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Processo Breakfast, sentenza di primo grado riformata: per Claudio Scajola il reato è estinto

9 luglio 2024 | 14:19
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Non è escluso il ricorso in Cassazione per ottenere l’assoluzione nel merito

Reggio Calabria. «In riforma della sentenza emessa il 24 gennaio del 2020», la Corte di Appello di Reggio Calabria «dichiara il non doversi precedere essendo il reato a lui ascritto estinto per intervenuta prescrizione». E’ quanto pronunciato nel pomeriggio, al termine di una camera di consiglio durata un paio d’ore, dal presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Monica Lucia Monaco, in merito alla posizione di Claudio Scajola, a processo con l’accusa di procurata inosservanza della pena in quanto, secondo la tesi sostenuta dalla pubblica accusa, avrebbe aiutato l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, morto lo scorso 16 settembre a Dubai, dove si era rifugiato dopo una condanna a 3 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, divenuta definitiva.

«Oggi abbiamo avuto una declaratoria di estinzione del reato per un processo che, a nostro avviso, per tutte le ragioni esposte ampiamente nelle nostre discussioni, non doveva nemmeno iniziare: né sotto il profilo fattuale né sotto quello giuridico – hanno dichiarato dopo la lettura del dispositivo le avvocate di Scajola, Elisabetta Busuito e Patrizia Morello -. A questo punto dobbiamo attendere il deposito delle motivazioni per leggerle ed esaminarle e valutare se ci siano gli estremi per ricorrere in Cassazione e ottenere di più delle declaratoria odierna».

Come già dichiarato al termine della scorsa udienza, Scajola ribatte che il cosiddetto “processo Breakfast”, iniziato ormai dieci anni fa, è frutto di «Una inchiesta nata sul nulla e finita nel nulla. Dieci anni persi per nulla. Un processo inutile, che non doveva neanche iniziare». Si aspettava una assoluzione nel merito? «Non essendoci stata costituzione di parte civile, né ricorso da parte del pm, non c’era quindi possibilità di altra via che quella di dichiarare, in riforma della sentenza precedente, che era di condanna (a 2 anni, ndr), quella della prescrizione intervenuta».

La Corte di Appello ha confermato l’assoluzione per Mariagrazia Fiordelisi e Martino Antonio Politi, ex collaboratori di Amedeo Matacena, per i quali la Pg aveva impugnato l’assoluzione in primo grado.

Un processo durato dieci anni, iniziato con l’arresto “clamoroso” di Claudio Scajola, all’epoca ministro, avvenuto a Roma. Poi una conferenza stampa, nella quale il procuratore di Reggio Calabria, Cafiero De Raho, aveva dichiarato che era stata svelata «la cupola fra massoneria, ‘Ndrangheta e politica». Cupola della quale, secondo l’accusa, faceva parte anche l’attuale sindaco e presidente della Provincia di Imperia. Ma di quella cupola, ora, restano solo le ceneri: i due collaboratori di Matacena sono stati assolti in primo grado e la loro assoluzione è stata confermata pure nel secondo. Per Scajola il reato si è estinto e le sue agguerrite avvocatesse, che già nell’arringa dell’udienza scorsa hanno smontato pezzo per pezzo l’indagine, sono pronte a ricorrere in Cassazione. Restano solo le carte, prodotte dai centosessanta investigatori che hanno lavorato per l’accusa e le decine di udienze svoltesi prima nell’aula bunker di Reggio, poi in Corte d’Appello.

«Si chiude un lungo periodo di sofferenza della mia vita. Un periodo segnato da accuse infamanti, che via via sono cadute, come era scontato che fosse, date le anomalie e le incongruenze che avrebbero potuto distruggere la mia fiducia nella Giustizia. Un processo che si è trascinato troppo a lungo, per finire nel nulla, perché sul nulla era basato – aggiunge Scajola -. Restano le ferite non rimarginabili e i danni che questa vicenda, anche con la macchina mediatica del fango che l’ha accompagnata, ha causato a me e alla mia famiglia. Ho sempre ribadito a gran voce di aver agito correttamente e, per questo motivo, ho affrontato a testa alta ogni avversità, presentandomi ad ognuna delle udienze qui a Reggio Calabria, in qualsiasi condizione fisica o psicologica, spinto dal desiderio di far emergere la verità, per me e per le persone che mi vogliono bene».

«Da oggi, questa storia appartiene al passato – conclude -. Anche a 76 anni continuo a guardare al futuro, con la serenità del cuore».

Claudio Scajola Reggio Calabria