Massacrato di botte in carcere a Sanremo, i legali di Alberto Scagni denunciano polizia e direzione penitenziaria
Il caso trattato ieri dalla trasmissione Chi l’ha visto?
Sanremo. «Attendiamo che la procura di Imperia assuma le sue determinazioni non tanto nei confronti dei due aggressori extracomunitari, quanto anche nei confronti di chi, avendo l’obbligo giuridico di impedire la morte e l’aggressione non è intervenuto tempestivamente e non l’ha impedito». A parlare, ai microfoni della trasmissione “Chi l’ha visto?“, andata in onda ieri sera su Rai3, è l’avvocato Alberto Caselli Lapeschi, che fa parte del pool di legali di Alberto Scagni: il 42enne che il 1 maggio del 2022 uccise a coltellate la sorella Alice e che, la notte tra il 22 e il 23 novembre scorsi, venne aggredito da altri due detenuti nella cella del carcere di Valle Armea, a Sanremo, dove stava scontando la condanna a 24 anni e sei mesi per l’omicidio.
Nel corso della trasmissione televisiva è stata ricostruita la vicenda di Scagni, ora detenuto nel carcere di Torino, dal giorno dell’omicidio della sorella alla brutale aggressione subita a Sanremo da parte di due magrebini in carcere per violenza sessuale.
Ma i legali di Scagni, oltre ai due autori materiali dell’aggressione, hanno querelato anche la polizia e la direzione penitenziaria del carcere.
«La prima responsabilità è stata quella di averlo messo (Alberto Scagni, ndr) in una cella con altri detenuti pericolosi – aggiunge l’avvocato Caselli Lapeschi – La seconda è che quando l’aggressione è iniziata e si è protratta così a lungo nessuno della polizia penitenziaria è intervenuto per ore».
Solo alle prime ore dell’alba, infatti, gli agenti della polizia penitenziaria entrano in tenuta antisommossa e Alberto Scagni, rimasto tutto il tempo cosciente, viene portato d’urgenza in ospedale dove subisce due interventi chirurgici e viene tenuto in coma farmacologico per oltre un mese.
A seguito dell’aggressione, la madre di Scagni e i legali del figlio entrano nella cella del carcere dove è avvenuto il pestaggio per accertamenti irripetibili. L’avvocato Chiara Cesare racconta delle condizioni in cui versava la cella, e parla di una scena «raccapricciante» e di aver visto «gambe di più sgabelli in legno che sono stati utilizzati per colpirlo alla testa. Le brande dei letti poste a formare una sorta di barricata. C’era addirittura una forchetta spezzata, probabilmente utilizzata per cercare di colpire Alberto Scagni e un’evidente macchia di sangue lungo tutta una parete».
La madre di Alberto e Alice Scagni riferisce inoltre di aver parlato con i detenuti delle celle davanti a quella dove era recluso il figlio. «Mi hanno detto: “noi abbiamo cercato di fermarlo, tre ore, quattro ore, tutta la notte…E’ uno schifo, è una vergogna, non hanno fatto niente…».
[Foto tratta dalla trasmissione Chi l’ha visto?]