione a colpi di pistola di Salvatore Fusca, di 40 anni. L’omicidio avvenne in una via centrale di Diano Marina. Secondo la pubblica accusa, sostenuta dal pm Antonio Sanzo, l’imputato avrebbe ucciso il compaesano (sia vittima che assassino erano originari di un paesino calabrese) per vendetta nei confronti della figlia di Fusco, la 18enne Rosina, che aveva più volte respinto le sue avance. Dopo l’omicidio, Mancuso fuggì, riuscendo a sottrarsi alle ricerche organizzate dalle forze dell’ordine. Nel tentativo di trovarlo, il ministero dell’Interno aveva emesso una taglia di un milione e mezzo di lire per chiunque avrebbe fornito elementi validi per la sua cattura. Ma tutto fu inutile e il pm chiese per l’imputato l’ergastolo in un processo in contumacia.
Fece discutere invece, suscitando ampio clamore mediatico, il cosiddetto “Delitto del Bitter” avvenuto il 24 agosto 1962. Il veterinario di Barengo (Novara), Renzo Ferrari, accusato di aver ucciso con un bitter avvelenato con stricnina, il grossista Tino Allevi (residente a Taggia), venne condannato in primo grado a trent’anni di carcere dalla Corte di Assise di Imperia il 15 maggio del 1964. Sarà la Corte d’Assise di Genova, in Appello, a condannare il veterinario, amante della moglie di Allevi, al fine pena mai. Era il 21 dicembre del 1965. Il caso approdò anche in Cassazione, dove i giudici della Suprema Corte confermarono la condanna.
Ferrari, come è stato ricostruito, aveva inviato dal Piemonte un pacco postale al grossista. All’interno il bitter avvelenato con un messaggio: «Caro signore, poiché avremmo intenzione di lanciare sul mercato questo nuovo aperitivo, offrendole la rappresentanza nella sua zona, ci permettiamo di disturbarla con l’invio di un campione. Provi ad assaggiarlo. Un nostro incaricato verrà a trovarla per conoscere il suo parere. Vogliamo sapere se è di suo gusto e se lo ha trovato gradevole al palato».
Allevi, che si è sempre proclamato innocente, scontò 24 anni di carcere. Nel 1986 ottenne la grazia dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Tornò a vivere a Barengo e qui morì due anni dopo.
Quindici anni e 6 mesi di carcere, tre di manicomio criminale e tre di libertà vigilata: è questa la condanna comminata dalla Corte d’Assise imperiese nei confronti di Giuseppe Corsaro per aver ucciso, la sera del 31 dicembre del 1986, la 26enne Giuseppina Sola, originaria di Vallecrosia, mentre stava entrando in un portone di via Veneto, a Ventimiglia. Corsaro confessò il delitto. Stando a quanto venne ricostruito, la vittima aveva visto l’uomo masturbarsi nell’atrio dello stabile e lo aveva redarguito. Lui reagì uccidendola con tre coltellate.
La Corte d’Assise di Imperia pronunciò invece sentenza di assoluzione con formula piena per il pescatore, 31enne all’epoca, Antonio Rosapinta, a processo con l’accusa di aver ucciso la pettinatrice di 20 anni Monica Bombardieri, accoltellandola in strada San Romolo, a Sanremo, il 27 ottobre 1987. Il pm Bruno Novella aveva chiesto una condanna a 21 anni di carcere, ma i giudici non erano convinti della colpevolezza di Rosapinta, e lo assolsero “per non aver commesso il fatto”, dando credito a cinque testimoni che sfilando in aula avevano dichiarato di averlo visto in un’altra zona di Sanremo al momento dell’omicidio. La Corte d’Assise d’Appello diede invece ragione al pubblico ministero, ribaltando la condanna e condannando Rosapinta, dichiarato seminfermo di mente, a 16 anni. L’arma del delitto non fu mai trovata.
La Corte d’Assise tornò a giudicare un omicidio negli anni Novanta, quando alla sbarra comparve Angelo Sinopoli con l’accusa di aver ucciso, il 6 settembre del 1991, Antonio Campisano, 66 anni, “colpevole” di aver contrastato la relazione del suo assassino con sua figlia, Patrizia, 32 anni. Campisano era stato ucciso nella propria abitazione, mentre dormiva, a colpi di fucile caricato a pallettoni per la caccia al cinghiale. In questo caso, l’assassino aveva confessato il delitto ai carabinieri. I giudici, dopo circa un’ora di camera di consiglio, lessero la sentenza che condannava Sinopoli a 15 anni di carcere.
Nel novembre del 1992 l’operaio ventimigliese Antonio Fedele venne accusato della morte del manovale albanese Gentjan Tarja, ucciso in circostanze misteriose a Roverino. Fedele comparve davanti alla Corte di Assise di Imperia che lo condannò in primo grado a 14 anni e otto mesi. La sentenza venne poi confermata in secondo grado, a Genova. Ma l’avvocato di Fedele chiese e ottenne la revisione del processo d’Appello, che si tenne davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano: Antonio Fedele venne assolto per non aver commesso il fatto.
Fu la scoperta dell’acquisto di un revolver pochi giorni prima del delitto, a far rischiare l’ergastolo ad Antonio Curcas, ex cuoco di Ventimiglia, che nell’aprile del 1992 uccise a colpi di pistola l’ex convivente Violetta Chalasz a Pontedassio. In Tribunale a Imperia, l’uomo era stato giudicato con rito abbreviato in quanto inizialmente non gli era stata contestata la premeditazione. La prima condanna, dunque, era a 12 anni. Ma appellando la sentenza, la pubblica accusa riuscì a far valere la tesi della premeditazione e Curcas tornò a processo davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Genova che lo condannò a 22 anni di carcere. La Cassazione, poi, metterà l’ultima parola sul delitto, confermando la tesi dei giudici di secondo grado.
Venticinque anni di reclusione è invece la pena inflitta in primo grado, dalla Corte d’Assise, a Vasile Donciu, autore dell’omicidio della piccola Hagere Kilani: la bimba di quattro anni, figlia di una coppia di immigrati tunisini, assassinata il 18 agosto del 2000, in un appartamento del quartiere Parasio a Imperia Porto Maurizio. Il processo d’Appello, che ha confermato la condanna, si è svolto in Romania, dove Donciu era fuggito dopo il delitto.
Nel 2001 il medico imperiese Nadir Garibizzo, poi radiato dall’ordine, venne accusato di aver ucciso l’amante, Ornella Mercenaro e di averne occultato il corpo, nascondendolo in un baule per poi abbandonarlo in un casale di Aurigo. Condannato a 15 anni, oltre alla detenzione presso un istituto psichiatrico, dal tribunale di Imperia, Garibizzo si vide ridurre la condanna di tre anni in Appello. Nel 2011, dopo nove anni di prigione, tornò in libertà, ma sette anni dopo, con l’accusa di tentato omicidio, per Garibizzo si aprirono di nuovo le porte del carcere. Morirà suicida nel penitenziario di La Spezia il 7 agosto del 2018.
L’otto maggio del 2001, il ventenne Gianni Cretarola uccide con una coltellata alla gola l’amico e coetaneo Daniele Delfino. Il delitto si consuma su una spiaggia di Sanremo. Cretarola verrà condannato a 16 anni di prigione.
Il 5 ottobre del 2005, la Corte di Assise di Appello di Genova conferma la condanna a 16 anni di reclusione, già comminata dai colleghi di Imperia, nei confronti dei sanremesi Vincenzo Rapone e Mirko Mirenda, condannati per l’omicidio del pensionato Riccardino Gandolfo, ucciso selvaggiamente e senza un motivo plausibile a calci e pugni la notte del 20 agosto 2003, in via Palazzo, a Sanremo.
Sempre nella Città dei Fiori, l’otto agosto del 2007, Luca Delfino uccide a coltellate, in via Volta, l’ex fidanzata Antonella Multari di Vallecrosia. Viene condannato a 16 anni ed otto mesi.
Due condanne per omicidio (entrambe a 16 anni) vennero inflitte all’imperiese Paolo Arrigo e alla sua ex fidanzata Elizabete Petersone, giudicati colpevoli di aver ammazzato di botte, il 17 maggio 2009, il piccolo Gabriel di neanche due anni, figlio che Elizabete aveva avuto da una precedente relazione.
Il 16 dicembre 2010 Nicola Trazza fredda con due colpi di pistola, in un ortofrutta di San Martino a Sanremo, il suo amico Giovanni Isolani. Verrà condannato a 10 anni in via definitiva.
Per un omicidio avvenuto nell’agosto del 2011, sempre a Sanremo, sotto l’ultimo ponte prima della foce di rio San Romolo, tre romeni senza fissa dimora (Alin Costantin Gutu, Nicolae Panaite e Ciprian Costantin) vengono condannati a 14 anni di reclusione ciascuno per aver massacrato un altro clochard, Ion Ionescu.
Il 16 dicembre dello stesso anno, il carabiniere Sandro Caruso, davanti alle scuole di Camporosso durante l’uscita degli studenti crivella con 11 colpi di pistola l’amico d’infanzia Andrea Florenzi, perché amante della moglie. Sarà condannato a 14 anni di carcere. I giudici esclusero la premeditazione.
Il 21 gennaio del 2019, Vincenzo Agostino uccide a colpi d’accetta la sorella Palma, 71 anni, con la quale conviveva in un appartamento di Taggia. Giudicato con rito abbreviato, il 16 luglio del 2020 viene condannato a 16 anni di carcere. All’uomo erano state contestate le aggravanti della crudeltà e del legame di parentela, soltanto in parte compensate dall’attenuante della seminfermità mentale. La condanna sarà ridotta a a 10 anni e 8 mesi di reclusione l’anno successivo dalla Corte di Assise di Appello di Genova.
Tra le condanne più pesanti comminate negli ultimi anni, c’è quella inflitta all’ex commerciante ambulante di Ventimiglia Vincenzo Mercurio, che il 27 settembre 2018 uccise, nello studio di via Fratti, a Sanremo, il medico legale Giovanni Palumbo, 61 anni. Venne condannato a 30 anni di carcere dal gup Botti. Il massimo della pena con rito abbreviato. La sentenza è diventata definitiva dopo la conferma in Cassazione.