Cold case svedese, l’arringa della difesa di Aldobrandi: «Nessuna prova certa, solo dicerie»
L’avvocato Cravero ha parlato per oltre quattro ore nel tentativo di smontare la tesi dell’accusa davanti alla Corte di Assise
Imperia. «E’ possibile che Aldobrandi, che è alto 1,65 metri, abbia portato da solo un cadavere di 1,78 metri per tre piani di scale e poi nel vialetto fino all’auto? E’ possibile? Bastano quelle due macchie per ritenere morta, se era in casa, Sargonia?». Nella sua arringa, durata oltre quattro ore, l’avvocato Fabrizio Cravero, legale di Salvatore Aldobrandi, ha tentato di insinuare dubbi nella Corte d’Assise, chiamata a giudicare il suo assistito, accusato di aver ucciso la sua ex fidanzata, la 21enne Sargonia Dankha, il 3 novembre del 1995 a Linköping, in Svezia, e di averne soppresso il cadavere.
Non ci sono elementi di prova certi, secondo la difesa, ma solo «dicerie da paese». E la pubblica accusa, ha più volte sottolineato il legale, non è riuscita a portare elementi logici a supporto della tesi che vede colpevole il pizzaiolo italiano.
«Credo, senza timore di smentita, che questo processo sia un unicum nel panorama nazionale e non solo – dichiara Cravero -. Perché faccio questa premessa? Perché noi ci ritroviamo a dover giudicare quello che è successo 29 anni fa. Le lancette dell’orologio della Corte di Assise di Imperia dovranno necessariamente collocarsi nel 1995 sulla base di quelli che sono i dati dell’istruttoria dibattimentale tenuti a 30 anni di distanza».
Più volte l’avvocato ha insistito, inoltre, sul fatto che i comportamenti subiti da Sargonia e dalle altre donne che hanno avuto a che fare con Aldobrandi, sono considerati maltrattanti oggi, nel 2024, ma non lo erano nel 1995. Tra i maltrattamenti, ricordiamo, c’è anche l’aver tentato di strozzare l’ex moglie (si è fermato solo quando visto dal figlioletto, ndr). Poi le botte, i calci, i pugni, gli sputi e tutto un corollario di elementi che pure trent’anni fa, sia in Italia che nella civilissima Svezia, sicuramente erano considerati maltrattamenti nei confronti delle donne.
Dopo la premessa, nella quale ha più volte sottolineato come sia difficile decidere per fatti avvenuti in un altro paese, dove tra l’altro vige un altro ordinamento, l’avvocato ha portato «l’attenzione su un tema che mi ha sollecitato parecchio», e ha chiesto alla Corte di «rivalutare la richiesta di ascoltare le testimonianze che non sono state ammesse nel corso del dibattimento».
«Oggi, che abbiamo ascoltato la tesi dei pm, abbiamo scoperto che l’ipotesi è che l’omicidio sia stato compiuto in un determinato arco temporale. Una cosa era domandare prima a chi ha effettuato le indagini se eventuali piste alternative sono state vagliate e come, altra cosa è dire “non ce ne sono”. Per questo ritengo che il compendio probatorio sia monco di un pezzo, e deve essere valutato insieme a quelle che sono le altre ipotesi alternative, che non possono essere smentite e basta».
Passando oltre, l’avvocato ha tentato di smentire, una per una, le prove portate dalla pubblica accusa a sostegno della propria tesi. «Ho sentito dire che le indagini in Svezia sarebbero da subito state indirizzate alla ricerca della ragazza – ha detto -. Ma le indagini si sono indirizzate subito nei confronti dell’Aldobrandi, tanto è vero che la perquisizione a casa dell’Aldobrandi avviene il 20 novembre. Viene interrogato due volte, viene sequestrato tutto. Le indagini sono iniziate subito nei confronti di Aldobrandi».
«Sono un manovale del diritto – ha aggiunto – E mi piace sottolinearlo perché a me piace la procedura penale. Se ci sono delle regole processuali da seguire, il giusto processo è solo se si seguono quelle regole. Se una regola viene violata c’è un motivo. Se vengono fatte delle eccezioni non è per nascondersi dietro un dito, ma perché è così che il processo si deve fare».
Sulla tesi della procura, che Sargonia il 13 novembre sia andata a casa di Aldobrandi e lì sia stata uccisa: «Possiamo dire che Sargonia sia andata a casa dell’Aldobrandi? No, non possiamo. Con la planimetria prodotta si può dire che poteva andare dappertutto. Si dice: “E’ entrata in casa e non è più uscita. Perché? Perché è stata uccisa lì dentro. Non è più uscita, ma non è mai stata neanche vista entrare».
E ancora: «Sono compatibili due macchiette di sangue sulle pareti con l’uccisione per lama? “Mediante l’utilizzo di lama cagionava la morte”. Questa è l’imputazione. Perché non l’ha strangolata, non l’ha fatta a pezzi e messa nei sacchi. Si parla di una lama. Non è un evento possibile con un oggetto contundente grosso. Allora quale altro oggetto è? La lama ha cagionato la morte? Perchè è questo che deve accertare la Corte di Assise. Sono state fatte domande se con quelle due macchioline è stato cagionato l’evento morte? Perché nessun’altra macchia è stata trovata. Il 20 novembre del 1995 entrano in casa di Aldobrandi e sequestrano tutto, fanno addirittura il tampone nel lavandino. Non trovano niente».
L’avvocato ha poi parlato delle varie contraddizioni emerse nelle dichiarazioni dei testi. Alcuni dei quali, come l’ultimo fidanzato di Sargonia, Nordin Kertat, che soltanto nel 2024, quando è venuto a testimoniare a Imperia, ha ricordato di essere stato minacciato con una pistola da Aldobrandi la sera dell’11 novembre 1995.
Al termine della lunga arringa, l’avvocato ha chiesto, in «via preliminare, si chiede che sussistendo l’assoluta necessità, vengano assunte le prove richieste (testimonianze non ammesse nel corso del dibattimento, ndr). In via principale, chiedo l’assoluzione perché il fatto non sussiste o la formula che meglio si ritiene. In subordine, chiedo l’esclusione della recidiva, l’insussistenza dell’aggravante contestata, la concessione delle attenuanti e la pena minima».