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La storia di Ranzo nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

15 luglio 2023 | 08:00
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La storia di Ranzo nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

Dominio per lunghi secoli dei marchesi di Clavesana e poi passato sotto la giurisdizione della Repubblica di Genova nel 1393

Ranzo. Nuovo appuntamento con la rubrica dello storico sanremese Andrea Gandolfo sui paesi della provincia di Imperia con una narrazione delle vicende storiche di Ranzo, in valle Arroscia, dominio per lunghi secoli dei marchesi di Clavesana e poi passato sotto la giurisdizione della Repubblica di Genova nel 1393:

“Il paese di Ranzo è l’ultimo comune del fondovalle dell’Arroscia situato in provincia di Imperia, che s’incontra dopo l’ansa che il torrente compie appena superato l’abitato di Borghetto. Il territorio comunale è formato da Borgo di Ranzo, ai lati della Statale, e da numerose borgate sparse sul versante collinare sinistro che risulta esposto a mezzogiorno e coltivato a uliveto. Borgo di Ranzo, analogo a Borghetto d’Arroscia per schema urbano e cronologia di impianto, conclude la serie degli insediamenti lungo la direttrice di fondovalle prima della corona dei centri pianificati dal comune di Albenga ai confini della piana omonima per difendere la propria autonomia dalle rivendicazioni delle signorie feudali.

Anche il successivo insediamento di Costa Bacelega, situato oltre l’abitato di Aquila di Arroscia, rappresenta uno dei centri di maggior compattezza ed articolazione del versante e risulta organizzato secondo un tipico schema lineare di crinale. L’impianto relativamente moderno dei vari centri del comprensorio ranzese si spiega in particolare con l’esistenza di una estesa «terra di nessuno» che almeno per tutto il periodo medievale ha formato una sorta di cuscinetto tra le opposte egemonie territoriali, ossia tra le terre appartenenti ai marchesi di Clavesana e ai Del Carretto, da una parte, e i possedimenti facenti parte del Comune di Albenga e della Repubblica di Genova, dall’altra. Il toponimo è attestato a partire dal XIII secolo nella forma Rancio, ma la dizione locale Ransu dimostra chiaramente che la s è sorda.

Si tratta quasi sicuramente di un toponimo prediale senza suffisso, derivante probabilmente dal nome gentilizio romano Rantius. Le più antiche testimonianze della presenza umana nel territorio ranzese potrebbero risalire all’età protostorica, quando la zona dovette essere presumibilmente frequentata da tribù di cacciatori e pastori, alle quali sarebbero poi subentrate popolazioni appartenenti alla tribù dei Liguri Ingauni o, forse, dei Liguri Montani, che popolarono l’entroterra ligure nell’età preromana. Non risulta tuttavia provato storicamente che la Valle Arroscia sia stata effettivamente abitata durante l’età romana al pari delle zone di fondovalle, oppure se la nascita dei paesi valligiani sia da collocare piuttosto nei secoli altomedievali e in particolare nel periodo successivo alle incursioni saracene caratterizzato dal fenomeno dell’incastellamento.

Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, la zona di Ranzo venne interessata dal passaggio di orde barbariche, che probabilmente saccheggiarono e devastarono i principali centri della valle, passando quindi sotto il dominio dei Longobardi a partire dal 643 e poi sotto quello dei Franchi fino all’888. Per la particolare conformazione orografica del territorio ranzese è inoltre possibile ipotizzare come il primitivo insediamento del futuro paese, che ripete le condizioni presenti nella stretta di Campomarzio in Valle Argentina, abbia costituito un caposaldo bizantino, al pari dei borghi di Chiusavecchia in valle Impero e di Cisano nella valle del Neva, lungo il tracciato del fronte limitaneo.

Nell’ambito della successiva riorganizzazione territoriale attuata nel periodo carolingio, Ranzo entrò a quindi far parte del Comitato di Albenga insieme agli altri paesi del fondovalle, che si andava gradualmente sviluppando, sotto l’aspetto demografico e commerciale, lungo l’arteria di collegamento con il Basso Piemonte e la Val Pennavaira. Durante il X secolo il paese venne quindi inglobato nella Marca Arduinica, sempre però sotto la giurisdizione del Comitato albenganese, che proprio in quel periodo conobbe la definitiva affermazione del sistema feudale in funzione di raccordo tra l’entroterra padano e il litorale tirrenico, la cui importanza era ribadita dal progressivo aumento dei traffici commerciali lungo le strade del fondovalle e quelle che salivano trasversalmente da una valle all’altra.

In seguito alla dissoluzione della Marca Arduinica, il paese, dopo alcuni passaggi di giurisdizione feudale, passò, insieme agli altri borghi della Valle Arroscia dipendenti sotto il profilo amministrativo dal Comitato di Albenga, agli aleramici marchesi di Clavesana, i cui vasti possedimenti vennero allora subinfeudati a famiglie appartenenti alla nobiltà locale, rimanendo tuttavia sempre soggetti alle mire espansionistiche del Comune di Albenga.

Proprio per fronteggiare adeguatamente tali propositi, i Clavesana fecero costruire nei pressi dell’abitato un castello fortificato, la cui prima erezione la tradizione attribuisce tuttavia al X secolo, quando la popolazione locale avrebbe costruito un maniero per difendersi dalle incursioni saracene. Nel 1233 Ranzo si era intanto unito ad altri piccoli centri della Valle Arroscia allo scopo di fondare il borgo di Pieve di Teco per trarre ulteriori vantaggi dai traffici commerciali che si svolgevano sulla strada del Colle di Nava, divenendo in seguito uno dei quindici comuni dell’antico Mandamento di Pieve di Teco.

Durante il periodo del Basso Medioevo si verificò inoltre il fenomeno del progressivo trasferimento della popolazione verso la zona di fondovalle e dello sviluppo degli insediamenti lungo il torrente, le cui acque erano sfruttate per il funzionamento dei mulini. La crescita lineare dei borghi lungo la direttrice di fondovalle rappresenta peraltro una conseguenza diretta dell’incremento degli scambi commerciali lungo la via che dalla costa, attraverso la Valle Arroscia e il Colle di Nava, conduceva in Piemonte.

Tale funzione di centro di passaggio e transito è ancor oggi sottolineata dalle numerose e larghe porte che consentivano l’ingresso e la sosta dei carri. Frattanto il territorio di Ranzo era sempre rimasto sotto il controllo dei Clavesana, che nel 1355 cedettero però la metà del feudo ranzese a Emanuele e Aleramo Del Carretto, mentre l’altra metà rimase in possesso dei Clavesana fino al 1358, anno in cui Emanuele di Clavesana ne fece dono alla Repubblica di Genova restandovi soltanto come feudatario. In seguito sorsero gravi dissidi tra i Ceva, i Del Carretto e i Clavesana per il possesso dei feudi siti nel territorio di Ranzo fino a quando, nel 1386, non intervenne il doge di Genova Antoniotto Adorno che con un «lodo» stabilì che Emanuele e Antonio Del Carretto cedessero i tre quarti di Ranzo e altri possedimenti alla Serenissima, con la facoltà di conservarli solo come semplici feudi.

Con tale deliberazione, i Del Carretto rimasero quindi proprietari per un quarto e feudatari per tre quarti della metà dell’antico feudo dei Clavesana. Nel 1393 la Repubblica di Genova acquistò infine da Giovanni di Saluzzo, marchese di Clavesana, l’intero territorio di Ranzo, che, insieme a quelli di Cosio, Mendatica e Pornassio, entrò stabilmente a far parte dei domini genovesi in Valle Arroscia. Nei secoli successivi Ranzo rimase quindi un fedele possedimento della Repubblica, che l’avrebbe amministrata, insieme agli altri paesi del fondovalle arrosciano, fino all’epoca della Rivoluzione francese.

In tale lasso di tempo il borgo si sviluppò soprattutto dal punto di vista demografico, come attestato dai dati raccolti nella prima metà del Cinquecento da Agostino Giustiniani, in base ai quali Ranzo e Bacelega avevano una popolazione di 60 fuochi ciascuna, per un totale di quasi 500 abitanti, per cui non si distinguevano per entità demografica dai numerosi altri piccoli centri della media valle. Anche il settore economico risultava particolarmente florido e sviluppato con le attività principali basate sullo sfruttamento dei boschi, tra cui molti querceti governati a ceduo e castagneti e, soprattutto alle quote più basse, sull’agricoltura, che forniva grano, legumi, castagne, olive e vari tipi di frutta.

Dopo l’invasione della Liguria occidentale da parte delle truppe rivoluzionarie francesi guidate dal generale Massena nell’aprile del 1794, anche Ranzo entrò nell’orbita della Francia, che, al pari degli altri paesi limitrofi, vi istituì un regime di occupazione, particolarmente oneroso per la popolazione locale. Con la nascita della Repubblica Ligure nel giugno del 1797 fu quindi introdotto un nuovo ordinamento amministrativo in base al quale il territorio ligure venne frazionato in una serie di minuscole municipalità, con una larga indipendenza per le assemblee locali e una gestione autonoma della cosa pubblica da parte delle singole amministrazioni.

Pure Ranzo fu allora organizzato in Municipalità, venne posto a capo dell’omonimo Cantone, a cui erano sottoposti tra gli altri i paesi di Gavenola e Aquila, sotto l’amministrazione generale della Giurisdizione del Centa con capoluogo Albenga. Annessa la Liguria all’Impero francese nel 1805, Ranzo entrò a far parte del Dipartimento di Montenotte, rimanendovi fino alla caduta del regime napoleonico, quando, dopo il breve intermezzo dell’effimera restaurazione della Repubblica di Genova, passò nel 1815 al Regno di Sardegna; il governo sabaudo, nell’ambito della generale riorganizzazione del territorio ligure attuata nel 1819 spezzò definitivamente l’antica unità delle valli ingaune con l’assegnazione dei comuni dell’alta Valle Arroscia, fino a Ranzo, alla provincia di Oneglia, la quale, dopo la cessione del Nizzardo alla Francia nel marzo del 1860, andò a formare con la provincia di Sanremo la nuova provincia di Porto Maurizio.

Nel febbraio del 1887 Ranzo subì soltanto lievi danni a causa del terremoto che devastò il Ponente ligure, tanto che non si registrarono vittime o feriti ma solo lesioni ad alcuni edifici pubblici e privati, per cui le autorità governative concessero un mutuo pari a 39.890 a tredici Ranzesi e la somma di 23.150 lire al Comune per la riparazione di fabbricati di proprietà municipale e di chiese, oratori, case canoniche e sedi di Confraternite, risultati danneggiati dal sisma.

Dopo gli anni della Grande Guerra, alla quale il paese contribuì con diversi caduti, nell’ambito della riorganizzazione degli enti locali attuata dal regime fascista nel 1928, Ranzo, insieme ad Aquila di Arroscia, venne aggregato, in qualità di frazione, al Comune di Borghetto d’Arroscia, da cui si sarebbe staccato nel 1947, riacquistando la sua tradizionale autonomia municipale. Nel corso della guerra di Liberazione a Ranzo operò in particolare il distaccamento partigiano «F. Airaldi», dipendente dal comando della II Brigata «Giovanni Berio», mentre il presidio tedesco di stanza a Ranzo abbandonò il paese nella seconda metà di settembre del 1944, lasciando libera la Valle Arroscia fino a Borgo di Ranzo compreso.

Il 5 ottobre del ’44, mentre i Tedeschi tentavano per la quarta volta la ricostruzione del ponte di Vessalico, i garibaldini di Raymond Rossi (Ramon) fecero saltare il ponte di Ranzo alle loro spalle, per impedire al nemico la ritirata in previsione dell’attacco al paese da effettuarsi da distaccamenti della I brigata, come risposta anche al massiccio rastrellamento effettuato il 10 agosto precedente dalle truppe naziste che, dopo aver sfondato le linee partigiane tra Ormea e Case di Nava, erano dilagate in Valle Arroscia seminando terrore e distruzioni.

Dopo la fine della guerra si registrò una discreta ripresa dell’economia ranzese, basata ancor oggi prevalentemente sull’agricoltura, che occupa circa un terzo della popolazione attiva, mentre sono pochissimi gli addetti all’industria a fronte di un numero assai maggiore di impiegati nel settore terziario, che supera quelli impiegati nel comparto agricolo. Le attività primarie sono in buona parte costituite dall’olivicoltura, considerato anche il fatto che oltre il 40% della superficie agricola utilizzata è coperto da uliveti, da cui si ricava un ottimo olio extravergine d’oliva, oltre ad una discreta produzione di olive in salamoia, mentre è stata avviata pure la commercializzazione della pasta di olive.

Riveste peraltro una certa rilevanza anche la viticoltura con l’uva, dalla quale si ricavano quantitativi modesti ma qualitativamente apprezzabili di Pigato dolce, un pregiato vino bianco da dessert, Pigato secco, un vino bianco da pesce, Crovetto e Ormeasco, mentre tra le colture agricole si segnalano quelle dei caki, dei peschi e delle fragole. Limitato ma non trascurabile è invece il settore dell’allevamento con parecchie decine di bovini e ovini, mentre l’allevamento di animali da cortile rimane confinato all’ambito familiare.

Le attività secondarie sono invece molto modeste e riguardano quasi esclusivamente il comparto della oleificazione delle olive con una scarsa incidenza sull’economia locale a differenza del settore terziario, che ha registrato un notevole incremento e può contare su un discreto numero di addetti impiegati in una quindicina di esercizi pubblici, tra negozi di generi alimentari e di generi vari, un magazzino di mobili, bar e ristoranti, mentre sono sempre più numerosi i Ranzesi che si recano a lavorare stagionalmente nelle località della costa, ubicate soprattutto nella piana di Albenga e lungo il litorale savonese. In netta ripresa è pure il settore turistico, con punte di arrivi soprattutto nel corso della stagione estiva grazie anche alle varie manifestazioni organizzate dalla Pro Loco, mentre il paese è diventato luogo di incontro di molti pescatori che convengono lungo il torrente per praticarvi la pesca della trota”.