Angela Costantino, il cold case italiano che ricorda l’omicidio di Sargonia Dankha
A condannare gli assassini della giovane, a vent’anni dai fatti, fu il gup Carlo Alberto Indellicati, oggi a Imperia
Imperia. C’è un precedente italiano al processo che si è svolto nei confronti di Salvatore Aldobrandi: il pizzaiolo di 74 anni, originario di San Sosti (Cosenza), ma da anni residente a Sanremo, accusato di aver ucciso Sargonia Dankha, 21 anni, di origini irachene, naturalizzata svedese, sparita nel nulla nel primo pomeriggio del 13 novembre del 1995 a Linköping.
E’ la storia di Angela Costantino, moglie del boss della ‘ndrangheta Pietro Lo Giudice, scomparsa, o meglio fatta sparire, il 16 marzo del 1994. Il suo corpo non venne mai più ritrovato. Sposata giovanissima a Lo Giudice, a 25 anni la donna aveva già avuto quattro figli ed era una “vedova bianca”, con il marito in galera. Per caso aveva incontrato un altro uomo e, forse, proprio con quest’ultimo, aveva sognato un’altra vita. Restò incinta dell’amante, ma con il marito da troppo tempo in cella, la gravidanza non era più giustificabile. Un’onta per la famiglia, che la obbliga ad abortire. Ma questo non basta. Le voci corrono, la gente mormora, e così la stessa famiglia di Angela decide di farla sparire.
Per la morte della donna vengono condannati a trent’anni di reclusione Pietro Lo Giudice, zio del marito, e suo nipote, Fortunato Pennestrì. Ma la condanna non arriva subito, bensì, vent’anni dopo i fatti.
A infliggerla ai due mafiosi, il 12 gennaio 2015, fu l’allora gup del tribunale di Reggio Calabria, Carlo Alberto Indellicati, oggi presidente della camera penale di Imperia e della Corte di Assise che ha condannato in primo grado all’ergastolo Salvatore Aldobrandi.
La condanna di Lo Giudice e Pennestrì passò poi in giudicato, dopo la pronuncia della Cassazione.