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La storia di Triora nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

12 febbraio 2023 | 08:00
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La storia di Triora nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

Il celebre “borgo delle streghe” è abitato fin dall’età preistorica e ceduto alla Repubblica di Genova il 4 marzo 1261

Triora. Nuovo appuntamento con la storia locale a cura dello storico Andrea Gandolfo che questa volta propone la storia di Triora, il celebre “borgo delle streghe”, abitato fin dall’età preistorica e ceduto alla Repubblica di Genova il 4 marzo 1261.

Il borgo di Triora occupa su più livelli il versante occidentale del crinale che discende ripido dal Monte Trono, su una breve dorsale pianeggiante che precipita a valle fino alla confluenza del rio Capriolo con il torrente Argentina. Tale posizione di grande rilevanza strategica, nel punto di raccordo dei percorsi della transumanza ai piedi del Monte Saccarello e al confine della Repubblica di Genova, alla quale apparteneva, con i domini sabaudi, fecero di Triora un munito avamposto fortificato dotato di una fiorente economia agricola e pastorale, che traspare ancora oggi dalla straordinaria ricchezza monumentale e artistica del paese, dalle case medievali ornate da portali in pietra scolpiti con motivi religiosi, emblemi nobiliari e figure diverse, in un susseguirsi di carruggi, piazze, passaggi e rampe che ne fanno uno dei borghi più caratteristici e suggestivi fra gli antichi abitati liguri di montagna. Il paese, situato al centro dell’alta Valle Argentina, raccoglie inoltre le comunicazioni di passaggio trasversale su un arco di crinale molto esteso ad occidente e relativamente più ristretto a levante. Gli itinerari provenienti da Briga, Saorgio, Pigna, Buggio e Castelvittorio ad ovest formano una raggiera di mulattiere convergenti verso Triora che attraversano lo spartiacque sui valichi di Marta, Langan e San Giovanni dei Prati. L’itinerario di Marta aggira a nord la vetta di Gerbonte (1728 metri) e scende con ripide svolte sul fondovalle dove attraversa il torrente sul ponte di Gerbonte; di qui procede verso Triora superando in basso le frazioni di Creppo e Bregalla proseguendo fino a Loreto, piccolo nucleo di case arroccate sulla forra che precipita verso il torrente e disposto attorno all’omonimo santuario. A valle di Loreto, presso il ponte di Mauta, convergono le mulattiere di Langan che interessano anche il piccolo borgo di Cetta. Un altro itinerario, sempre da Langan, scende per il crinale di Stornina al ponte omonimo e risale a Triora per la chiesa della Madonna del Buon Viaggio. Le vie del valico di San Giovanni dei Prati interessano invece il vallone di Gavano e quello di Rataira disseminati di piccole frazioni minori. Nella parte alta del comprensorio triorese il territorio è attraversato dalla mulattiera che da Briga per il santuario del Fontan sale al passo di Collardente, attraversa l’alta Val Verdeggia, aggira la Rocca Barbone e per il passo della Guardia (1461 metri) e il colle Garezzo (1795 metri) si immette nella Valle Arroscia, mentre un’importante diramazione all’altezza del passo della Guardia immette, attraverso il passo di Garlenda, nell’alto Tanaro lungo una striscia di territorio storicamente legata ai domini sabaudi. Oltre alle parti alte, la via interessa nelle sue varianti più a valle i centri di Borniga, sperduta tra dirupi e balze scoscese a 1300 metri sopra il livello del mare, Realdo, che la comunità di Briga possedeva oltre crinale, e Verdeggia, contraddistinta da una struttura urbana chiaramente definita dal crinale che separa il vallone di Borrè da quello di Terrizzo. Da Realdo si scende a valle scavalcando la gola intagliata nel grande dirupo su cui è arroccato il paese, su un piccolo ponte. Oltre quello di Mauta sotto Loreto tali ponti si susseguono frequenti nell’alta valle a segnalare il passaggio delle mulattiere per i pascoli e gli alti valichi della corona di monti che la circonda. Oltre Triora la via trasversale si porta sul versante orientale giungendo a Corte dopo aver attraversato la valle del Capriolo, superando l’antichissimo ponte della Colombeira di cui restano alcuni ruderi nei pressi del mulino omonimo. Il toponimo, citato nel XII secolo come Tridoria, è probabilmente derivato col suffisso -orio dal participio passato tritum del verbo latino terere “macinare”; in origine aggettivo, attributo del plurale neutro loca, poi sostantivato. Tale etimologia si porrebbe chiaramente in riferimento con l’antica e fiorente attività molitoria della zona, confermata indirettamente anche dal sottostante borgo di Molini di Triora. Secondo un’altra ipotesi il toponimo trarrebbe invece la sua origine dal termine latino tria ora, ossia “tre bocche”, che potrebbero essere quelle del cerbero rappresentate nello stemma del paese, oppure i tre torrenti alla cui confluenza è ubicato il territorio triorese o, secondo altri ancora, i tre prodotti principali (grano, castagna e vite), su cui si basava un tempo l’economia rurale del borgo.

La zona di Triora risulta abitata fin dalla più remota antichità da piccole tribù che avevano trovato rifugio all’interno di grotte o anfratti naturali. I più antichi resti archeologici attestanti la presenza di vita umana nel territorio triorese risalgono al periodo del Neolitico medio, collocabile all’incirca tra il 3800 e il 3000 a.C. A tale fase della preistoria appartengono due siti archeologici situati nel territorio di Triora: l’Arma della Gastéa e la Tana della Volpe. La prima, detta anche Arma Mamela, situata nelle immediate vicinanze dell’abitato di Borniga, una borgata di Realdo, era adibita a luogo di sepoltura collettiva, come attestato dai corredi funebri rinvenuti nella grotta insieme alle ossa di non meno quattro individui. La Tana della Volpe si apre alla base di un’alta parete rocciosa all’altezza di circa 750 metri sulla riva destra del torrente Argentina di fronte all’abitato della frazione triorese di Loreto. All’interno dell’anfratto sono stati rinvenuti i frammenti di due o tre vasi a bocca quadrata risalenti al periodo del Neolitico medio, mentre altri reperti archeologici sono riferibili ad un periodo compreso tra il Neolitico finale e l’Eneolotico, intorno alla metà del III millennio a.C. Il periodo Eneolitico, che va dal 2500 al 1800 a.C., è caratterizzato nella zona di Triora dalla presenza di una serie di cavernette sepolcrali e anfratti rocciosi, che testimoniano l’esistenza di un’avanzata civiltà pastorale estesa fino al mare tramite le battute vie della transumanza passanti per Tenda e il Monte Bego, con significativi elementi coevi alla civiltà dolmenica e calcolitica della Provenza e della Linguadoca a partire dal 2200 a.C., anche della “Cultura del Vaso Campaniforme”, di origine iberica. Tra le varie grotte risalenti all’Eneolitico ubicate nel territorio triorese sono quelle dell’Arma di Grà di Marmo, nota anche come Grotta di Realdo, contenente numerosi reperti preistorici tra cui un deposito sepolcrale, oggetti ornamentali in ceramica e in rame, frecce in selce e diaspro e centinaia di collane di perle; l’Arma della Vigna, situata nei pressi della Tana della Volpe a 640 metri di altitudine, che conserva vari reperti in marmo, resti di vasi ad impasto grezzo e di una ciotola; e la stazione della Cava di Loreto, situata a 400 metri a nord della chiesetta di Nostra Signora di Loreto, attestante, tramite numerosi reperti, tra cui un vaso in stile “marittimo”, frammenti ceramici di olle, orcioli e tazze e vari oggetti in osso e conchiglia, la presenza in questa zona della “Cultura a Vaso Campaniforme” nella fase più antica del suo sviluppo collocabile intorno al 2000 a.C. Alla successiva età del Bronzo (1800-750 a.C.) risalgono alcuni significativi nuclei abitativi tra i quali quelli rinvenuti nel Pertuso, noto anche come Grotta di Goina, che conserva una notevole quantità di ossa umane, frammenti di vasi in ceramica e vari oggetti di tipo ornamentale, e nel Buco del Diavolo, una profonda cavità situata a 1430 metri di quota nelle vicinanze di Borniga, al cui interno sono state rinvenute ossa umane e interessanti reperti archeologici risalenti all’età del Bronzo. Significative testimonianze attestano la presenza di una progredita comunità alpestre nel territorio di Triora nel periodo dell’età del Ferro, dal 750 a.C. alla romanizzazione della regione; in particolare, sono venuti alla luce reperti risalenti alla fase più antica di questo periodo (VIII-V secolo a.C.) nel secondo strato della Tana della Volpe, mentre sulla cima del Bric Castellaccio, a 1275 metri di altitudine, nei pressi dell’abitato di Borniga, sono stati rinvenuti resti attestanti l’esistenza di un castellaro abitato da Liguri montani. Nel II secolo a.C. gli abitanti dell’odierna Triora facevano parte della tribù ligure degli Ingauni, che insieme agli Intemeli sostennero una lunga e sfibrante guerra contro i Romani. La guerra, resa ancora più dura dalla pervicace resistenza opposta dai Liguri alla lenta penetrazione romana in un territorio oltretutto particolarmente impervio, si sarebbe protratta fino al 115 a.C. con la sottomissione della Liguria a Roma. Tra le 45 tribù o genti alpine sottomesse dai Romani e riportate sulla lapide del Trofeo di Augusto a La Turbie compare anche quella dei Triullates, che, secondo alcuni storici, sarebbero stati gli antichi abitanti di Triola, il nome antico di Triora.

Durante l’età imperiale Triora visse un periodo di notevole sviluppo economico e sociale, mentre nel corso del IV secolo il paese venne evangelizzato da San Marcellino, primo vescovo di Embrun in Francia, e dai suoi compagni Vincenzo e Donnino, che erano giunti nell’alta Valle Argentina dopo essere approdati dall’Africa sulla spiaggia di Nizza nel 360. Nel periodo delle incursioni barbariche Triora registrò probabilmente un consistente aumento della sua popolazione dovuto al trasferimento in montagna di numerosi abitanti della fascia costiera per scampare alle devastazioni compiute dalle tribù barbare e saracene, tra cui le più significative furono quella condotta dai Longobardi di Rotari nel 643 e da un gruppo di Arabi, che nel 730 saccheggiarono e incendiarono il paese. Il successivo periodo carolingio è particolarmente oscuro, anche se a tale epoca alcuni storici fanno risalire la costruzione, da parte dei Benedettini, della chiesa altomedievale, con funzioni di primitiva parrocchia del borgo e dedicata ai Santi Pietro e Marziano, che era ubicata fuori del centro abitato e distrutta dalle fondamenta nel 1878 per far posto ad una piazza d’armi. Nel 950 il re d’Italia Berengario II, per difendere il territorio delle Alpi Marittime dalle incursioni saracene, divise il territorio ligure in tre marche: l’Arduinica, l’Aleramica e l’Obertenga. Triora fu assegnata alla Marca Arduinica, che corrispondeva al territorio della Contea di Albenga e si estendeva lungo il litorale da Nizza a Finale. Ad occidente la contea di Albenga confinava con la contea di Ventimiglia presso il torrente Armea nei pressi di Bussana. La marca cessò quindi di esistere nel 1091 in seguito alla morte della contessa di Susa Adelaide, che comportò lo scioglimento della marca Arduinica, mentre Triora passava sotto il dominio dei conti di Ventimiglia, pur rimanendo sotto la giurisdizione religiosa del vescovo di Albenga. Insieme a Triora i conti di Ventimiglia estesero il loro dominio anche ad altri paesi della Valle Argentina e delle valli del Maro, di Oneglia e dell’Arroscia, contese duramente con gli Aleramici. Durante tali dissidi la Repubblica di Genova riuscì a stringere il 2 luglio 1140 un patto di alleanza con i figli del marchese di Savona Bonifacio, che si impegnarono a sottomettere Ventimiglia e la sua contea. La stipulazione di tale trattato segna di fatto l’inizio del passaggio di Triora sotto il dominio dei conti di Ventimiglia, e in particolare del conte di Badalucco, che apparteneva ad un ramo collaterale della dinastia regnante a Ventimiglia. Nel 1153 il signore feudale di Linguilia Anselmo de Quadraginta inviò a Triora un proprio esattore per far rispettare il suo diritto di riscossione delle imposte, mentre quattro anni dopo, ma la notizia non è perfettamente sicura, il conte di Ventimiglia Guido Guerra giurò fedeltà a Genova, a cui donò tutti i castra della contea, tra i quali anche Triora, ricevendoli nello stesso tempo in feudo per investitura. Nella seconda metà del XIII secolo cominciava intanto a serpeggiare fra i Trioresi il desiderio di emanciparsi dal dominio ventimigliese proprio quando anche il sistema feudale si andava gradualmente dissolvendo. Sorsero allora delle associazioni di cittadini, dette Compagne, che si proponevano di incentivare l’esercizio del commercio e garantire la mutua collaborazione tra gli abitanti del paese. In questo periodo Triora, come altri centri limitrofi, si eresse a Comune (non ancora libero ma propriamente feudo-comune), governato prima da consoli e poi da podestà, con il potere di emettere proprie leggi ed eleggere i magistrati locali. Nel 1200 Triora acquistò da Gerardo Travacca di Roccabruna metà del paese di Do o Dho (l’attuale borgo di Castelvittorio), mentre il 18 marzo di due anni dopo il comune triorese stipulò con altri paesi un trattato di mutua assistenza con il podestà di Genova Goffredo Grasselli, in base al quale i rappresentanti di tali comunità si impegnarono a sostenere sotto il profilo commerciale e militare il Comune di Genova. Intorno al 1210 venne inoltre istituito a Triora un governo popolare, detto Parlamento generale, formato dai maiores terrae, e retto da sei consoli in rappresentanza delle principali famiglie magnatizie trioresi.

Nel 1217 Triora stipulò una convenzione con Montalto e Badalucco, allora riunite in un’unica comunità, per giungere ad un accordo tra le parti per lo sfruttamento del bosco di Tomena e specialmente del cuneo detto dell’Agrifoglio. L’8 gennaio 1238 fu invece firmata una transazione con il comune di Pigna. Il 15 febbraio 1250, il comune di Triora strinse una convenzione di buon vicinato con Briga, che attesta tra l’altro come in quel periodo Triora fosse stata in grado di amministrare liberamente le sue finanze e i propri interessi economici e sociali, oltre a documentare la particolare ampiezza del territorio utilizzato dai Trioresi per i pascoli e il commercio, che includevano anche ampie zone di comuni limitrofi. Constatata la volontà dei Trioresi di affrancarsi dal dominio dei conti di Ventimiglia, il conte di Badalucco Bonifacio vendette all’avvocato Janella, rappresentante insieme al capitano Guglielmo Boccanegra della Repubblica di Genova, con atto stipulato a Genova il 21 febbraio 1260 davanti alla chiesa di San Lorenzo, i castelli di Triora, Do e la metà dei castelli di Arma e Bussana per la somma di 3000 lire genovesi. La vendita di Triora a Genova non modificò tuttavia la dipendenza religiosa del paese dalla Curia vescovile di Albenga. L’avvocato Janella, forse insoddisfatto dei possedimenti appena acquistati, vendette a Genova con atto siglato il 4 marzo 1261 in casa di Opizone dei Fieschi il castello di Triora e metà dei castelli di Do, Arma e Bussana per la somma di 2300 lire genovesi. Sette giorni dopo a Triora, alla presenza dell’ambasciatore genovese e legato del capitano Guglielmo Boccanegra Lanfranco Bulbonino, i consoli e i capifamiglia del paese dell’alta Valle Argentina giurarono solennemente fedeltà alla Repubblica di Genova. Dopo averne ratificato l’annessione, Genova eresse Triora a capo di giurisdizione, in qualità di nona podesteria della Repubblica, ponendo al vertice dell’amministrazione locale un podestà, nominato direttamente dal governo genovese, con il compito di sorvegliare l’operato degli amministratori locali e di tutelare i diritti e gli interessi del Comune di Genova. La podesteria di Triora comprendeva anche i paesi di Molini, Corte e Andagna (frazioni del capoluogo), Baiardo, Do, Montalto, Badalucco e, per qualche tempo, anche Ceriana. Il 27 giugno 1271 la comunità di Triora stipulò un’altra convenzione di buon vicinato con il comune di Rezzo, mentre il 13 luglio di nove anni dopo il podestà triorese Federico Vezzano e il sindaco di Do Guglielmo Tarenca si accordano per affrancare da quasi tutte le servitù che il paese di Castel Do doveva pagare al comune di Triora, tanto che il paese della Val Nervia divenne un castello libero da gravami feudali e poté così assumere il nome di Castelfranco, nome che sarebbe stato mutato in Castelvittorio quasi sei secoli dopo nel 1862. Nel 1282 Triora siglò invece un accordo con Baiardo per la delimitazione del territorio dei pascoli nella zona di Tomena e di Ceppo, mentre il 4 gennaio dell’anno successivo venne stipulata un’altra convenzione con il paese di Carpasio a Montalto sempre per la questione dei pascoli. Nel 1284 Triora inviò duecento balestrieri alla battaglia della Meloria in aiuto alle forze armate della Repubblica, mentre sei anni dopo il paese inviò altri cinquanta balestrieri allo scopo di affiancare le truppe genovesi impegnate in uno sbarco in Sardegna nel corso della guerra contro Pisa. Intorno al 1295, a causa di attriti sorti tra i due paesi per questioni di sconfinamenti di pastori e bestiame, si verificò un’aspra contesa fra Triora e Tenda, seguita nel 1310 da un conflitto armato con i comuni guelfi di Cosio e Pornassio. Circa quindici anni dopo Triora partecipò all’assalto, insieme alle truppe del signore di Dolceacqua Imperiale Doria, del vicino paese guelfo di Buggio. Nel 1331 venne firmata una tregua tra i ghibellini di Triora, Taggia, Arma e Bussana e i guelfi dei paesi della Val Nervia. Il 3 gennaio 1346 Triora accettò un compromesso con Castelfranco e Pigna per lo sfruttamento del territorio boschivo e prativo del Monte Tanarda. Due anni dopo il paese fu colpito dal flagello della peste nera, che sterminò circa un terzo della popolazione del borgo. Il 5 agosto 1349 il comune di Triora stipulò una convenzione con la comunità di Saorgio sempre per questioni relative ai pascoli. Il 20 giugno di trent’anni dopo Triora stipulò un altro trattato di buon vicinato con il paese di Castelfranco allo scopo di trovare una soluzione per i pascoli di Langan, oggetto di scontri quotidiani per ottenerne il possesso. Nel 1383 si verificò una rivolta dei Trioresi contro Genova a causa dell’eccessiva pressione fiscale che la Repubblica aveva imposto al piccolo borgo ligure, mentre cinque anni dopo il sindaco di Montalto e Badalucco si rivolse al doge di Genova per una questione fiscale, poi risolta da una sentenza emessa dal Vicario della Riviera occidentale. Il 29 marzo 1391 venne siglata una convenzione con il comune di Pigna in merito a questioni di carattere giuridico e di regolamentazione dell’attività pastorale.

Nel 1405, sempre a causa dell’eccessiva tassazione imposta dal governo genovese, la popolazione di Triora, guidata dal podestà Levrotto, si ribellò nuovamente, prendendo in ostaggio il governatore genovese e distruggendo le cinque fortezze del paese: San Dalmazio, la più antica, il Castello, la Colombèira, il Fortino e la Sella. Di tali presidi restano ancora alcuni ruderi, ad eccezione di quella di San Dalmazio, conservatasi sino alla fine del Seicento. Il 30 giugno 1411 Triora stipulò una convenzione con il Comune di Tenda, seguita il 28 giugno di ventiquattro anni dopo, da un nuovo trattato con Briga stipulato per risolvere le numerosi liti e contese sorte per questioni di pascolo tra le due comunità. Il 23 giugno 1441 Triora stipulò invece un accordo con Taggia per comporre pacificamente le vertenze sorte tra i due paesi in merito ad accuse di furti e danni concernenti il bestiame, oltre ad accomodarsi su alcune pendenze giudiziarie. Nel 1459 il borgo venne colpito da una gravissima pestilenza che avrebbe falcidiato metà degli abitanti di Triora, ma la notizia non è storicamente certissima. Dopo una vertenza con Badalucco e Montalto protrattasi con alterne vicende dal 1459 al 1472 per motivi di carattere fiscale, nel 1497 Triora stipulò un’altra convenzione con Taggia, di cui però non è stato conservato il relativo atto, mentre il 19 maggio dell’anno successivo venne firmato un altro trattato con Briga. Nel 1498, quattro anni dopo la discesa in Italia delle truppe francesi guidate da Carlo VIII, Triora venne saccheggiata e incendiata dal duca Serranono, che aveva fatto parte del seguito del re di Francia. Il 25 marzo di tre anni dopo Triora concluse un altro trattato di amicizia e buon vicinato con Saorgio, mentre al 1519 risale una terza convenzione con il Comune di Castelfranco, di cui non ci è giunta la relativa documentazione. Nel 1531 le autorità genovesi effettuarono un censimento generale della popolazione residente a Triora, da cui risultava che il centro era abitato da una popolazione stimabile in 500 fuochi, corrispondenti a circa 2500 abitanti, mentre gli abitanti dell’intero territorio comunale erano stimati in 600 fuochi, ossia 3400 abitanti. Nel 1556 la parrocchia di Triora venne definitivamente trasferita nella chiesa della Collegiata, abbandonando la chiesa matrice dei Santi Pietro e Marziano, edificata al di fuori dell’abitato. Il 20 luglio di otto anni dopo il Ponente ligure e il Nizzardo vennero devastati da un violento terremoto e anche a Triora si ebbero numerose case rovinate dal sisma. Nel 1573 la comunità triorese stipulò una terza convenzione, dopo quelle del 1441 e del 1497, con il Comune di Taggia, di cui però non è rimasta traccia documentaria. Verso la fine dell’estate del 1587, durante una carestia che aveva duramente provato la popolazione triorese e che durava da oltre due anni, gli abitanti cominciarono a sospettare che a provocare la carestia che stava flagellando le campagne del paese fossero state alcune donne dimoranti presso la località «Cabotina». Dopo essere state individuate, le streghe trioresi vennero subito additate alla giustizia. Il Parlamento generale, dopo essersi riunito in seduta plenaria, affidò al podestà del paese Stefano Carrega l’incarico di fare in modo che le donne venissero sottoposte ad un regolare processo. Carrega chiamò allora il frate Girolamo Dal Pozzo, in qualità di vicario del vescovo di Albenga, dalla cui curia dipendeva allora Triora, e un vicario dell’Inquisitore di Genova. Dopo una serie di interrogatori i due inquirenti vagliarono la posizione di duecento donne del paese sospettate di stregoneria, incarcerandone trenta e accusandone diciotto di essere delle streghe, tutte appartenenti alle classi più povere. Gli interrogatori, di cui esistono le trascrizioni, iniziavano con la sospensione per i polsi seguita dal fuoco ai piedi e proseguivano con il supplizio del cavalletto che stirava progressivamente gambe e braccia fino a disarticolarle, mentre, se ciò non fosse bastato a farle confessare, le poverette venivano unte con un olio speciale dai poteri allucinogeni. Durante il processo di Triora si registrò la morte per dissanguamento dell’anziana Isotta Stella, mentre la principale imputata Franchetta Borelli, dopo aver resistito a ventitré ore di cavalletto, fu rilasciata. I successivi interrogatori coinvolsero anche mogli di notabili locali, per cui nel gennaio 1588 gli Anziani chiesero al governo genovese di non tenere conto delle accuse rivolte alle matrone del paese che non avevano mai dato adito al benché minimo sospetto. Le autorità della Serenissima inviarono allora a Triora ai primi di giugno del 1588 il commissario straordinario Giulio Scribani, che, alla fine di una lunga attività investigativa volta ad accertare la presenza di altre streghe sul territorio triorese, ne individuò alla fine quattro, tutte di Andagna, le quali, insieme ad una certa Ozenda di Baiardo, furono trasferite nell’ottobre del 1588 a Genova, dove vennero rinchiuse nelle carceri dell’Inquisizione. Dopo essersi profilato un grave conflitto di competenza tra il governo genovese e l’autorità ecclesiastica, tanto che la Congregazione del Sant’Uffizio a Roma avocò a se il processo, delle donne accusate di stregoneria detenute a Genova due morirono in carcere, mentre delle tredici inviate da Triora nel giugno 1588, tre erano morte e le altre erano state probabilmente rimandate libere al loro paese natale. Alla fine il Tribunale della Santa Inquisizione, dopo aver presumibilmente cassato alcune delle condanne a morte emesse verso le streghe di Triora e ordinato la scarcerazione di quelle ancora detenute, intentò un processo contro lo zelante commissario Scribani per invasione del campo riservato all’autorità ecclesiastica, ma nell’agosto del 1589 lo Scribani venne assolto, archiviando in tal modo anche l’ultimo strascico del processo alle streghe di Triora, che mise in luce fino a quali eccessi fosse in grado di arrivare la superstizione popolare unita ad un incontrollato fanatismo religioso.

Il 6 gennaio 1592 il Parlamento generale affidò ad una commissione di esperti e giureconsulti il compito di riformare gli Statuti comunali del paese, la cui prima redazione risaliva alla fine del XIII o all’inizio del XIV secolo. Concluso il lavoro di riforma, gli Statuti vennero quindi approvati dal Senato di Genova il 3 novembre 1599, mentre successive riforme sarebbero state apportate nel 1605 e nel 1620. Tali leggi rappresentarono la norma giuridica, etica e sociale a cui si informò tutta la vita triorese dal tempo della loro promulgazione fino all’età napoleonica, quando gli Statuti vennero abrogati. Gli Statuti concernevano nella prima parte le principali istituzioni politiche del Comune di Triora, ad eccezione del podestà che, pur essendo il capo formale dell’amministrazione comunale, era un funzionario statale nominato direttamente da Genova. Gli organi più importanti del Comune erano il Parlamento generale o Consiglio maggiore, eletto da un terzo degli abitanti di Triora e delle tre frazioni di Andagna, Corte e Molini e rappresentante la principale assemblea del Comune; il Consiglio dei Ventiquattro, che costituiva il vero e proprio governo del paese con il potere di ratificare i trattati stipulati con i paesi vicini e di nominare gli ambasciatori del Comune; il Consiglio degli Anziani, a cui era demandata l’amministrazione della giustizia; i sei sindaci, che avevano il compito di difendere gli interessi del Comune e quelli dei privati da malversazioni o abusi operati da magistrati o pubblici ufficiali; i due ispettori comunali, incaricati di sorvegliare sul corretto operato degli altri dipendenti del Comune; i quattro estimatori, che avevano varie mansioni, tra cui quella di curare la manutenzione e l’ampliamento delle strade; gli stanzieri, con funzioni di controllo sui prezzi dei generi alimentari; i campari, destinati all’attività di polizia rurale; i rasperi, che avevano l’incarico di tutelare i boschi e i beni del Comune; i notai, che stilavano le convenzioni di matrimonio, le donazioni e i testamenti pubblici e privati; i ragionieri, con l’incarico di tenere un registro delle pratiche comunali; gli scrivani pubblici, a cui era affidata la trascrizione ufficiale degli atti comunali; i massari, pubblici ufficiali che erano incaricati di amministrare i beni del Comune; e infine i magazzinieri, che erano responsabili dei generi alimentari conservati nei magazzini comunali. Gli Statuti di Triora contenevano anche delle norme regolanti la riscossione delle tasse da parte degli esattori comunali, mentre il diritto penale, pure contemplato negli Statuti, consisteva in una specie di tariffario, cioè un elenco delle sanzioni pecuniarie previste per coloro che si fossero resi responsabili di un reato, la cui punizione in termini di multa era direttamente proporzionata alla gravità dello stesso, anche se, per i delitti più gravi come gli omicidi vigevano le leggi genovesi applicate scrupolosamente dal podestà, che potevano anche prevedere la pena di morte tramite impiccagione, il carcere o anni di remo sulle galere della Repubblica di Genova. Gli Statuti contenevano inoltre norme che regolamentavano le attività agricole, la pastorizia, il commercio, la caccia e la pesca. Per tutte le disposizioni scritte negli Statuti era competente il pretore di Triora, mentre per tutte le altre questioni legali il foro competente era esclusivamente quello di Genova, cui il pretore triorese trasmetteva le cause. Pochi anni dopo l’approvazione degli Statuti, nel 1605, decadde ufficialmente il titolo di podestà del Comune di Triora, sostituito da quello di sindaco, anche se nei secoli precedenti i due titoli erano stati usati simultaneamente, essendo rimasti in carica nello stesso anno un sindaco e un podestà, e pure dopo il 1605 i due titoli furono utilizzati indistintamente ancora per qualche tempo.

Nel corso della successiva guerra tra la Repubblica di Genova e il Ducato sabaudo, il 7 agosto 1625 le truppe franco-piemontesi rinforzate da cinquecento soldati provenienti da Sospello e comandate dal commendatore francese Dandelot e da don Felice di Savoia, posero l’assedio a Triora. La popolazione decise allora di resistere ad oltranza all’assedio opponendo una strenua resistenza anche con l’aiuto delle milizie locali e di quelle inviate da Genova. Quando però il 20 agosto i Trioresi erano sul punto di arrendersi e consegnare gli ostaggi al nemico, giunsero in paese le truppe ausiliarie provenienti da Taggia, Porto Maurizio e Sanremo guidate dal capitano G. Vincenzo Lercari, che costrinsero gli assedianti, tornati alla carica con quattromila soldati agli ordini di don Felice di Savoia, a togliere l’assedio al borgo e a tornarsene a Sospello, dove condussero centotrenta ostaggi come prigionieri. Per commemorare la propizia conclusione dell’assedio, che i Trioresi attribuirono all’intercessione di San Bernardo di Chiaravalle, la comunità di Triora e quella delle tre ville dipendenti di Molini, Andagna e Corte decisero che da quell’anno il 20 agosto, giorno della festa di San Bernardo, sarebbe stato festivo e che gli abitanti dei quattro paesi si sarebbero recati in quella occasione in processione alla chiesa dei Santi Pietro e Marziano, che sarebbe stata restaurata in onore di San Bernardo, al quale sarebbe stato dedicato anche un altare nello stesso edificio religioso. Nel maggio 1631 si recò a Triora il commissario alle Armi della Repubblica Giovanni Vincenzo Imperiale, che stese una relazione della sua visita, in cui era sottolineata la posizione strategica dei forti trioresi unitamente alla tenacia e all’intraprendenza nel lavoro dei suoi abitanti. In seguito, con decreto della Repubblica di Genova e relativo atto di divisione rogato dal commissario Giacomo Negrone il 2 maggio 1654, i paesi di Molini, Andagna e Corte ottennero la piena autonomia amministrativa da Triora con facoltà di dotarsi di un proprio parlamento, che sarebbe rimasto in vigore fino alla proclamazione della Repubblica Ligure nel giugno del 1797. Nel 1656 la popolazione triorese venne decimata da una grave pestilenza, che, partita dal porto di Villafranca, dilagò in tutta la Liguria. Quattordici anni dopo, essendo sorte delle contese fra Triora e Briga in merito all’intricata questione dei confini tra i due comuni, il re di Francia Luigi XIV inviò a Triora in qualità di legato con il compito di risolvere la questione confinaria tra i due paesi l’abate Ugo Servient, che emise un lodo sulla questione senza riuscire tuttavia a spianare i contrasti, tanto che l’anno dopo il duca di Savoia Carlo Emanuele II, prendendo a pretesto la situazione di attrito fra Triora e Briga, dichiarò guerra alla Repubblica di Genova. Per tutto il 1672 il territorio triorese divenne teatro di una serie di sanguinose battaglie tra le truppe piemontesi e quelle genovesi, nel corso delle quali le campagne circostanti il paese vennero devastate e le masserie sparse sul territorio saccheggiate e messe a ferro e fuoco. Dopo due anni di aspro conflitto sulle montagne prospicienti Triora, il duca sabaudo pervenne ad una nuova pace con Genova stipulata il 18 gennaio 1673. Nel 1745, nell’ambito delle operazioni belliche della guerra di successione austriaca, Triora venne occupata da un corpo di spedizione spagnolo, mentre il 28 novembre di undici anni dopo il Parlamento triorese istituì la festa e la processione penitenziale detta del Monte per ringraziare la Madonna della sua intercessione che aveva consentito di liberare le campagne del paese da un’invasione di bruchi e cavallette colpevoli di aver devastato i vigneti e i campi di grano. Dopo l’invasione del territorio della Repubblica di Genova ai primi di aprile del 1794 da parte delle truppe rivoluzionarie francesi, il generale Massena fece occupare il 9 aprile Triora e vi pose il suo quartier generale, prendendo alloggio nella casa dei Borelli ubicata nel quartiere Poggio. Nell’ambito della messa a punto dello schieramento antipiemontese, il generale Massena ordinò anche il trasferimento a Triora dalla Val Roia attraverso il passo di Langan della divisione guidata dal generale Hammel. Massena si portò quindi con le sue truppe al Colle di Nava, dove, insieme alla divisione del generale Mouret e all’artiglieria comandata dal giovane generale Napoleone Bonaparte, sferrò un furioso attacco alle posizioni austro-piemontesi, che, nonostante una valida resistenza da parte di alcuni reparti sabaudi, ebbe successo e si concluse con l’occupazione di Ormea il 17 aprile e di Garessio il giorno successivo.

Dopo aver ottenuto questo brillante risultato, il generale Massena rientrò a Triora, dove predispose il piano dettagliato dei futuri spostamenti delle sue truppe. La mattina del 27 aprile partirono da Triora tre colonne di soldati francesi agli ordini del generale Hammel, mentre altre due si staccarono dalla regione restrostante il Saccarello e una terza dalla zona di Saorgio, alla volta dell’abitato di Loreto. Superata la gola di Loreto, le colonne, tra cui la principale era guidata dallo stesso Massena e dal tenente colonnello Rusca, si avviarono verso il passo di Collardente con l’obiettivo di far sloggiare i Piemontesi dalla cima di Marta e penetrare quindi in Val Roia. Dopo una serie di cruenti scontri tra le forze piemontesi e quelle francesi nei pressi del Monte Pellegrino, sulle pendici del Saccarello e nelle vicinanze del fortino di Tanarda, la colonna guidata da Hammel sferrò un violentissimo attacco alle postazioni piemontesi presso la ridotta di Sansòn, che venne occupata dalle truppe francesi dopo un durissimo scontro corpo a corpo, costato quattrocento morti ai Francesi e centocinquanta ai Piemontesi. Successivamente le colonne francesi guidate dai generali Hammel e Bruslé tentarono senza successo di impadronirsi del passo di Collardente, mentre nella notte tra il 28 e il 29 aprile, grazie al proditorio ritiro ordinato dal generale Saint Amour, le forze francesi poterono espugnare la strategica fortezza di Saorgio. Ai primi di maggio le truppe francesi guidate dal generale Massena, dopo aver abbandonato il presidio di Triora, occuparono il Colle di Tenda, da cui, nel corso dell’anno successivo, avrebbero sconfitto i Piemontesi in varie località liguri giungendo fino a Savona. A Massena subentrò poi Napoleone che, dopo aver sconfitto nuovamente i Piemontesi, costrinse il re sardo Vittorio Amedeo III a stipulare l’armistizio di Cherasco il 28 aprile 1796, con cui venivano cedute alla Francia Nizza e la Savoia. Dopo la proclamazione della Repubblica Ligure, direttamente dipendente dalla Francia, nel 1797, Triora entrò a far parte del nuovo Distretto dell’Argentina con Taggia capoluogo. Il 20 maggio dello stesso anno, per sottolineare la rottura con il vecchio regime, anche a Triora vennero scalpellati gli stemmi gentilizi dei portali del paese e delle tombe nelle chiese, mentre nella piazza della Collegiata veniva piantato l’albero della Libertà con una cerimonia che si sarebbe ripetuta anche negli anni successivi insieme a numerose feste alle quali parteciparono moltissimi abitanti al canto della Carmagnola. L’11 febbraio 1803, con decreto della Repubblica Ligure, vennero abrogati gli Statuti comunali trioresi, mentre il 2 giugno dello stesso anno il governo giacobino emanò una legge in forza della quale Triora veniva eretta a capoluogo dell’ottavo cantone della sesta giurisdizione, una delle sei entità amministrative in cui fu ripartito il territorio ligure, con residenza della municipalità e del giudice cantonale di prima classe. Il 5 giugno 1805 la Liguria fu annessa all’Impero francese e Triora entrò a far parte dell’85° Dipartimento, quello delle Alpi Marittime, che aveva come capoluogo Nizza, in qualità di comune del secondo circondario di Sanremo. Nel 1806, in ottemperanza a quanto disposto dall’editto di Saint-Cloud del 2 giugno 1804, anche a Triora si iniziò a seppellire i morti fuori dalle chiese e precisamente in un tratto di terreno, detto Trunchettu, adiacente all’antica chiesa parrocchiale di San Pietro, mentre il 25 marzo 1810 un decreto imperiale del governo napoleonico conferiva a Triora il titolo di Ville (Città) come riconoscimento della particolare importanza politica ed economica che il paese ligure aveva raggiunto sotto la dominazione francese. Dopo la caduta di Napoleone e lo sfaldamento del suo vasto impero, a Genova venne ricostituita per alcuni mesi la Repubblica oligarchica, tanto che nel mese di maggio del 1814 il sindaco di Triora Luca Capponi si era recato nel capoluogo ligure, insieme ad una delegazione di altri sindaci della Riviera di Ponente, per esprimere al governatore inglese Lord Bentinck le sue felicitazioni per la restaurazione della Repubblica, che però sarebbe stata definitivamente abrogata su decisione del Congresso di Vienna, che assegnò la Liguria al Regno di Sardegna. Aggregato il territorio ligure al Regno sardo nel 1815, Triora con tutta la zona compresa tra il fiume Varo e Oneglia lungo la costa e fino a Tenda nell’entroterra fu inclusa nella Divisione di Nizza, mentre, sotto l’aspetto fiscale, fu posta alle dipendenze di Savona, capoluogo del dipartimento finanziario.

Dal giugno del 1815 Triora divenne un Comune dipendente dalla Sottoprefettura di Sanremo, mentre sedici anni dopo la parrocchia triorese, insieme ad altre ventiquattro parrocchie della Diocesi di Albenga, venne assegnata alla Diocesi di Ventimiglia. Nell’agosto 1835 una terribile epidemia di colera, che aveva già causato molti morti in tutta la Liguria e in particolare a Genova, investì anche Triora, dove si registrarono numerose vittime. Due ufficiali trioresi, i fratelli Giovanni Battista e Luca Dho, presero parte nelle file dell’esercito piemontese, alle campagne militari della prima guerra d’indipendenza nel 1848-49. Nel 1856 la popolazione triorese venne flagellata da una nuova epidemia di colera asiatico, il cui passaggio è ricordato da una grande croce di legno piantata al Poggio delle Pie. Nel marzo del 1860, in seguito alla cessione del Nizzardo alla Francia, Triora entrò a far parte della neocostituita provincia di Porto Maurizio, mentre cinque anni dopo si cominciò a seppellire i morti nell’antica fortezza della Repubblica di Genova, detta il Fortino, già adibita nel Medioevo a luogo destinato alle esecuzioni capitali e successivamente posto di guardia e dogana con il Piemonte fino al 1815. Nel 1868 venne inaugurato il nuovo ospedale civico, mentre due anni dopo il paese fu colpito dal flagello del vaiolo nero, che mieté molte vittime. Nel 1871 furono avviati i lavori di costruzione della strada carrozzabile che, attraversando la Valle Argentina, univa Taggia a Triora. Sette anni dopo il paese venne scelto dal Ministero della Guerra come sede di una compagnia di alpini, che vi si stanziarono a partire dal 1879 nell’ex convento francescano, che fu adibito a caserma, detta denominata, a partire dal 1933, «Umberto I» e poi, dal 1934, «Saccarello». Il terremoto del 23 febbraio 1887 provocò due vittime e due feriti, oltre al serio danneggiamento di molti edifici, per la cui riparazione il governo stanziò la somma di 74.200 lire, che si aggiunsero a 198.600 lire concesse in mutuo a 108 privati, che avevano lamentato danni alle loro abitazioni a causa del sisma. Nel 1892 il Comune di Triora, dopo aver perso una lunga e dispendiosa causa con la ditta Rossat, costruttrice della strada Taggia-Triora, fu costretto a cedere alla stessa ditta Rossat i boschi di Ceppo, Tenarda, Gerbonte e Foresto, che costituivano una delle principali ricchezze del paese, mentre l’anno successivo il ministero della Guerra, su proposta del comandante del corpo d’armata di Genova generale Giuseppe De Sonnaz, fece iniziare la costruzione della strada militare Rezzo-Pigna, che sarebbe stata poi ingrandita nel 1930-35 e dotata di due nuove diramazioni nel 1939-40. L’8 settembre 1902 avvenne l’inaugurazione ufficiale del monumento al Redentore, una statua di ghisa dorata alta sei metri e rappresentante il Sacro Cuore di Gesù, sulla cima del Monte Saccarello. Il 27 dicembre dell’anno dopo fu emanata dal Parlamento la legge n. 505, con cui venne definitivamente smembrata l’antica podesteria di Triora, dalla quale furono staccate diverse frazioni che andarono a costituire il nuovo Comune di Molini di Triora. Intorno al 1910 l’impresa Fratelli Lantrua sostituì le vetture a cavalli con autocorriere per il servizio postale e il trasporto dei passeggeri nella tratta da Taggia a Triora, mentre nel 1915 il paese veniva dichiarato ufficialmente «luogo climatico di soggiorno estivo». Nel corso della successiva prima guerra mondiale ben 54 militari trioresi caddero al fronte italo-austriaco, il cui sacrificio sarebbe stato ricordato nel Monumento ai Caduti inaugurato il 22 agosto 1920 in piazza Regina Elena alla presenza delle più alte autorità civili e militari della provincia.

Nel marzo 1923 venne chiusa con decreto ministeriale la pretura di Triora, che cessò da tutte le sue funzioni, al pari di molte altre preture italiane chiuse nello stesso periodo nell’ambito della generale riorganizzazione dell’amministrazione giudiziaria attuata dal governo fascista. Nel 1934 venne ritirata la compagnia di alpini di stanza a Triora dal 1878, che fu rimpiazzata da una compagnia di fanteria, giunta il 15 settembre dello stesso anno, mentre tre anni dopo quest’ultima venne sostituita da reparti della Guardia alla Frontiera, che occuparono la caserma di Cima Marta, la fortezza di Marta e le casermette di colle Belenda e Melosa. Dopo la dichiarazione di guerra alla Francia il 10 giugno 1940 la popolazione di Triora, che si trovava nelle immediate vicinanze del fronte, venne fatta evacuare, e così tutti gli abitanti lasciarono il paese il 13 giugno per essere trasferiti tramite ferrovia in alcune località del Piemonte, della Lombardia e delle Marche, da dove sarebbero tuttavia rientrati già il 30 giugno, pochi giorni dopo la firma dell’armistizio tra l’Italia e la Francia. Nell’aprile 1943 venne inaugurata la grande caserma (a quattro piani), ribattezzata dai Trioresi il “casermone”, intitolata al tenente colonnello Giuseppe Tamagni e destinata ad ospitare una compagnia della milizia confinaria. Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Alleati i reparti della Guardia alla Frontiera di stanza a Triora abbandonarono in fretta e furia tutte le caserme della zona, mentre tra il 9 e il 10 settembre i Trioresi, approfittando della precipitosa fuga dei soldati, saccheggiarono il casermone asportandovi tutto quello che vi si trovava con una operazione che si sarebbe ripetuta il 13 ottobre, quando vennero anche saccheggiate le caserme «Saccarello» e «Cima Marta». Il 23 ottobre il capitano maggiore tedesco Edgard fece arrestare l’ex capitano della Guardia alla Frontiera di stanza a Triora, Eugenio Danovaro, e il podestà del paese Carlo Pesce, che venne però rilasciato. Danovaro fu invece condotto a Bordighera e sottoposto a stringente interrogatorio per sapere se sulle montagne trioresi operassero bande di partigiani e disertori, mentre nello stesso mese di ottobre veniva costituito il CLN di Triora, formato da Egidio Antola, Mario Arnaldi, Adolfo Borelli, Angelo Lanteri e Giovanni Battista Oddo. Il 25 marzo 1944 alcuni partigiani, che già da qualche mese si trovavano sulle alture nei pressi di Triora, scesero in paese e procedettero al disarmo dei carabinieri, saccheggiandone la caserma. Verso la fine di maggio altri gruppi di partigiani iniziarono ad operare sulle montagne trioresi, provocando la decisione delle autorità provinciali fasciste di non fornire più viveri alla popolazione di Triora. I principali comandanti delle formazioni partigiane che operavano nel territorio triorese, inquadrati nella 2ª Divisione Garibaldi «Felice Cascione», erano Nino Siccardi (Curto) di Imperia, Armando Izzo (Fragola) di Afragola (Napoli) e Giuseppe Vittorio Guglielmo (Vittò o Ivano) di Loreto, che assunse la direzione operativa delle formazioni partigiane operanti nel comprensorio triorese. Il 20 giugno 1944 i Tedeschi decisero di puntare su Triora con tre camion armati provenienti dalla bassa Valle Argentina per compiere una rappresaglia contro le forze partigiane, ma nei pressi di Carpenosa la colonna tedesca fu attaccata da un gruppo di partigiani, che ingaggiarono un combattimento durissimo contro i Tedeschi, al termine del quale si lamentarono due morti, uno per parte, oltre a diversi feriti che furono ricoverati all’ospedale di Triora. Il 3 luglio si sparse nel paese la notizia che i Tedeschi si stavano preparando per compiere un massiccio rastrellamento, ma alle sedici del giorno dopo il podestà Pesce, condotto a Molini, venne informato dal Comando tedesco che, dato il contegno della popolazione, il paese sarebbe stato risparmiato. Verso le 12 del 5 luglio, però, tre grossi camion pieni di soldati tedeschi, di cui uno carico di esplosivo, giunsero a Triora. Un maresciallo che comandava la spedizione fece allora chiamare il podestà e gli disse di avvertire la popolazione che tra due ore il borgo sarebbe stato incendiato.

Un’ora dopo l’avviso il paese era stato quasi completamente evacuato e i Tedeschi, dopo aver saccheggiato negozi, uffici e abitazioni private, fecero saltare in aria le case del quartiere Rizetto, la palazzina della Signora Maria, ricca di significative opere d’arte, il palazzo dell’ingegner Antonio Capponi, la caserma dei carabinieri, diversi edifici siti nella piazza della Collegiata, tra cui il locale delle poste e telegrafi e l’albergo dei Cacciatori, il palazzo Stella e i quartieri Poggio, Cima e Carriera. Il 18 novembre i Tedeschi lasciarono Triora, mentre alcuni aerei alleati sganciarono diversi ordigni presso il torrente Capriolo senza provocare tuttavia vittime o danni. Il 23 gennaio 1945 i fascisti effettuarono un primo massiccio rastrellamento dei giovani inclusi nelle classi chiamate alle armi, mentre il 14 febbraio successivo i partigiani assalirono una colonna di fascisti e tedeschi a Langan, uccidendo cinque fascisti e ferendo gravemente un tedesco, seminando il panico tra la popolazione triorese che temette seriamente una nuova rappresaglia nazista. Tra il 23 e il 24 aprile 1945 iniziò finalmente la ritirata dei Tedeschi, incalzati dal sopraggiungere delle forze armate alleate e dall’insurrezione partigiana, i quali, con carriaggi e cannoni, scesero a valle tra i castagneti di Stornina, mentre il paese veniva liberato dai partigiani. Dopo la guerra il governo fece costruire nel 1946-47 due palazzine destinate ad accogliere i sinistrati della rappresaglia tedesca del luglio 1944, mentre il Comune veniva trasferito nell’ex Albergo Triora, dove si trova attualmente. In seguito al Trattato di Pace con la Francia stipulato a Parigi il 10 febbraio 1947, il Comune di Triora perse le cime del Saccarello, di Marta, di Grai, di Sanson e di Collardente, che passarono sotto la sovranità francese, mentre inglobò nel suo territorio la frazione brigasca di Realdo, che venne staccata dal suo capoluogo diventato francese. Nel 1948 venne eletto sindaco di Triora Luigi Lantrua, che sarebbe rimasto in carica fino al 1980. Nel 1954-55 venne costruita la strada da Triora a Loreto a cura dell’impresa Siniscalchi di Roma, che fu poi continuata fino a Creppo, arrivando a Castel del Pino nel 1958 e raggiungendo infine Verdeggia e Realdo a metà degli anni Sessanta. Nel 1963 venne invece costruito il ponte di Loreto, alto ben 120 metri, da parte dell’impresa Rosario e Piero Siniscalchi di Roma. Il 14 giugno 1963 giunsero a Triora cento carabinieri inviati da Genova per sedare i tumulti e gli atti vandalici degli abitanti di Badalucco contrari alla costruzione della diga di Glori. Tra il 1966 e il 1972 la frazione di Monesi visse un periodo di notevole sviluppo del turismo invernale grazie anche alla costruzione di tre sciovie, una seggiovia, una pista di pattinaggio, una piscina e varie strutture alberghiere, ma purtroppo negli anni successivi l’afflusso turistico nella stazione sciistisca triorese avrebbe registrato una consistente contrazione. L’11 agosto 1974 venne inaugurata, alla presenza dei sindaci Lantrua e Merquiol e di altre autorità, la Route de l’Amitié, cioè la strada carrozzabile che collega Realdo con il comune francese di La Brigue, il cui restauro e parziale riasfaltatura sarebbero stati inaugurati il 23 novembre 2003 da numerose autorità italiane, tra cui il ministro per l’Attuazione del Programma Claudio Scajola, e da una delegazione francese, convenute per l’occasione in località Croce del Pin a circa sette chilometri da Realdo. Le amministrazioni comunali degli ultimi anni hanno puntato soprattutto sul rilancio del turismo, che rappresenta ormai una delle principali risorse dell’economia locale, che può trarre notevoli vantaggi anche dall’ulteriore sviluppo delle piccole imprese artigiane e da uno sfruttamento più intensivo e oculato dell’industria estrattiva dell’ardesia. Tra i prodotti tipici locali si segnalano in particolare il pane integrale di Triora, dalla caratteristica forma rotonda, e il bruzzo, uno dei più antichi e apprezzati formaggi d’alpeggio dell’alta Valle Argentina.