Cpr a Diano Castello, il Tar dà ragione alla Prefettura: il Comune non deve conoscere il progetto
Comune condannato a pagare le spese di lite
Diano Castello. La sezione prima del Tar della Liguria ha respinto il ricorso presentato dal Comune di Diano Castello, rappresentato dall’avvocato Roberto Trevia, con il quale chiedeva l’annullamento del provvedimento di diniego opposto, lo scorso 11 luglio, dalla Prefettura di Imperia, all’istanza di accesso agli atti per il progetto relativo alla realizzazione di un Cpr (centro di permanenza per i rimpatri) nell’ex caserma Camandone di Diano Castello. Il Comune imperiese, inoltre, è stato condannato alla rifusione, in favore del Ministero dell’interno, delle spese di lite, liquidate in 3mila euro, oltre spese generali nella misura del 15 per cento.
Nella sentenza del Tribunale amministrativo ligure, emessa il 22 novembre scorso, si legge che «nel merito, i motivi di ricorso sono infondati. Ciò consente di prescindere dalla questione relativa alla legittimazione di un ente pubblico (quale il Comune ricorrente) in ordine all’esercizio del diritto di accesso in presenza di una chiara delimitazione normativa dei soggetti interessati ai “soggetti privati”; legittimazione che, per vero, la giurisprudenza più recente estende anche agli enti pubblici».
Secondo le normative vigenti, infatti, scrivono i giudici del Tar «si desume che sono sottratti all’accesso i documenti dalla cui divulgazione “possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale” e quelli concernenti “le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità”». Inoltre, «L’art. 21, co. 3, decreto-legge 19 settembre 2023, stabilisce che le strutture individuate dal piano straordinario di cui al co. 2 (ossia dal piano straordinario per l’individuazione delle aree interessate alla realizzazione di un numero idoneo di strutture di cui agli artt. 10-ter e 14, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e agli artt. 9 e 11, d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142), nel quale sarà inclusa l’ex caserma Camandone (ove la realizzazione del centro venga confermata), “sono dichiarate di diritto quali opere destinate alla difesa e alla sicurezza nazionale”».
Visto che, nell’ipotesi che venisse realmente realizzato, il Cpr a Diano Castello sarebbe un’opera destinata «alla sicurezza nazionale, da un lato, e l’evidente strumentalità della stessa rispetto alla tutela dell’ordine pubblico (l’art. 14, co. 1.1., d.lgs. n. 286/1998 prevede – tra l’altro – il trattenimento con priorità, nei centri di permanenza per i rimpatri, di coloro che siano considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica; le stesse procedure volte ad accertare l’identità degli stranieri trattenuti, del resto, perseguono obiettivi di tutela dell’ordine pubblico), dall’altro, comportano la qualificazione degli atti inerenti ai centri in questione come esclusi dal diritto di accesso, in base alle disposizioni sopra menzionate».
L’antefatto. In vista dell’ipotizzata apertura di un Cpr nella caserma dismessa dall’esercito, infatti, il Comune di Diano Castello aveva presentato in Prefettura un’istanza di accesso agli atti, al fine di ottenere l’ostensione della documentazione relativa alla progettazione e realizzazione del centro per migranti. Ma il palazzo di Governo, con una nota del 10 luglio, aveva respinto l’istanza, in quanto, si legge nella sentenza del tribunale amministrativo «preordinata ad un controllo generalizzato dell’operato dell’Amministrazione dell’interno, essendo l’istanza espressamente finalizzata a verificare se il centro in questione rispetterà i requisiti previsti dal decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124». Inoltre, secondo il Comune, i documenti richiesti «riguardano una struttura (peraltro qualificata dal decreto-legge n. 124/2023 quale opera destinata alla sicurezza nazionale) strumentale alla tutela dell’ordine pubblico e alla prevenzione della criminalità; essi sarebbero, dunque, sottratti all’accesso».
Nel ricorso, il Comune aveva impugnato il provvedimento di diniego «deducendo plurime ipotesi di violazione di legge. In particolare – è scritto negli atti – Si evidenzia l’interesse del Comune a conoscere le caratteristiche della struttura al fine di intraprendere le iniziative necessarie a fronteggiare le esigenze connesse alla realizzazione dell’opera (viabilità, rete idrica e fognaria, assunzione di personale della polizia municipale, etc.) e si argomenta nel senso dell’assenza di pregiudizio per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica, dal momento che la richiesta di accesso è stata formulata da un ente pubblico».