‘Ndrangheta, il giudice Indellicati a Diano Marina: «La mafia c’è, nostro dovere è non voltarci dall’altra parte»
Il procuratore Alberto Lari ha parlato della recente sentenza che ha condannato l’associazione facente capo a De Marte – Gioffrè
Diano Marina. «Noi cittadini siamo i primi corresponsabili del mantenimento di questo sistema, se non si denuncia, se non si ha il coraggio di esporsi non si va da nessuna parte. La magistratura può fare in base a quello che il cittadino espone, riferisce. E questo si collega ad un principio: la fiducia nelle istituzioni. La città del Mulino Bianco esiste solo nei film».
Lo ha detto, nel corso di un’interessante conferenza dal titolo “Mafia: conoscerla per prevenirla e combatterla”, il giudice Carlo Alberto Indellicati, presidente della sezione penale del Tribunale di Imperia.
Per oltre 20 anni gip e gup distrettuale presso il Tribunale di Reggio Calabria e coordinatore dell’ufficio gip/gup presso il Tribunale di Palmi, con la sua vasta esperienza nel settore della lotta alla ‘Ndrangheta, Indellicati ha parlato ad un pubblico numeroso e attento del fenomeno mafioso.
«Avere il dubbio che la mafia non esista vuol dire mettere la testa sotto la sabbia – ha detto il giudice -. Nel 2020 la Commissione parlamentare antimafia ha decretato che Imperia, con la sua provincia, è la sesta provincia calabrese: evidentemente se la Dia (direzione investigativa antimafia, ndr) ha accertato questo e poi lo ha recepito la Commissione parlamentare antimafia non ci possono essere dubbi. Nutrire dubbi mi fa pensare a come si sono comportati per anni i siciliani. La stessa cosa è avvenuta in Calabria, negli anni Ottanta e Novanta, quando si negava l’innegabile».
A dimostrarlo ci sono sentenze passate in giudicato, come ha ricordato Indellicati, citando quelle che hanno portato in carcere componenti delle famiglie Marcianò, Pellegrino e Barilaro, tutti con legami alle cosche calabresi, da quella di Piromalli-Mazzaferro a quella di Santaiti-Gioffrè: «Sono stati condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso o meglio ‘ndranghetistico con sentenza passata in giudicato».
Gip nel processo “Crimine”, che ha decretato la struttura unitaria e verticistica della ‘ndrangheta, Indellicati ha svolto, sia a Palmi che a Reggio Calabria numerosi processi in cui, ha detto: «Si parlava chiarissimo nelle intercettazioni». E i riferimenti a legami tra Calabria e Liguria non sono mancati. «La Liguria non è forse la regione (dopo la Calabria, ndr) con più ‘ndrangheta in Italia: c’è qualcosa di più forse in Lombardia e Piemonte, ma subito dopo viene la Liguria», ha aggiunto il giudice.
Così come emerso, questa volta in una sentenza di primo grado, anche recentemente. Di questo ha parlato anche il procuratore capo di Imperia Alberto Lari, riferendo al pubblico della recente condanna del tribunale di Genova nei confronti di ventidue persone nel processo per traffico di droga dalla Calabria alla provincia di Imperia, gestito secondo gli inquirenti, da esponenti della famiglia De Marte – Gioffrè, originaria di Seminara e collegata ad articolazioni di ‘ndrangheta calabresi.
«L’ultima volta che sono venuto a Diano Marina – ha detto Lari – E abbiamo parlato di mafia, feci un riferimento che la gente non capì forse. Dicevo, ma guarda che anche a Diano Marina e nelle altre zone ci sono dei segni di infiltrazione mafiosa. Ovviamente io sapevo benissimo c’era quest’indagine, che era stata fatta per un anno dalla Procura di Imperia, quindi la conoscevo perfettamente. Non potevo parlare del fatto che ci fosse un’ indagine, però stavo parlando a ragion veduta. Ora, finalmente, c’è stata questa sentenza di primo grado». Ovviamente, come ha ricordato il procuratore, la condanna non è ancora definitiva, in quanto fino al terzo grado di giudizio vige la presunzione d’innocenza, ma ci sono elementi oggettivi che non possono essere ignorati.
«Intanto, la sentenza, come dicono i giornali, ha comportato 180 anni di carcere complessivi – ha spiegato – quindi il tribunale ha ritenuto che il fatto fosse molto grave. E poi riguardava una associazione per delinquere, che non solo avrebbe trafficato droga in quantitativi di anche quasi 15 chili al mese, diffondendolo sul territorio, e avendo più basi logistiche». Questo è stato scoperto grazie alle intercettazioni ambientali. «Siamo riusciti a dimostrare – ha aggiunto – Che non c’era solo Diano Marina, ma c’erano anche a Diano Castello, a Taggia e a Diano Arentino. E’ stata dimostrata, finora in primo grado, la disponibilità di armi e cocaina. E’ stato dimostrato l’utilizzo di telefoni all’avanguardia, i cosiddetti criptofonini, per impedire le intercettazioni. Sono stati accertati, sempre in via non definitiva, i rapporti che noi diciamo con la casa madre e quindi con persone della Calabria, ‘ndranghetisti o sicuramente molto vicini alla ‘ndrangheta, in particolar modo di Gioia Tauro. E’ stato accertato questo per intercettazioni pronunciate dagli stessi imputati, ovviamente uno potrà sempre dire che stavano scherzando, però lo hanno pronunciato, lo hanno detto gli imputati, di essere in relazione e a conoscenza con famiglie di ‘ndrangheta di grande spessore che sono note a tutti, basta leggere i giornali: ad esempio gli Alvaro, i Bellocco, cioè le famiglie di ‘ndrangheta storiche. E’ stato sempre accertato dagli ambientali che questi imputati avevano relazioni anche con persone di Gioia Tauro, che sono legate alla ‘ndrangheta».
E ancora: «Ma nelle intercettazioni ci sono anche elementi oggettivi, che dimostrano che erano riusciti a ottenere una piena e totale omertà, che l’omertà era stata tenuta dietro violenza e soprattutto con la spendita semplicemente della propria etnia o appartenenza ad un’associazione criminosa – ha aggiunto -. Su questo ci siamo battuti per anni nei processi, perché ritenevamo che fosse così. E infatti, le sentenze anche ulteriori indagini lo confermano, non serve che io passo alle vie di fatto. Una volta che spiego che sono calabrese, ma è il modo di dirlo: ‘Io sono calabrese di quella parte lì’, che incute il timore, cioè non è che il timore deve essere evidenziato con un gesto plateale. Infatti, in molte ambientali si parla proprio di quello, io mi atteggio in questo modo, perché già quello basta per incutere il timore. Ci sono ambientali che sono molto chiare sul punto: a Diano Marina “tu vuoi lavorare, devi chiedere la protezione a me”. Qui ci riallacciamo al discorso che ho sempre fatto io sulle denunce: mai una volta che ci sia una denuncia in questa provincia. Abbiamo avuto delle persone che per riuscire a lavorare dovevano chiedere la protezione degli imputati, ma tutti hanno preferito soggiogarsi a questa cosa e mai nessuno ha fatto denuncia».
Nel corso della serata è intervenuto anche il prefetto di Imperia Valerio Massimo Romeo, che ha spiegato il ruolo del prefetto nel contrasto alla criminalità organizzata: «Il prefetto si occupa non di accertamento del reato mafia, non di lotta ai mafiosi o agli ‘ndranghetisti, ma si occupa di un altro aspetto: ovvero del tentativo delle infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti. Quindi da un lato c’è la magistratura che fa indagini, accertamenti e arresta i delinquenti, dall’altro c’è il prefetto che lavora nel campo della prevenzione, con il compito di evitare che soggetti legati con la criminalità organizzata tenti di infiltrarsi nella pubblica amministrazione. Su questo piano, ci tengo a dirlo, stiamo facendo diversi accertamenti nei cantieri».
Presente anche il giudice Paolo Luppi, che ha parlato del processo La Svolta, quando con la sua sentenza, pronunciata in tribunale a Imperia, ha accertato la presenza di due locali di ‘ndrangheta nel ponente ligure, a Ventimiglia e a Bordighera, ai quali vertici c’erano Giuseppe (Peppino) Marcianò e i fratelli Maurizio, Giovanni e Roberto Pellegrino.