Le testimonianze

Carabinieri, il generale Mori ai Martedì Letterari a Sanremo: «Il “covo di Riina”? Non fu mai trovato»

Una pagina della storia italiana raccontata dalla voce di due protagonisti

Sanremo. Ci sono due cose, a parte l’acume investigativo, che accomunano il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno: la determinazione e il brutto carattere. E sono gli aspetti per i quali, dopo trent’anni dalla morte dei magistrati antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dei quali furono stretti collaboratori, ancora il cerchio sulla connivenza Stato-Mafia non è stato chiuso. I motivi per cui i due ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, che hanno trascorso la vita a combattere Cosa Nostra, hanno dovuto e devono ancora difendersi da indagini e processi che li hanno visti sempre uscire a testa alta da ogni accusa.

Ne hanno parlato a lungo, ieri sera, Mori e De Donno, ospiti ai Martedì Letterari al Casinò di Sanremo, dove per il ciclo “La Cultura della Legalità” hanno presentato i volumi “M.M. nome in codice Unico”, scritto dal generale Mori, e “La verità sul dossier Mafia-Appalti – Storia contributi opposizioni all’indagine che avrebbe potuto cambiare l’Italia”, scritto a quattro mani dai due militari.
L’incontro, durato due ore, ha visto la partecipazione di un numeroso pubblico tra cui spiccava la presenza del colonnello Marco Morganti, comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, e del capitano Massimiliano Corbo, comandante della compagnia dei carabinieri di Sanremo.

«La mia è stata una vita estremamente positiva, perché ho fatto il mestiere che volevo fare e per tutta la vita sono stato operativo, come volevo – ha detto il generale Mori – I miei unici due anni negativi sono stati quelli al comando generale. Però, nel bene e nel male, credo sia stata veramente positiva». Sul dossier Stato-Mafia, inchiesta portata avanti da Mori e De Donno: «Questa è forse l’inchiesta che ha condizionato di più la mia vita – spiega Mori – Perché praticamente ci siamo trovati a gestire una vicenda investigativa con il contrasto dell’altra parte di tutte le indagini, ovvero la magistratura, perché ad eccezione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che purtroppo sono morti, gli altri non ritenevano che fosse un’indagine che portasse a qualche risultato. E quindi è stata una lotta anche con fasi alterne che non è ancora finita e che noi portiamo avanti ancora convinti che sia la verità».

Sull’arresto di Totò Riina: «Il covo di Totò Riina non è mai stato trovato – dichiara Mori – Riina lo abbiamo preso quando, come faceva saltuariamente, andava a trovare la famiglia in via Bernini, 54 (a Palermo, ndr). Il covo di Riina a distanza di 30 anni non è mai stato trovato».

Le infiltrazioni mafiose nel nord Italia e in Liguria: «Per quanto riguarda la criminalità organizzata è un momento, per tutta l’Italia settentrionale, che deve essere molto ben attenzionato – ha detto sempre il generale Mori – Perché la mafia militare, quella di Riina, è finita, ma la cosiddetta mafia dei “colletti bianchi”, la mafia dell’imprenditoria non sana è ancora attiva e viene sfruttata da menti certamente superiori da quelle di Totò Riina e Bernardo Provenzano».

Intervistati dalla giornalista Marzia Taruffi, Mori e De Donno hanno ripercorso pagine di storia che sono ancora attualità e rappresentano ferite, ad oggi, aperte e forse non rimarginabili del nostro paese.

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