Combattimenti tra cani, la Procura di Imperia chiede condanne per 14 anni
Il sodalizio non agiva per lucro, ma per «il diletto degli imputati derivante dal far combattere i cani e far crescere il prestigio del “kennel”»
Imperia. Tre anni e sei mesi, oltre a 6mila euro di multa, per Maurizio Accardo e Maurizio Vicinanza; tre anni per Stefano Bassanese; un anno e otto mesi per Alessandro Accardo e Domenico Surace. Sono le richieste di pena formulate dal pm Salvatore Salemi al termine della sua requisitoria per gli imputati, a vario titolo, nel processo per associazione per delinquere finalizzata al maltrattamento di animali e all’organizzazione di combattimenti tra cani, aggravata dalla transnazionalità, nell’ambito di un’inchiesta condotta nel 2015 dalla squadra mobile di Imperia.
Nella sua conclusione, il pubblico ministero ha parlato delle motivazioni inquietanti che spingevano il sodalizio, che aveva creato il gruppo di cani per combattere denominato “Wild Boys Kennel“, ad agire: «Scopo dell’associazione – ha detto Salemi – Era meramente il diletto degli imputati derivante dal far combattere i cani, acquisire il prestigio per il “kennel”, mentre i soldi guadagnati con i combattimenti a malapena coprivano i costi di logistica». Il Wild Boys Kennel era noto nel circuito internazionale dei combattimenti clandestini tra cani, tanto che gli imputati, su una chat comune, si vantavano dei loro risultati e della “fama” che determinati cani procuravano al kennel grazie ai loro successi. C’era però anche chi soccombeva durante i combattimenti, come il povero cane “Calì”. Per lui, nella stessa chat, c’era solo una breve sigla dal significato inequivocabile: R.i.p.
I cani, secondo quando appurato dalla pubblica accusa, venivano addestrati per diventare combattenti. Dovevano subire una preparazione fisica ed essere sottoposti ad una dieta di “purificazione”. Per incattivire gli animali e renderli più aggressivi, i cani venivano allenati facendo loro azzannare, e anche ammazzare, gatti o cani di piccola taglia.
Era il 5 novembre del 2015, quando l’attività investigativa portò l’ispettore e la sua squadra sulle alture di Vallecrosia: ai poliziotti, infatti, era giunta notizia di un presunto allevamento di cani che venivano addestrati per combattere. Ristretto il cerchio intorno ai possibili autori dei maltrattamenti, gli agenti si recano in una campagna nei pressi di Vallecrosia Alta. Qui trovano due terreni adiacenti che ospitano diverse gabbie e cani. «Vicino ad una abitazione di proprietà di Maurizio Accardo c’erano diverse gabbie e 13 cani, quasi tutti senza microchip e con numerose cicatrici sulla testa e sugli arti anteriori. Si è così fatta strada l’ipotesi di combattimenti cani». Sul posto viene chiamata, per un sopralluogo, anche l’Asl veterinaria e la polizia scientifica, che fotografa gli animali.
Nella seconda area, di proprietà di un’altra persona, ci sono tre cani adulti (un dogo argentino, un pitbull e un meticcio di pitbull) e due cucciolate, la prima di nove meticci di pitbull, l’altra con sette cagnolini di razza dogo argentino. A insospettire gli investigatori è la mutilazione alla orecchie, che risultano tagliate, del dogo argentino adulto.
I poliziotti entrano nell’abitazione di Accardo e sequestrano diverso materiale sanitario, tra cui kit per suturare le ferite, kit da insulina per la somministrazione di medicinali, quattro siringhe per inoculare i microchip (dispostivi medici che i privati non potrebbero detenere), sostanze dopanti (come il Nandrolone) e, appunto, fogli manoscritti con programmi per l’allenamento e il potenziamento dei cani.
Vengono trovati, e sequestrati, due tapis roulant con delle catene sui quali, come si vede in un video contenuto nel telefono cellulare di uno degli imputati, il cane viene fatto salire, legato, e costretto a camminare per diverso tempo.
Il collegio, presieduto dal giudice Carlo Indellicati, ha rinviato il processo all’udienza del 17 di dicembre per le arringhe delle difese. Poi la sentenza nelle prime settimane del 2025.