Sanremo, il dramma della “Strage di Reggio Emilia” riaffiora dal passato



Dopo la rimozione dell’edicola di giornali di via Palazzo, nella galleria che porta a piazza Nota, sul muro dell’omonimo Palazzo sono spuntati fuori i manifesti affissi quando l’edificio era il municipio, spostato nel 1960 a Palazzo Bellevue
Sanremo. Un pezzo di storia se ne va ed un altro, più cupo, riemerge dal passato. Dopo la rimozione dell’edicola di giornali di via Palazzo, nella galleria che porta a piazza Nota, sui muri dell’omonimo Palazzo sono spuntati fuori i manifesti affissi quando l’edificio era il municipio, spostato nel 1960 a Palazzo Bellevue.

Si tratta di fogli sovrapposti, ora strappati e rovinati dal passare dal tempo. Due di loro risultano però discretamente leggibili quasi nella loro interezza. Sono posizionati uno sopra l’altro, scritti a mano con un pennello e quasi certamente collegati. Quello sotto, il meno rovinato, rivela la data ed il perché dell’affissione, nonché l’orientamento politico dell’attacchino. “Reggio Emilia: 5 morti. Basta col sangue operaio. Sciopero generale dalle 14 alle 24” Si legge nel manifestino: il riferimento è alla così detta “Strage di Reggio Emilia”, datata 7 luglio 1960. In quel giorno, nella città emiliana, morirono cinque operai tra i 19 ed i 41 anni, uccisi dagli spari delle forze dell’ordine. La sera, dopo che i circa 400 agenti in tenuta antisommossa non erano riusciti, tra cariche, idranti e lacrimogeni a disperdere un corteo di protesta di circa 20.000 manifestanti, su ordine del vicequestore Giulio Cafari Panico, impugnarono le armi da fuoco per poi esplodere i colpi ad altezza uomo. Persero la vita, chi subito, chi poco dopo all’ospedale: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri ed Afro Tondelli. Tre di loro erano ex partigiani e tutti erano iscritti al Partito Comunista Italiano. Secondo quanto risulterà dalle indagini, furono sparati 182 colpi di mitra, 14 di moschetto e 39 di pistola. Tutte le facciate dei palazzi delle piazze attigue al luogo degli scontri risulteranno poi crivellate di proiettili, 21 furono i feriti da arma da fuoco.
Il drammatico episodio di Reggio Emilia fu l’apice di un periodo di tensione che coinvolse tutta l’Italia. Erano gli anni del Governo Tambroni, un monocolore democristiano con l’appoggio esterno, determinante, del Movimento Sociale Italiano. L’esecutivo diede anche l’avvallo a portare il congresso nazionale del MSI a Genova, città Medaglia d’oro della Resistenza, creando ulteriori tensioni e scontri che coinvolsero tutto il paese. Fu così che il primo ministro Fernando Tambroni diede la possibilità alle forze dell’ordine di aprire il fuoco in “situazioni d’emergenza”. Alla fine di quelle terribili settimane si contarono 11 morti e centinaia di feriti, il premier si dimise.
Come risulta dai due manifesti, con il più grande che, pur strappato si intuisce che riporti la scritta “Liberiamo L’Italia dalla trappola…” dimostra come il vento di quel periodo di scontro politico abbia soffiato, fortunatamente meno forte che altrove, anche a Sanremo. Nel 1960 l’inquilino del municipio matuziano era Francesco Fusaro, della Democrazia Cristiana. Il primo cittadino, nonostante il suo colore politico fosse diametralmente opposto a quello dell’attacchino, non sembra fece rimuovere ne coprire, a quanto appare dal loro stato di conservazione, i manifesti.