Caso “furbetti del cartellino”, altri dipendenti graziati dal Comune. Ora tocca ad Alberto Muraglia
Il simbolo dell’inchiesta “Stachanov“ potrebbe essere reintegrato prima della fine dell’anno. E’ scontro giurisprudenziale tra Corte d’Appello e Cassazione
Sanremo. Con la sentenza della Corte d’Appello di Genova sezione lavoro che martedì ha accolto il ricorso presentato dai legali dell’ex archivista Maurizio Di Fazio, già assolto nel procedimento penale dei cosiddetti “furbetti del cartellino”, al Comune di Sanremo non rimanere che vagliare l’ultima domanda pendente di reintegro in servizio, avanzata dell’ex agente di polizia locale Alberto Muraglia (foto). Muraglia è diventato noto in tutta Italia per essere stato immortalato dalle microcamere della guardia di finanza mentre timbrava in mutande, diventando così un simbolo dei dipendenti pubblici scorretti. Dopo sei anni di gogna mediatica, i tribunali hanno sancito che non aveva commesso alcun reato.
Anche Muraglia, come Di Fazio, era stato assolto penalmente a gennaio del 2020 dal magistrato Paolo Luppi del tribunale di Imperia. La pronuncia è diventata definitiva dopo la conferma dalla Corte d’Appello (sezione penale) datata 21 gennaio 2022. Il procedimento disciplinare intestato a nome del vigile in mutande è rimasto l’ultimo ancora da definire. Alla luce della sentenza della Corte d’Appello (sezione lavoro) sul caso Di Fazio, Muraglia avrebbe diritto al reintegro e al pagamento di tutti gli stipendi non percepiti dal giorno del licenziamento fino al ritorno in Comune. Avrebbe, il condizionale rimane d’obbligo, perché è andata in maniera totalmente opposta per una terza dipendente assolta nell’ambito dello stesso filone d’indagine dell’ex vigile, per anni in servizio presso il mercato coperto di piazza Eroi. Si tratta dell’ex responsabile degli asili nido comunali Patrizia Lanzoni.
Finita nell’inchiesta al pari dei suoi colleghi assolti, per la Lanzoni la suprema Corte di Cassazione (sezione lavoro) aveva stabilito che il licenziamento per motivi disciplinari emesso dall’ex segretario comunale Concetta Orlando (in carica al tempo del blitz delle fiamme gialle), era legittimo, poiché, per quanto nel processo penale sia intervenuta anche per lei l’assoluzione con formula piena, non sempre un’assoluzione decretata sul versante penale comporta l’automatico assorbimento di questa in sede civile. Le diversità di vedute tra Corte d’Appello di Genova e Cassazione civile non rappresentano un’anomalia in Italia, dove ogni giudice può esprimersi come meglio crede, anche andando contro quanto stabilito in precedenza da un grado superiore. Il caso Lanzoni pone un’incognita sull’intera vicenda degli ex furbetti da reintegrare.
Il boccino nel frattempo è rotolato nelle mani del nuovo segretario comunale Monica Di Marco (foto), subentrata ad agosto del 2022 al posto del defunto Tommaso La Mendola. Con l’arrivo a Palazzo Bellevue di un nuovo vertice della macchina amministrativa, l’ufficio procedimenti disciplinari dell’ente locale sembra aver ammorbidito la sua linea di condotta, operando una difficile mediazione tra rigore e comprensione. Ne sono una prova la recentissima cancellazione nei confronti di un’altra dipendente coinvolta nell’inchiesta “Stachanov“, Rosella Fazio (ex dei servizi sociali) e per PaoloRighetto. Notizie, queste, finora passate sotto traccia.
In punto di diritto. Per la Corte d’Appello di Genova (sezione lavoro) il licenziamento di Di Fazio è da ritenersi illegittimo perché “… deve quindi concludersi nel senso che il sopravvenuto giudicato penale copre integralmente tanto i fatti storici che l’elemento soggettivo cui il Comune di Sanremo ha attribuito rilevanza disciplinare sia in occasione del provvedimento del 30.1.2016 anche all’esito della riapertura del procedimento disciplinare. Giudicato che risulta pertanto vincolante anche nel presente giudizio, non essendovi ulteriori condotte od elementi di residua rilevanza disciplinare a fondamento del licenziamento per cui è causa”.
Invece, solo pochi mesi prima, così si esprimeva la Corte di Cassazione (sezione lavoro) nella sentenza resa sul caso Lanzoni il primo febbraio del 2023: “…quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione in sede di memoria difensiva, va osservato che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio – non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 cod. proc. civ. -, non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della “regula iuris” alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue che va in questi casi ritenuta l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 c.p.c. (Cass. 27321 del 2021, Cass. 22376 del 2017, Cass. n. 23483 del 2010).”
Sempre la Cassazione (28943) nell’ottobre 2022 aveva ritenuto che “la valutazione disciplinare è diversa da quella effettuata in sede penale ed il giudicato ricade sulla fattispecie di reato ma non preclude una valutazione (disciplinare) della vicenda anche in base agli accertamenti penali”. La decisione della Corte d’Appello (sezione lavoro) di Genova sul caso dell’ex archivista Maurizio Di Fazio, appare quindi poco comprensibile, laddove essa richiama la sentenza della Corte d’Appello (sezione penale) del 21 gennaio 2022 – che ha cristallizzato il verdetto di assoluzione per tutti gli imputati -, affermando che “le condotte tenute da dirigenti e dipendenti, difformi al quadro normativo e regolamentare, sono certamente rilevanti sotto il profilo disciplinare” -, senza però completare la citazione giurisprudenziale con la frase: “e giustificano pienamente le sanzioni irrogate in tale ambito in relazione alle violazioni a ciascuno di essi ascritte ed oggettivamente accertate”.
Se il Comune seguisse la tesi della Corte d’Appello di Genova (sezione lavoro), ignorando quella della Cassazione, ai dipendenti ingiustamente licenziati andrebbero riconosciuti circa 240 mila euro a testa. La somma è data degli stipendi non percepiti dal giorno del licenziamento fino all’avvenuto reintegro, al lordo dei contributi previdenziali, sottratti eventuali redditi accumulati nel periodo di “vacanza forzata” dal lavoro.