Fiumi di cocaina dalle cosche calabresi all’Imperiese, mercoledì i primi interrogatori di garanzia
Secondo gli inquirenti sono state utilizzate intimidazioni mafiose. Domenico Gioffrè, in particolare, «faceva presente le provenienza regionale sua e dei suoi soci»
Imperia. Sono stati fissati per domani mattina, mercoledì 15 novembre, i primi interrogatori di garanzia per le persone arrestate con l’accusa, a vario titolo, di associazione per delinquere, traffico di droga, estorsione, lesioni, rapina e detenzione di armi, nell’ambito dell’inchiesta della Guardia di Finanza culminata ieri con l’esecuzione di ventotto misure cautelari.
A comparire, davanti al giudice, saranno anche i personaggi considerati a capo dell’organizzazione criminale: Domenico Gioffrè e i fratelli De Marte (tutti difesi dell’avvocato Marco Bosio). Tra le accuse che gli inquirenti muovono agli indagati, c’è anche, si legge nelle carte, «l’aggravante di avere l’associazione operato avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis c.p., cercando di affermare e affermando il proprio monopolio nell’area del Dianese dove gestisce lo spaccio avvalendosi di una numericamente cospicua rete di venditori, anche grazie alle minacce e all’evocazione del nome della famiglia De Marte – Gioffrè, che, per reputazione criminale acquisita, le consente di affermarsi nel mercato locale degli stupefacenti».
E’ quanto emerge, ad esempio, quando Gioffrè temendo che un pusher di nazionalità marocchina si appropriasse di quote di mercato controllate dal suo gruppo. Ai magrebini Gioffrè fa sapere, tramite un suo scagnozzo, che gli stavano dando fastidio: «Tieni lontano a quello lì perché danno fastidio a me e poi mi incazzo», dice. E se la minaccia verbale non dovesse essere efficace, progetta di farlo con un’arma: «Quello è da mettercela in bocca e di metterlo in ginocchio…inc.le..per farlo spaventare come si deve».
Al sodale Santarpia, Gioffrè affida «messaggi di ritorsione nel caso in cui lo stesso o i suoi correi avessero continuato a vendere stupefacente a Diano Marina e a San Bartolomeo, dicendogli di comunicare che “i calabresi” avevano ormai perso la pazienza, anche evocando il cognome della propria famiglia, inserita nella mappa della criminalità organizzata della provincia di Imperia nelle relazioni semestrali della D.I.A., “Il cognome mio non lo sa… cognome non dirglielo? digli “sai i calabresi”. Digli “i calabresi hanno le palle piene”». E se devono dimostrare la propria supremazia sul territorio «non vengono con le mani…ti sparano addosso…te ne vai via di qua….se vuoi lavorare lavori con noi».
A chi gli era debitore, Gioffrè mandava messaggi di minaccia, e, sottolineano gli investigatori «faceva presente le provenienza regionale sua e dei suoi soci (“non siamo liguri eh!”…..oppure….”perché non parli con un milanese parli con un calabrese”.)».