Imperia, cold case svedese: iniziato il processo contro Salvatore Aldobrandi. In aula madre e fratello della vittima

13 ottobre 2023 | 12:11
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Il presunto killer della 21enne si è sempre professato innocente

Imperia. Si è aperto stamane, davanti alla Corte di Assise di Imperia, presieduta dal giudice Carlo Indellicati, il processo per omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili e soppressione di cadavere, che ha portato alla sbarra Salvatore Aldobrandi: il pizzaiolo di 73 anni, originario di San Sosti (Cosenza), da anni residente a Sanremo, arrestato il 17 giugno scorso su ordine del gip di Imperia, perché ritenuto responsabile di aver ucciso Sargonia Dankha, 21 anni, di origini irachene, naturalizzata svedese, sparita nel nulla nel primo pomeriggio del 13 novembre del 1995 a Linköping, in Svezia.

In aula, oltre alla pubblica accusa, rappresentata dai pm Maria Paola Marrali e Matteo Gobbi, era presente lo stesso Aldobrandi, difeso dall’avvocato Andrea Rovere. Quando l’uomo è entrato, accompagnato da tre agenti di polizia penitenziaria, la madre e il fratello della giovane vittima, giunti dalla Svezia, non sono riusciti a sostenerne lo sguardo. In aula, Ghriba Shabo e Ninos Dankha, mamma e fratello minore di Sargonia, hanno guardato sempre in avanti, sostenendosi a vicenda, per non incrociare mai lo sguardo dell’ex fidanzato della 21enne, da 28 anni unico sospettato della morte della giovane, di cui non è mai stato trovato il corpo.

Novità della prima udienza, è la contestazione da parte dei pm di una terza aggravante, quella della recidiva specifica infraquinquennale, dovuta a due condanne, comminate in Svezia ad Aldobrandi, antecedenti l’omicidio, per violenza sessuale e maltrattamenti. «Quello della recidiva – ha affermato Gobbi – è un aspetto tecnico che deriva dal fatto che in Svezia Aldobrandi risulta, da casellario giudiziario estratto e comunicato alla procura di Imperia, e anche sulla base di altre sentenze che sono state acquisite, aver commesso atti di maltrattamento e di violenza sessuale in epoca antecedente rispetto ai fatti per cui oggi è a processo». La procura, inoltre, aveva chiesto di eseguire nuovi accertamenti sulle tracce ematiche trovate nell’abitazione dell’imputato. «Sulle tracce ematiche trovate in casa dell’imputato abbiamo fatto un’ulteriore consulenza – ha affermato Marrali – naturalmente a distanza e solo sulle fotografie, ma si tratta di polizia giudiziaria estremamente specializzata. Quindi, hanno tratto degli argomenti molto importanti per quanto riguarda l’arma del delitto, la posizione della vittima e dell’aggressore. Dati che sicuramente servono a integrare e corroborare il nostro quadro accusatorio».

Nel corso dell’udienza l’avvocato Francesco Rubino, legale di parte civile (Ghariba Shabo e Ninos Dankha) ha chiesto e ottenuto, di ammettere tra le fonti di prova anche la consulenza di una psicoterapeuta (Anna Bellabio). «Abbiamo chiesto anche l’intervento di una psicoterapeuta, perché riteniamo sia fondamentale. L’aggravante dei motivi abbietti, infatti, impone alla Corte delle chiavi di lettura non solo giuridiche ma anche psicologiche per comprendere il rapporto tra quell’uomo e la vittima, com’era questo rapporto e come veniva gestito. La psicoterapeuta avrà a disposizione solo gli atti della Corte e su quelli darà il proprio parere di esperto non sui fatti di reato, ma darà i criteri psicologici alla corte per comprendere determinate dinamiche relazionali tra un uomo e una donna».

Dall’altra parte Aldobrandi continua a professarsi innocente. «Quando gli ho chiesto delucidazioni su alcuni aspetti che emergevano dalle carte – ha detto l’avvocato della difesa, Andrea Rovere – Lui mi ha risposto: sono passati ventotto anni, non ricordo. Allora, ho replicato: ‘figurati se non ricordi un procedimento per omicidio’ e la risposta è stata: ‘se l’avessi fatto l’omicidio, me ne ricorderei sicuramente; ma siccome non l’ho fatto”. Rovere ha poi aggiunto: «E’ un processo indiziario, perché non sono stati trovati né il corpo né l’arma del delitto. Inoltre, c’è un problema tecnico, perché è un procedimento che si fonda su accertamenti, parlo di quelli scientifici, risalenti a ventotto anni fa, ma che per devono essere utilizzati adesso. Io, allora, voglio sapere ventotto anni fa come sono state acquisite le prove, con quali sistemi, visto che non c’erano gli strumenti scientifici che abbiamo oggi. Ci saranno, poi, alcuni elementi che emergeranno nel corso dell’istruttoria dibattimentale ed è il motivo per cui mi sono opposto all’acquisizione degli atti svedesi realizzati ventotto anni fa, senza rispetto delle garanzie italiane. Non ho interesse a scappare dal processo, io mi difendo ma voglio avere il diritto di esaminare i testimoni».

Madre e fratello di Sargonia (il padre è morto nel 2020, ndr) torneranno a Imperia il prossimo 8 novembre, per essere ascoltati in qualità di testimoni. Poi continueranno a seguire il processo da remoto.

«Che dire? siamo sbattuti – ha detto Ninos -. Lui non voglio vederlo negli occhi. Chiediamo solo giustizia, giustizia, giustizia. A lui, niente; non abbiamo parole da sprecare». «Mia sorella – aggiunge – Era la persona più socievole e amichevole che abbia mai incontrato».

«Essere qui è molto triste – ha dichiarato Ghriba Shabo – Mi ha completamente distrutto vederlo (Aldobrandi, ndr). Non ho mai smesso di lottare per conoscere la verità. Voglio sapere cosa ha fatto. Sono stata mamma di Sargonia per 21 anni, ho molti ricordi: lei era gioia e amore nella nostra casa. Poi è stato il vuoto. Suo fratello non riesce più a stare in quella casa (dove viveva la famiglia di Sargonia, ndr), perché è vuota». Dall’Italia, la famiglia, aspetta quella giustizia che in Svezia non ha trovato: «Spero davvero che la giustizia italiana possa darci una risposta dopo 28 anni. Spero che i testimoni svedesi che sanno cosa è successo al corpo, lo dicano alla corte, dicano cosa è successo. Io ho vissuto la mia vita, mio figlio ha ancora la sua da vivere: per questo dobbiamo avere delle risposte», ha aggiunto la madre. Alla domanda, se volesse dire qualcosa ad Aldobrandi, Ghriba ha risposto: «Se ha un cervello e un cuore, direbbe cosa è successo. Ho perso un figlio prima della sparizione di Sargonia e poi lei, e lui (Aldobrandi, ndr) ancora mi fa questo».

processo aldobrandi

La casa in via Hamngatan, 19, a Linköping, in Svezia, dove viveva Sargonia. 

processo aldobrandi

Il condominio di via Nygatan 54, a Linköping, in Svezia, dove viveva Salvatore Aldobrandi.