Cosio D’Arroscia, i 60 anni di attività dello chef Giuliano Tommasini: «Non riesco a pensarmi in pensione, amo il mio lavoro»

23 agosto 2023 | 13:39
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Cosio D’Arroscia, i 60 anni di attività dello chef Giuliano Tommasini: «Non riesco a pensarmi in pensione, amo il mio lavoro»

«Finto il pranzo mi piace uscire dalla mia cucina e parlare con i clienti credo che sia importante rapportarsi con loro»

Cosio D’Arroscia. Sessant’anni di attività e avere la stessa passione di quando ha iniziato. È la storia dello chef Giuliano Tommasini, 75 anni compiuti lo scorso giugno, che oggi 23 agosto taglia il nastro di più di mezzo secolo di lavoro dietro ai fornelli nelle cucine di alberghi e ristoranti.

Toscano di nascita, si è trasferito definitivamente a Cosio nove anni fa, complice anche all’origine cosiese della moglie che gli ha fatto conoscere il borgo in gioventù. Da alcuni lavora al ristorante Cadò dove ha integrato ricette toscane accostandole alla tradizione ligure. Nei suoi menù non mancano, quando è possibile, salumi e formaggi toscani, la ribollita, il cacciucco alla pisana ( a seconda del pescato) o i ravioli del Mugello conosciuti come i mugellani con il ripieno di patate, pancetta ed erbette e le serate alla fiorentina ma come afferma lui stesso «faccio un brandacujun talmente buono che i clienti si stupiscono che io sia di origine toscana e non ligure».

«Ho iniziato quando avevo 14 anni- racconta- nel ristorante di un albergo vicino a dove abitavo, il Royal Victoria Hotel. Il gestore dell’epoca mi ha proposto di andare a lavorare da lui. Era il 1963 e le cose erano molto diverse rispetto ad oggi. Ho chiesto il permesso ai miei genitori e una volta ottenuto il nulla osta sono andato. Il primo giorno ho guardato come si lavorava in sala, il secondo invece, lo chef dell’epoca, dopo che il suo assistente si era licenziato, mi ha proposto di prendere il suo posto e da quel giorno non ho più smesso. Ci sono rimasto fino al 1988 gestendo, nel corso degli anni, anche il ristorante dell’Hotel. Poi ho cambiato location, rimanendo sempre in Toscana. In un altro ristorante, la Rota, sono rimasto diciannove anni».

«Poi nel 2012 sono andato in pensione pensando di non lavorare più finché non sono arrivato a Cosio- prosegue ridendo- ho conosciuto Antonio Galante, e abbiamo iniziato a collaborare quando lui era presidente per la Pro Loco e per cinque anni ero chef della Pro Loco.  Poi abbiamo iniziato il progetto del ristorante e distanza di nove decadi siamo ancora qua. Non riesco a pensarmi in pensione, amo il mio lavoro e non riesco a stare fermo. È un’attività che mi stimola. Oltre alla cucina ho la passione per i cani, ne possiedo undici, e la campagna a cui sicuramente dedicherò più tempo quando appenderò al chiodo il cappello da chef ».

Una vita passata a fare tanti anni di gavetta tra i fornelli dei ristoranti più rinomati della Toscana tra cui il Royal Victoria Hotel di Pisa dove ha iniziato la professione, Villa Manzi e al Rota dove ha lavorato per diciannove anni. E poi molti altri tra Siena, Volterra e anche locali sul mare.

«Del mio lavoro mi piace tutto, non riesco proprio a starne lontano. Finito il pranzo mi piace uscire dalla mia cucina e parlare con i clienti credo che sia importante rapportarsi con loro».

« In futuro- prosegue- sarò costretto a ridurre la mia presenza ma non riusciamo a trovare un ragazzo o una ragazza che abbia voglia di stare un po’ con me per imparare il mestiere. Nella vita ho cresciuto tantissimi di futuri cuochi ma qui non riusciamo a trovarne.  Cederei volentieri a uno che meriti una ragazza o un ragazzo. L’ho sempre detto a tutti se avete voglia di prendervi quel poco che riesco a trasmettere io sarei più che contento. Oggi c’è poca preparazione, le basi non le hanno in tanti. Pochi, se messi da soli, riescono a sviluppare un menù e non lo dico perché mi ritengo chissà chi, però ho svolto tanta gavetta quella vera che si faceva e che, secondo me,  si dovrebbe continuare a fare, non che si arriva e si vuole già essere chef, quello è un titolo che bisogna meritare, ci vogliono anni per poter dire io sono chef, anni di sacrifici».