Pieve di Teco, vendita Convento dei Cappuccini, il mediatore Massimo Rambaldi:«Dovevo venderlo ad un amante della storia»

8 settembre 2024 | 11:11
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Pieve di Teco, vendita Convento dei Cappuccini, il mediatore Massimo Rambaldi:«Dovevo venderlo ad un amante della storia»

«Sono appassionato anche di arte, mio nonno era il pittore Nino Zagni: «Sono cresciuto tra i suoi quadri e i colori ad olio»

Pieve di Teco.  Quarantenne del Lago del Garda, Massimo Rambaldi dell’agenzia Bellavista srl, è il mediatore che è riuscito a vendere il Convento dei Frati Cappuccini di Pieve di Teco. In poco tempo ha trovato un accordo tra le parti e  concludere l’accordo. Appassionato di arte (è nipote del pittore Nino Zagni) racconta  che l’amore per l’immobiliare esiste in lui già in giovanissima età quando si rivolgeva alle agenzie del suo paese per affittare gli immobili della sua famiglia. Possiede una ricca collezione tra cui un busto in bronzo del 1700 proveniente dalla Francia, sculture in marmo di Carrara e vari dipinti come un Lago di Claude Monet, un olio su tela del periodo in blu di Pablo Picasso, una musicista di Renoir ma anche opere minori.

Come è arrivato ad essere il mediatore della vendita del convento cappuccini di Pieve di Teco?

«Fu quasi per gioco. Conobbi: “Don Sandro Marsano” il quale affascinato dalle mie proprietà in vendita e dai video che postavo su Instagram, mi scrisse un po’ sconfortato e mi chiese un parere, sulla vendita del Convento dei Frati Cappuccini di Pieve di Teco. Mi disse che era in vendita da molti anni e non riuscivano a sbloccare la situazione. E in me, si innescò una miccia. Dovevo acquisirlo e venderlo. Mi recai quasi subito a Pieve di Teco e lui stesso mi accompagnò al Convento. Era abitato da due soli Frati, conigli e da molti gatti. Facemmo un’ispezione generale e anche ai piani superiori. Vidi una parte del tetto, squarciato, le cellette si erano trasformate in ripostiglio e serviva un intervento urgente. Nelle cantine, notai una strana botola e il Frate che ci accompagnò, mi disse che era un ruscello naturale con un percorso modificato per servire la struttura. Ero affascinato. L’entourage di quel Convento era scettico, ma il cliente dovevo trovarlo e così fu. La mattina del 14 Aprile 2022 portai per la prima volta la Fondazione Manfredi in visita al Convento e nei giorni successivi, iniziarono le trattative».

E quali sono state le difficoltà e le soddisfazioni nel vendere un immobile così antico che ha una storia così particolare?

«Mi verrebbe da dire, indossare la giacca visto che non l’amo. Scherzi a parte, a prima vista, era indubbiamente un immobile fatiscente, un cumulo di mattoni grigi senza arte e ne parte, così mi presi del tempo per mettere in campo una strategia. Cosa potevo fare per convincere un cliente ad acquistarlo? Pensai che era giusto studiare la sua storia, mettere alla luce ciò che era stato, di tutte le vicissitudini e guerre che dovette subire, compreso il saccheggio e l’incendio da parte delle truppe franco – piemontesi. Allo stesso tempo però, mi chiedevo com’era possibile che fossero accaduti tutti questi eventi e la struttura fosse ancora in piedi. Quel Convento aveva un grande potenziale: “la sua Storia” e dovevo venderlo a persone amanti delle arti, del territorio e affascinati da quello che rappresentava.  In un solo mese, trovai il giusto acquirente.  Vede, per me non esiste la difficoltà nel vendere un immobile. Tutto si vende al giusto prezzo. La soddisfazione l’ho avuta quando il cliente mi ha firmato la proposta di acquisto che poi ho inviato ai Frati. Fu un grande traguardo per me».

Come ha iniziato il suo lavoro nel mondo immobiliare?

«Credo di avere sempre avuto la passione per l’immobiliare, infatti già in giovanissima età, mi rivolgevo alle agenzie immobiliari del mio paese natale per affittare gli immobili della mia famiglia. Un paese molto remoto ai confini con la provincia di Ferrara e Ravenna. Le Agenzie della zona, erano molto locali, preda della loro piccola vita di provincia e forse, incapaci di gestire le mie richieste. Tuttavia in me, avevano fatto nascere l’entusiasmo di mediare per vendere. Ho sempre fatto tutto da solo. Acquistavo case all’asta e occasioni che nessuno voleva. Le ristrutturavo, le abbellivo con bassorilievi, poi le affittavo e le vendevo, sia in Emilia che in Lombardia, ma volevo di più. Verso i trent’anni, acquistai persino un condominio di colore rosso, all’interno del mio paese natale. Lo chiamai: “Condominio Massimo” e poi lasciato in balia di nuovi proprietari, per via dei miei cambi di rotta. Sono del segno dei Gemelli e mi annoio presto. Necessito di continui cambiamenti e nuove collaborazioni».

E dove si svolge tutt’ora?

«Svolgo la mia attività in tutta Italia, ma in particolar modo sul Lago di Garda, tra Desenzano e Limone sul Garda. La realtà immobiliare di questa zona è particolare. I proprietari di questo lembo di Lago provengono da tutto il mondo e i clienti pure. Ogni giorno, dobbiamo essere pronti a dialogare in diverse lingue. Tra un turista tedesco e una kermesse di voci inglesi, il mio lavoro è costellato di grandi sorprese. Sorprese che mi hanno portato persino a vendere immobili a Dubai, in collaborazione con un vero professionista internazionale del settore: “Giovanni Ledda della AG LUXURY PROPERTIES LLC” con sede a Dubai».

Con chi collabora?

«Non collaboro con molte Agenzie ed oltre a Giovanni Ledda, tra una Villa di Cortina ed un Loft di Milano, conobbi anche Giulia Garbi, la nota presentatrice del programma televisivo: “Chi sceglie la seconda casa?”. Con Giulia, c’è stata subito una sintonia, soprattutto per la passione in comune del Polesine, una terra dimenticata, ma preziosa, tutta da scoprire. Faccio parte del suo Team e mi dà molti consigli. E’ una grande professionista. Insieme abbiamo anche creato un corto, su Villa delle Rose, a Borgo Val di Taro (PR)».

Oltre al suo lavoro quali sono le sue passioni?

«Ne ho tantissime ma ce n’è una che mi ha accomunato con i clienti che poi hanno acquistato il Convento ed è il collezionismo di opere d’arte».

Ha una ricca collezione d’arte, com’è nato questo interesse e come lo concilia con il suo lavoro?

«Questa passione è innata e diciamo che ho una collezione d’arte molto varia. Libri rari, prime edizioni e un taccuino di un soldato della prima guerra mondiale, in cui annotava i suoi pensieri e il timore di essere ucciso. Conservo un busto in bronzo del 1700 proveniente dalla Francia, sculture in marmo di Carrara e vari dipinti. Conservo con gelosia, molti dipinti di impressionisti, come un Lago di Claude Monet, un olio su tela del periodo in blu di Pablo Picasso, una musicista di Renoir ma anche opere minori. Recentemente ho persino acquistato un ritratto di Marta, appartenuto a Renato Guttuso. Mi piacciono le aste di antiquariato. Ma non solo. Spesso concilio questa mia passione chiedendo ai proprietari di vendermi qualche quadro e oggetto interessante presente negli scantinati e soffitte, ma alla fine mi viene sempre regalato. Ora per esempio ho un pensiero folle, mi sono incaponito nel voler acquistare un quadro di Wermer, ma non è facile. Mi innamorai di quella ragazza, già prima che si rendesse famosa col film di Peter Webber.  Sa, io ho avuto un nonno pittore: “Nino Zagni” e sono cresciuto tra i suoi quadri e i colori ad olio. Lo vedevo spesso alla tv e mi hanno sempre affascinato le sue tele. Dipingeva il mare, il Polesine e la realtà contadina ormai scomparsa. Quando entro in una casa e vedo dei quadri appesi ai muri, mi dà sollievo. È una sensazione indescrivibile ma potrei vivere per sempre, nei corridoi di un museo come ad esempio il Palazzo di Urbino o in quelle di Palazzo Rosso di Genova. I quadri mi danno serenità e ossigeno un po’ come la storia delle case con un’anima. Le case, le case, cosa sarei diventato se non fosse stato per le case?».

massimo rambaldi