Cold case, il processo per l’omicidio di Sargonia Dankha riparte in collegamento con la Svezia
Primo processo con testimonianze in video tra Imperia e Linköping
Imperia. La prima testimone a entrare in aula, nel tribunale di Linköping, in Svezia, è Negin Motamed, l’amica di Sargonia che ha trascorso con lei l’ultimo weekend prima della scomparsa. E’ emozionata, piange, ricordando l’amica che da quel giorno, di quasi 30 anni fa, non ha più ritrovato.
E’ ricominciato stamane davanti alla Corte d’Assise di Imperia, presieduta dal giudice Carlo Alberto Indellicati, con l’audizione dei testi in video-collegamento dalla Svezia, il processo per omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili e soppressione di cadavere, che ha portato alla sbarra Salvatore Aldobrandi: il pizzaiolo di 73 anni, originario di San Sosti (Cosenza), da anni residente a Sanremo, arrestato il 17 giugno del 2023 su ordine del gip di Imperia, perché ritenuto responsabile di aver ucciso Sargonia Dankha, 21 anni, di origini irachene, naturalizzata svedese, sparita nel nulla nel primo pomeriggio del 13 novembre del 1995 a Linköping, in Svezia.
«Conoscevo Sargonia da circa sei mesi, un anno, ma non è facile ricordare dopo tanto tempo – esordisce Negin, rispondendo alle domande del pm Paola Marrali -. L’ho vista qualche giorno prima che sparisse. Eravamo nel suo appartamento e con noi c’era il suo ragazzo, Nordin. Ad un certo punto è arrivato un uomo più anziano, Samuel (Salvatore Aldobrandi, ndr). Bussò alla porta, ma già prima di aprire sapevo che era lui, perché perseguitava Sargonia». «La minacciava, mi aveva raccontato che aveva tentato di strangolarla, che l’aveva picchiata e che aveva ingaggiato qualcuno per spiarla – ricorda l’amica, aiutata dalle dichiarazioni rilasciate nel 1995 alla polizia svedese e lette dal pm -. Avevo paura, non mi piaceva Samuel». Quella sera, quando Aldobrandi trovò il nuovo fidanzato di Sargonia nell’appartamento, chiamò i genitori della sua ex e disse loro che la figlia stava avendo rapporti sessuali di gruppo. «I genitori sono arrivati, erano arrabbiatissimi perché Samuel aveva detto loro che stavano facendo sesso di gruppo – dichiara Negin -. Poi ricordo che parlarono tra loro. Durante la notte suonò più volte il telefono, era Samuel che provava a chiamarla, lei si negò e alla fine staccò il telefono». «E’ una cosa terribile che ha detto, eravamo ragazzi per bene, non stavamo facendo un’orgia, ma eravamo seduti sul divano a parlare», puntualizza.
Il lunedì successivo, Sargonia sparì. «L’ho cercata più volte, senza mai riuscire a trovarla – racconta l’amica, in lacrime -. Sua mamma mi disse che tutti i suoi vestiti erano in casa, che c’era anche una lista della spesa con delle cose che avrebbe dovuto comprare. Insomma, nulla che facesse pensare che volesse andare via. Non aveva neanche soldi e non aveva neppure la tessera del pullman che era rimasta a me per sbaglio».
Sulla relazione tra Sargonia e Salvatore, Negin ricorda: «Non era una bella storia, lui era un po’ aggressivo, la perseguitava, Sargonia si confidava con lei. Lui la picchiava, era aggressivo anche verbalmente, diceva cose minacciose, su cosa avrebbe potuto fare se l’avesse lasciata». Mentre Negin parla, Aldobrandi nega, scuotendo più volte la testa.
Il tribunale di Linköping, foto della giornalista del Corren Jasmine Hubinette
L’ultima persona ad aver visto Sargonia viva è Richard Broni, giovane amico della ragazza, che il giorno della sua scomparsa era con due amici al McDonald’s di Linköping. L’ha vista passare davanti al locale con «l’uomo molto geloso con i capelli lunghi». E’ così che Broni, chiamato a testimoniare, chiama Salvatore Aldobrandi, l’uomo con cui sapeva che Sargonia Dankha aveva una relazione.
Era seduto all’interno del McDonald’s ma poteva vedere la strada. «Non era sola, era con quell’uomo dai capelli lunghi e grigi». Una testimonianza, questa, che non corrisponde a quanto Broni aveva dichiarato all’epoca alla polizia svedese, alla quale aveva detto che era sola.
«Se nel verbale c’è scritto così, allora può essere giusto. Però ora non mi ricordo».
Sargonia Dankha in una foto di archivio del Corren
«Il 12 novembre, domenica, ci siamo visti con Salvatore, perché era la festa del papà. Lui era molto agitato perché Sargonia lo aveva chiamato e gli aveva detto brutte parole. Lo aveva chiamato “vecchio”. Lui aveva comprato un appartamento a Sargonia e lei gli chiedeva i soldi anche per comprare la carta igienica perché di soldi non ne aveva e nello stesso tempo aveva trovato un altro uomo. Queste cose me le aveva raccontate Salvatore». Lo ha detto Karolina Vitsby, ex compagna di Salvatore Aldobrandi, con la quale ha avuto due figli gemelli, nati nel 1993.
Il 13 novembre Salvatore chiese in prestito all’ex compagna l’auto che lui le aveva regalato, un’Alfa Romeo Rossa. «Non aveva la patente, ma ogni tanto guidava – spiega Karolina -. Mi ha chiamata al lavoro chiedendomi in prestito l’auto e dicendomi che mi avrebbe dato 500 corone svedesi. Mi disse che la macchina gli serviva per portare qualcosa al lavoro, al ristorante Maxime. Ma quando quella sera chiamai il ristorante, mi dissero che lui non c’era, era di riposo. Questo mi sembrò strano».
Aldobrandi restituì l’auto alle 5 del mattino del 14 novembre: «Sentii che gettò la chiave nella buca delle lettere intorno a quell’ora – ricorda Karolina -. La macchina era molto sporca, aveva fango su entrambe le fiancate. Mi chiesi dove fosse andato per ridurla così». La donna ha aggiunto di ricordarsi bene di aver ricevuto 500 corone perché era una cosa strana «dato che non mi dava mai soldi, neanche per i bambini».
Secondo i suoi calcoli, con l’auto Aldobrandi aveva percorso circa 25 miglia svedesi (circa 250 chilometri). La donna si era anche accorta che il sedile posteriore della vettura era stato abbassato, come si fa quando si vuole ingrandire il bagagliaio. Aldobrandi le disse di dire alla polizia che lei l’auto gliela aveva imprestata un altro giorno. «Mi ero confidata con un prete perché sentivo che tutto avesse avuto origine da quel prestito. Dandogli l’auto gli avevo dato una possibilità di nascondere le prove (il corpo di Sargonia, ndr)». Secondo l’accusa, infatti, l’auto venne utilizzata da Aldobrandi per trasportare e poi nascondere il corpo di Sargonia Dankha.
«Aldobrandi aveva maltrattato fisicamente altre tre donne – aggiunge – Una ragazza, una donna con la quale aveva avuto due figli e un’altra donna per il quale era stato condannato per violenza sessuale». Con lei, invece, l’uomo non era mai stato violento, dice: «L’unica cosa è che quando è rimasta incinta dei due gemelli, lui mi diceva che non li voleva assolutamente entrambi, e insisteva perché ne abortissi uno, era davvero pesante perché me lo chiedeva ogni settimana».
Nel corso dell’audizione della teste, è emerso inoltre che, dopo la scomparsa di Sargonia, Karolina notò una ferita sul dorso della mano: «Era larga dai 2 ai 4 centimetri, abbastanza profonda – ricorda – Era come se avesse perso un pezzo di pelle in superficie. Ho chiesto a Salvatore che cosa fosse accaduto, ma non mi ricordo cosa mi rispose. Era comunque una cosa strana perché non gli avevo mai visto una ferita».
Foto archivio del Corren