Borgomaro nel racconto dello storico sanremese Andrea Gandolfo

Situato nella valle del Maro, antico possedimento per molti secoli dei conti di Ventimiglia e poi ceduto, nel novembre del 1575, al duca di Savoia Emanuele Filiberto
Borgomaro. Protagonista dell’appuntamento dedicato alla storia locale di questa settimana a cura dello storico Andrea Gandolfo è il paese di Borgomaro, situato nella valle del Maro, antico possedimento per molti secoli dei conti di Ventimiglia e poi ceduto, nel novembre del 1575, al duca di Savoia Emanuele Filiberto.
“L’abitato è dislocato nel fondovalle lungo il corso del torrente Impero sulla sponda destra, all’ingresso dell’ampio anfiteatro montuoso formato dai contrafforti del Monte Grande (1418 m) a ovest e del Monte Guardiabella (1218 m) a est, che risultano percorsi da varie strade comunicanti attraverso appositi valichi con le limitrofe valli Argentina e Arroscia. Il paese è ubicato ad un’altitudine di circa 290 metri e si sviluppa su un territorio piuttosto limitato, pari a 103 ettari, che è tra l’altro il più esiguo tra tutti i centri della Valle del Maro, dei quali Borgomaro era il capoluogo. Il territorio del paese confina a ponente con Maro Castello e Ville San Sebastiano, a levante con Lucinasco e a nord-est con Candeasco e San Lazzaro Reale.
Il borgo si arrampica ad anfiteatro verso l’altura del Maro con le vie principali che seguono una direzione est-ovest, forse per consentire ai raggi solari di penetrare tra le case, data anche la particolare ombrosità del luogo. Borgomaro è circondato inoltre da numerose frazioni che dagli uliveti del fondovalle salgono ai castagneti e ai pascoli della fascia collinare con il borgo più elevato, Conio, situato all’altezza di 619 metri.
Il capoluogo si sviluppò nel XV secolo ai piedi del castello del Maro, antica residenza dei conti di Ventimiglia, con una fitta rete di vie perpendicolari fra loro in linea con uno sviluppo dell’abitato particolarmente ordinato, che si andò gradualmente formando accanto a numerosi frantoi e mulini in una posizione strategica assai favorevole rispetto alle principali direttrici stradali della valle, il cui fulcro spirituale e civile rimase per molti secoli l’antica pieve dei Santi Nazario e Celso, matrice delle chiese circostanti sorte nei centri principali. All’ingresso della Valle del Maro si trova invece il paese di San Lazzaro Reale, attuale frazione di Borgomaro, posto alla confluenza del torrente Impero e del Reale, due toponimi secenteschi di origine sabauda, nevralgico punto d’incrocio della strada per il Piemonte con quelle dirette a Lucinasco e alla valle di Prelà e all’interno della signoria del Maro.
Il toponimo trae il nome dal Burgum Macri, il nuovo insediamento sorto ai piedi del castello, il castro de Macro, nel corso del XV secolo, e attestato per la prima volta nel 1583 nella forma Burgo Macri, ma potrebbe anche derivare dall’idronimo Macra o Maira, nel significato latino di «palude», forse in riferimento alla particolare ricchezza di acque della zona, dove, oltre ai vari torrenti, sono presenti sorgenti di acqua solforosa, utilizzate in passato per la cura di malattie della pelle. L’origine del toponimo è ricollegabile inoltre ai numerosi mulini che esistevano sul territorio ed attorno ai quali si formò il centro principale, il quale, anziché chiamarsi Molini del Maro, assunse la denominazione ufficiale di Borgomaro.
Il più antico documento relativo alla valle del Maro risale al 20 maggio 1150, quando il vescovo di Albenga Odoardo concesse ai conti di Ventimiglia Filippo e Raimondo il diritto di riscuotere le decime ecclesiastiche sui paesi di Maro Castello, Aurigo, Conio, Lucinasco, Caravonica, Arzeno, Prelà, Cenova e Lavina, tutti borghi che già allora erano organizzati in parrocchia e versavano al vescovo diocesano prodotti in natura quali grano, avena, orzo, fichi, vino e olio tramite potenti signori feudali locali incaricati della riscossione per via della lontananza della Curia vescovile dalle zone rientranti nella sua giurisdizione.
Sembra probabile che in quegli anni il conte di Ventimiglia Oberto, sconfitto dai Genovesi nel 1140, si fosse rifugiato proprio nella valle insieme ai due figli Filippo e Raimondo, che lasciarono i loro beni al fratello Ottone, il quale fissò la sua residenza sulla sommità fortificata del borgo, da dove, il 15 luglio 1152, rilasciò, in qualità di unico signore, immunità e privilegi alle comunità della valle del Maro. Dopo l’ingrandimento territoriale seguito alla cessione dei loro possedimenti nella marca di Albenga da parte dei monaci di Lerino nel 1177, il conte Ottone acquistò per venti lire, con atto stipulato l’8 dicembre 1182, tutte le terre che il cugino Oberto, consignore di Carpasio, possedeva nell’alta valle di Oneglia, ossia nella zona del Maro.
Con una successiva convenzione, stipulata il 7 dicembre 1192, il conte Guglielmo, figlio di Ottone, si accordò con il governo genovese, che promise il suo aiuto in alcune questioni sorte con il comune di Ventimiglia in cambio della facoltà di reclutare soldati nel territorio del conte. Costui, con un altro accordo raggiunto il 4 marzo dell’anno seguente, si impegnò a cedere a Genova tutti i castelli che questa avrebbe occupato per condurre a termine la guerra, al termine della quale li avrebbe poi restituiti. Il vero e proprio fondatore del ramo del Maro è considerato tuttavia Enrico, il figlio del conte Ottone, che sottomise alla sua giurisdizione anche la contea di Pietralata superiore e inferiore, come risulta dalla convenzione da lui firmata il 18 agosto 1202 e dall’accordo stipulato da Genova il 7 agosto 1204 con le comunità delle valli Arroscia, Andora, Oneglia, Rezzo, Nasino e Pietralata.
Alla morte di Enrico, avvenuta nel 1226, i suoi tre figli Filippo, Ottone e Guido ereditarono il feudo paterno, che, in base ad un trattato di pace stipulato con Saorgio l’11 luglio 1227, risultava esteso sui paesi di Borgomaro, Prelà, Aurigo, Conio, Lucinasco e Torria. Il successivo allargamento verso oriente del territorio infeudato dal comune di Genova ai conti di Ventimiglia sino a comprendere anche terre della Valle Arroscia, fu strettamente collegato al progressivo declino dei marchesi di Clavesana, che proprio nel 1228 cedettero alla Repubblica genovese vasti territori compresi tra Taggia e Diano.
La dipendenza di Borgomaro da Genova risulta ulteriormente confermata da un documento del 16 settembre 1233, nel quale il conte Raimondo, che rivendica il titolo di signore del Maro, prometteva di pagare al governo genovese, insieme al conte Filippo, 700 lire di tasse e di concedere a Genova di fare leva di uomini nel suo territorio e di reclutare otto marinai ogni dieci galee armate dalla Repubblica, dimostrando così di tenere il Maro in feudo come fedele vassallo di Genova. Tale condizione di vassallaggio venne quindi nuovamente ribadita due anni dopo con l’ingiunzione da parte genovese ai conti del Maro Raimondo e Filippo di pagare entro quindici giorni le collette stabilite nel 1233, mentre otto anni dopo fu il Comune genovese ad intimare alla Comunità di Borgomaro e a quella di Candeasco di versare in perpetuo ogni anno dieci lire ai conti del Maro come tassa per il passaggio delle loro truppe sui rispettivi territori.
La prova della definitiva e incondizionata sottomissione della popolazione e dei conti a Genova risulta inoltre dal giuramento di fedeltà prestato il 9 giugno 1251 dagli uomini di Borgomaro e di Prelà, per ordine della Repubblica, ai conti Raimondo e Filippo. Nel febbraio 1258 Carlo d’Angiò acquistò quindi dal conte di Ventimiglia Guglielmino i suoi possedimenti nelle valli Roia e Lantosca, incontrando però la ferma opposizione dei fratelli di Guglielmino, Pietro Balbo e Pietro Guglielmo, che fornirono al re di Sicilia il pretesto per intervenire militarmente nella Liguria occidentale. Frattanto, il 24 gennaio 1261, Enrico, figlio di Filippo, conte di Ventimiglia, aveva acquistato dai cugini Ottone, Oberto e Manfredo, figli del conte Raimondo, tutti i diritti sul castello e la valle del Maro per la somma di millecento lire. Sposata la figlia del conte di Gerace Isabella nel 1262, nell’agosto del 1263 Enrico ottenne una successiva conferma dell’acquisto di Borgomaro dai conti Ottone, Oberto e Manfredo. Dopo la sconfitta di re Manfredi a Benevento nel 1266, Enrico decise di rientrare nei suoi possedimenti del Maro, proprio quando vi trasferiva le sue truppe Carlo d’Angiò, il quale, dopo aver occupato per sei anni i principali centri della valle, ne fu definitivamente scacciato nel 1273 grazie ad un’azione congiunta delle forze di Genova e dei conti di Ventimiglia.
I vasti possedimenti del conte Enrico furono poi suddivisi, con atto stilato nel castello del Maro il 21 maggio 1311, tra il conte Francesco e i due figli di Enrico Guglielmo e Nicola, ai quali furono attribuiti il castello del Maro con la giurisdizione e i diritti sulle ville dipendenti e su Prelà, Torria, Chiusanico, Montarosio e Lucinasco. Nel febbraio dell’anno successivo, i fratelli Guglielmo e Nicola concessero in affitto per cinque anni il castello del Maro con tutti i diritti, terre, case e mulini per cifra annua di 260 lire genovesi.
Negli ultimi decenni del XIII secolo e nei primi del XIV i conti di Ventimiglia non si interessarono tuttavia direttamente dell’amministrazione dei loro possedimenti nella valle del Maro, tanto che il castello comitale era occupato solo saltuariamente dai loro proprietari, che spesso delegarono altre famiglie feudali ad amministrare le località della zona. Tale regime permise ai sudditi dei conti una relativa libertà, soprattutto di carattere fiscale, come dimostrato dall’atto del 28 luglio 1326 con il quale gli abitanti di Borgomaro ottennero franchigie dalle dacite e da ogni altra gabella e pedaggio stabiliti nel Marchesato di Clavesana in modo tale che i suddetti abitanti erano di fatto liberi di andare e tornare in tutte le loro terre, oltreché vendere, comprare, permutare e redigere ogni altro contratto senza pagare nessuna particolare esazione.
Un altro atto a favore della popolazione di Borgomaro venne concesso dal conte Guglielmo nell’ottobre del 1351 con atto rogato in Sicilia da un notaio locale, che autorizzò gli uomini e le donne di Borgomaro a disporre dei loro beni, lasciati da chi moriva senza eredi diretti, secondo la loro volontà, soltanto però a favore di abitanti di Borgomaro, con la sola esclusione dei forestieri, che sarebbero stati tuttavia ammessi anch’essi alla franchigia se fossero stati residenti con le loro famiglie a Borgomaro entro sei mesi dalla morte del testatore; da parte loro gli abitanti del paese promisero al conte Guglielmo e ai suoi successori di versare loro otto lire di moneta genovese nel giorno di San Martino di ogni anno.
L’atto venne quindi riconfermato dal conte Guglielmo con atto stilato il 13 marzo 1400 nel castello del Maro alla presenza dei rappresentanti della popolazione Giovanni Gazano e Tomaso. Insieme ai diritti feudali esercitati dai conti di Ventimiglia sui paesi del Maro, questi stessi centri erano sottoposti ai diritti ecclesiastici spettanti ai vescovi di Albenga, i quali anche nel Trecento concessero ai conti di Ventimiglia l’investitura delle decime nel territorio della Valle del Maro, confermate con successive deliberazioni emesse nel periodo compreso tra il 1311 e il 1431 dalla Curia ingauna, che rinnovò periodicamente tale concessione ai vari discendenti dei conti signori del Maro.
Dopo la cessione dei territori della Repubblica di Genova al re di Francia Carlo VI nel 1396 da parte del doge Antoniotto Adorno, il sovrano francese inviò a Genova nel novembre del 1401, in qualità di governatore il maresciallo di Francia Jean Le Maingre, davanti al quale, il 23 febbraio 1402, si presentarono quindi i conti di Ventimiglia e del Maro Guglielmo e Antonio per prestare giuramento di fedeltà al nuovo signore al pari di molti altri feudatari della zona. Intanto le principali famiglie del Borgo si erano fatte promotrici di una petizione al conte Guglielmo per ottenere un migliore trattamento da parte del signore, che l’8 febbraio 1405 concesse infatti ai suoi sudditi una serie di esenzioni fiscali, confermate da un successivo provvedimento del 13 dicembre 1411, con il quale gli abitanti del Borgomaro ottennero l’ambita dispensa dai tributi di pedaggio e dazio nel commercio con la limitrofa comunità di Pieve, che costituiva allora un vitale centro di rifornimento e smercio delle principali derrate agricole del comprensorio. In quegli anni si consumò il graduale esautoramento del potere dei conti di Ventimiglia sulla valle del Maro, tanto che i principali esponenti della famiglia comitale decisero di vendere a più riprese i loro possedimenti fino alla cessione totale di tutto il territorio del Maro al conte di Tenda Onorato Lascaris da parte del conte di Ventimiglia Gaspare con atto stipulato a Tenda il 9 maggio 1455 per la somma complessiva di 8600 lire di moneta genovese.
Il nuovo signore del Maro Onorato Lascaris riconfermò nel 1460 le franchigie già concesse ai suoi sudditi, dimostrandosi tuttavia alquanto prepotente nella gestione dell’amministrazione pubblica e nell’organizzazione del suo nuovo feudo tanto da costringere molti abitanti del Borgo ad esulare nei territori di Limone e Vernante. Dopo aver fatto fortificare il castello del Maro, Onorato morì a Tenda il 4 febbraio del 1479 per avvelenamento, dopodiché la vedova Margherita Del Carretto si recò con un forte esercito nel marzo successivo nel castello del Maro per ricevere il giuramento di fedeltà della popolazione.
Dopo alterne vicende il feudo pervenne alla figlia del conte di Ventimiglia Pantaleo, Anna, che nel 1501 aveva sposato Renato di Savoia, detto il Gran Bastardo. Questi, l’11 giugno 1511, lasciò suo erede universale il figlio primogenito Claudio, che affidò l’amministrazione del Maro al celebre uomo d’armi Alessandro Sorlium e al capitano Guiraldo Salamone, che il 19 giugno 1554 ottennero il giuramento di fedeltà da parte delle popolazioni di Borgomaro, Prelà, Aurigo, Conio, Arzeno, Lavina, Cenova, Mendatica e Pornassio, mentre, il 3 dicembre successivo, Claudio confermava ufficialmente alle popolazioni interessate i loro antichi diritti e privilegi.
Alla morte di Anna Lascaris nel 1554, Claudio divenne unico signore di Borgomaro anche se contemporaneamente scoppiarono dei gravi dissidi all’interno della stessa famiglia per via della diversa appartenenza religiosa di alcuni suoi componenti. Claudio emanava un editto nel 1560 per precisare i diritti e i doveri dei suoi sudditi, e in modo particolare di quelli dei paesi del Maro, dove si recò l’anno seguente allo scopo di visitare personalmente i suoi feudi. I litigi nella famiglia dei Lascaris si aggravarono ulteriormente nel 1562 sfociando in aperta lotta armata tra Claudio e suo figlio primogenito Onorato, che era in possesso di Borgomaro e di Prelà.
Dopo la morte prematura di Onorato a soli trent’anni nel 1572, i feudi di Borgomaro e Prelà passarono alla sorella di Onorato Renata, che aveva sposato il conte Giacomo d’Urfè e che si trovò subito a dover fronteggiare le pretese del marchese di Villars e soprattutto dello zio Onorato conte di Villars e ammiraglio di Francia, il quale, nel 1574, inviò il capitano Paloque alla conquista dei due castelli di Borgomaro e di Prelà, ma venne ripetutamente sconfitto dai partigiani di Renata. Intanto nel conflitto si era inserito anche il duca di Savoia Emanuele Filiberto che aveva forti interessi ad estendere la sua egemonia sulla contea di Tenda, che alla fine venne ceduta da Renata il 15 novembre 1575. Il giorno dopo anche i possedimenti dei Lascaris situati nelle valli del Maro, Prelà, Oneglia, Carpasio e Pornassio passavano sotto la giurisdizione del duca sabaudo, che il 28 novembre successivo inviò un suo commissario nella valle del Maro e a Prelà per prendere ufficialmente possesso dei suoi nuovi domini, incaricando nello stesso tempo alcuni tecnici di disegnare la strada per condurre il sale in Piemonte.
Il 3 gennaio 1577 il duca Emanuele Filiberto ricevette quindi il giuramento di fedeltà dagli Onegliesi, e forse nello stesso giorno, anche quello degli uomini della podesteria del Maro. In seguito a varie divergenze di carattere soprattutto fiscale sorte con il prefetto di Oneglia, gli abitanti di Borgomaro inviarono al duca una supplica il 20 febbraio 1586 per lamentarsi delle richieste di tassazione illegittime avanzate dal prefetto, inducendo Carlo Emanuele I ad inviare sul posto il presidente del Senato Lazzaro Baratta il quale stilò un elenco delle principali istanze avanzate dalla popolazione di Borgomaro al duca, che nel 1587 rispose alle richieste confermando gli antichi statuti, concedendo l’esenzione dalle decime soltanto per le terre già in possesso degli abitanti di Borgomaro, ma non per quelle acquistate da allora in poi, e delegando infine Marco Antonio Ribotti di Pancalieri di inventariare tutti i beni e i diritti spettanti al duca sabaudo nel suo nuovo possedimento.
Frattanto il duca Carlo Emanuele, con lettera del 26 novembre 1589, aveva nominato sua moglie, l’infanta Caterina d’Austria, procuratrice generale, con facoltà di permutare o alienare il marchesato del Maro e il contado di Prelà con il borgo piemontese di Cavallermaggiore a favore del marchese Gio Girolamo Doria, che il 9 gennaio 1590 ricevette l’infeudamento dei castelli del Maro e di Prelà con tutti i relativi diritti al prezzo di 20.000 scudi d’oro da undici fiorini ciascuno. Il 26 gennaio seguente l’esponente dei Doria ricevette quindi il solenne giuramento di fedeltà da parte della podesteria del Maro, incaricando tre giorni dopo Bernardo Galeani di prendere possesso degli edifici e dei mulini del marchesato del Maro e del contado di Prelà. Al marchese vennero inoltre riconosciuti i diritti di assoluta sovranità nelle cause civili e criminali, mentre il segretario di tali cause era eletto direttamente dal signore e assumeva il titolo di podestà con facoltà di giudicare le cause civili.
La comunità di Borgomaro era anche tenuta a versare ogni anno al podestà venti grossi e otto lire annuali al marchese nella ricorrenza di San Martino per la conservazione delle franchigie. Nel borgo continuavano peraltro ad essere inoltrate vibrate proteste da parte della popolazione soprattutto contro il monopolio della molitura del grano e della frangitura delle olive, tanto che dovette intervenire il duca in persona, che dovette inviare a Borgomaro il conte Provana di Leiny, il quale, il 22 marzo 1604, emanò una sentenza con cui si confermavano le franchigie, le immunità e gli Statuti già concessi dal duca e dal marchese Gio Girolamo, padre del nuovo feudatario Stefano Doria, al quale la popolazione di Borgomaro, per il momento soddisfatta delle concessioni ottenute, riconfermò la sua fiducia con solenne giuramento di fedeltà prestato il 2 febbraio 1605.
Nonostante questi provvedimenti, il marchese, a distanza di soli due anni, ribadì con editto del 9 gennaio 1607 l’obbligo di frangere le olive nei frantoi marchionali, mentre il duca introitava notevoli somme di denaro grazie all’introduzione della gabella del sale, un prodotto divenuto ormai indispensabile nel quadro dell’economia locale e che il governo sabaudo considerava monopolio di stato con facoltà del duca di stabilire il prezzo di vendita, che, oltre alle spese di acquisto e di gestione, includeva anche un pesante tributo a suo favore.
In seguito allo scoppio della guerra tra il duca Carlo Emanuele I e il duca di Mantova per il possesso del Monferrato, la Spagna intervenne nel conflitto, con l’appoggio di Genova, sbarcando proprie truppe a Porto Maurizio il 16 dicembre 1614, le quali, rinforzate da alcune compagnie napoletane e genovesi, dopo aver occupato Oneglia, si diressero verso Borgomaro, dove le truppe sabaude guidate dal cavaliere di Malta Leonardo Broglia si asserragliarono nel castello del borgo intenzionate a resistere ad oltranza. Nella notte del 30 dicembre soldati spagnoli e napoletani riuscirono però a penetrare nella roccaforte ingaggiando uno scontro con i difensori, che alla fine furono costretti a capitolare.
Nel maggio 1618, pochi mesi dopo la firma della pace di Pavia, gli Spagnoli restituirono Oneglia, Borgomaro e Prelà al duca sabaudo, che, il 17 dicembre 1620, eresse queste tre località a Principato assegnandolo a suo figlio Emanuele Filiberto. Pochi anni dopo scoppiò invece la guerra tra il duca di Savoia e la Repubblica di Genova per via del contestato possesso del Marchesato di Zuccarello. Dopo lo sfondamento delle linee genovesi a Pieve di Teco, le truppe sabaude occuparono numerose località della costa fino a Ventimiglia, mentre un contingente genovese, dopo essere sbarcato ad Oneglia, si diresse ai primi di ottobre del 1625 verso Borgomaro, dove nel frattempo molti abitanti si erano ritirati sulle montagne e che fu raggiunto dalle truppe genovesi senza incontrare praticamente resistenza da parte sabauda. Il 6 ottobre, dopo aver conquistato i posti intorno al borgo murato, i Genovesi dovettero richiedere l’invio di alcuni pezzi di artiglieria da Oneglia per poter espugnare il castello, dove gli abitanti si erano asserragliati sparando dall’alto con moschetti sugli assedianti.
Dopo alcuni giorni di duri combattimenti, alla fine gli assediati decisero di capitolare e giunse a Borgomaro Gio Batta Saluzzo per formalizzare l’atto di resa, dopodiché i Genovesi fecero uscire dal castello i circa ottanta soldati sabaudi e il loro comandante Luigi Bracco che vi si trovavano e procedettero alla completa demolizione dell’edificio che non sarebbe più stato riparato. Il 5 luglio 1633 venne quindi firmata la pace di Madrid e Borgomaro potè tornare alla sua normale vita politica sotto l’amministrazione sabauda. Due anni dopo il duca di Savoia, per riordinare i suoi domini dopo tante norme e imposizioni concesse e poi revocate nel corso dei vari regimi politici che si erano succeduti, nominò il 6 febbraio 1635 Bernardo Tomatis segretario dell’Insinuazione con l’incarico di radunare e rivedere tutti gli atti notarili, testamenti, vendite e crediti redatti dai notai di Oneglia, Borgomaro e Prelà. L’anno successivo, gli abitanti di tali località offrirono al duca sabaudo 4000 ducatoni per ottenere la conferma dei loro statuti e privilegi, mantenere il prezzo del sale rosso a dieci soldi al rubbo e non chiedere i censi decennali sull’olio per il 1625 e il 1635, avendo già subito pesanti tassazioni da parte dei Genovesi.
Intanto, nonostante la pace avesse posto fine alla guerra tra i duchi di Savoia e la Repubblica di Genova, erano continuate le ostilità tra le navi francesi e quelle spagnole con gravi danni per il commercio marittimo ligure. Alla fine di agosto del 1649 una flotta spagnola, al comando di don Francesco Pimento, sbarcò ad Oneglia ed iniziò a spadroneggiare per la città provocando la ferma reazione degli abitanti, che proprio a Borgomaro si radunarono in circa 1500 e il 27 settembre marciarono su Oneglia; dopo una serie di aspri combattimenti, riuscirono a scacciare gli Spagnoli grazie soprattutto all’ardimento di un certo Giacomo Mela, che era probabilmente originario della valle del Maro.
Le continue traversie e privazioni subite dagli abitanti di Borgomaro nel corso delle varie guerre che si erano succedute avevano intanto costretto la piccola comunità a ricorrere a prestiti, la cui pressante richiesta da parte di vari mercanti indusse gli abitanti del paese a imporre una tassa sui beni della popolazione nel maggio 1657 per far fronte alle spese obbligatorie della comunità. Nel frattempo le mire sabaude sulla zona di Pieve al fine di poter congiungere Ormea con la valle di Oneglia e raggiungere quindi il mare attraverso il loro territorio, indusse il duca Carlo Emanuele II ad ordinare nel 1668 una mobilitazione generale nei suoi domini, incaricando il marchese Gian Girolamo Doria a procedere al reclutamento a Borgomaro, dove però gli abitanti si ribellarono alla pretesa del duca invocando un antico privilegio di esenzione e una concessione che prevedeva l’obbligo del servizio militare solo per la difesa della Signoria.
La situazione tuttavia degenerò di lì a pochi anni e il duca sabaudo, esasperato per tutta una serie di controversie e liti di natura confinaria, ordinò alle sue truppe di varcare la frontiera con la Repubblica di Genova e di marciare su Pieve di Teco, che venne occupata nell’estate del 1672. La zona di Borgomaro, presidiata da un contingente sabaudo comandato dal capitano Amei, venne allora invasa dalle truppe genovesi, che in pochi giorni presero possesso dei paesi di Conio, Aurigo, Borgomaro, Candeasco, Ville San Pietro e Ville San Sebastiano, mentre nella stessa Borgomaro un vecchio ufficiale che comandava a nome del marchese veniva deposto e sostituito da un governatore genovese.
Intanto truppe piemontesi provenienti da Triora, al comando dell’abate Giovanni Battista Amoretti, raggiungevano l’abitato di Conio, dove arrivarono i sindaci di Borgomaro e Candeasco per avvertire Amoretti che presso Candeasco erano alloggiati 250 soldati genovesi, che furono quindi assaliti dalle truppe sabaude che li misero in fuga. Dopo questo successo i Sabaudi iniziarono il 21 ottobre una vasta controffensiva antigenovese in tutta la valle di Oneglia che indusse il governo della Repubblica a intavolare delle trattative di resa sfociate nella pace stipulata il 18 gennaio 1673, la quale prevedeva tra l’altro la reciproca restituzione dei territori occupati e pertanto anche il Maro rientrò in possesso del duca sabaudo.
Nel ventennio successivo la valle visse un periodo di relativa tranquillità fino a quando una flotta francese si presentò davanti ad Oneglia ai primi di aprile del 1690 e iniziò a bombardare pesantemente la città scatenando la ferma reazione degli abitanti che, aiutati anche da una furiosa burrasca di mare, convinsero l’ammiraglio francese a sospendere l’attacco, mentre in numerose località interne, tra cui anche Borgomaro, si cominciava a scavare trincee e a costruire sbarramenti per respingere eventuali tentativi di invasione da parte dei Francesi. Nel luglio dell’anno successivo le principali famiglie di Borgomaro si apprestarono addirittura ad abbandonare con i loro beni il paese e a riparare a Pieve di Teco nel timore di un’imminente invasione francese dalla parte delle montagne, ma in realtà i Francesi preferirono nuovamente attaccare dal mare e nel 1692 sbarcarono ad Oneglia che venne inizialmente ceduta dai Sabaudi ai nemici, che però, dopo una serie di durissimi combattimenti a Castelvecchio, si videro costretti a ritirarsi dalla città occupata e a reimbarcarsi sulle loro navi.
I profondi attriti tra il Ducato di Savoia, divenuto nel frattempo Regno di Sardegna, e la Repubblica di Genova sfociarono in un nuovo conflitto nel 1742, quando, nell’ambito della guerra di successione austriaca, Carlo Emanuele III si alleò con l’Austria contro Francia e Spagna, mentre Genova si schierava a fianco dei franco-spagnoli. Nel maggio del 1744 gli Spagnoli occuparono quindi Oneglia, mentre i Sabaudi inviavano rinforzi nelle valli di Prelà e del Maro, che però vennero occupate dalle truppe spagnole, le quali si diedero in particolare ad un violento saccheggio di Borgomaro, dove furono depredati il convento dei Francescani e la chiesa dei Santi Nazario e Celso con l’asportazione di numerose suppellettili religiose e perfino le elemosine delle cassette di raccolta. In seguito però i rapporti degli occupanti con gli abitanti del Maro si fecero più cordiali tanto che gli Spagnoli arrivarono a pagare con monete d’oro e d’argento ciò che loro occorreva e finirono col partecipare anche alle cerimonie religiose.
Nel settembre 1746 il re Carlo Emanuele III riuscì ad occupare personalmente Oneglia e poco dopo anche le valli del Maro e di Prelà ritornarono sotto il dominio sabaudo, mentre, alla fine della guerra, Carlo Emanuele III, con editto emanato il 3 ottobre 1752, assunse direttamente l’amministrazione di tutti i suoi feudi, e quindi anche del Marchesato del Maro, che il 3 settembre 1755 sarebbe stato nuovamente infeudato al marchese Alessandro Doria. Intanto anche nella valle del Maro cominciavano gradualmente a diffondersi le nuove idee illuministiche, le quali anticiparono gli eventi rivoluzionari che dalla vicina Francia stavano per investire anche il Ponente ligure. Ai primi di aprile del 1794 le truppe francesi guidate dal generale Massena penetrarono nella Liguria occidentale e, dopo aver vinto la resistenza dei Piemontesi, occuparono le principali città costiere, mentre l’8 aprile una colonna al comando del generale Mouret prendeva possesso dei paesi di Conio e Borgomaro iniziando una dura occupazione militare che comportò gravissimi disagi anche per le popolazioni della valle del Maro, dove i Francesi requisirono a forza i muli, scavarono trincee, piazzarono cannoni, abbatterono mura, tagliarono viti e ulivi, rovinarono numerose coltivazioni, requisirono la posta e si impossessarono dei carichi di grano, riso e fagioli destinati alla popolazione.
Nel corso dell’occupazione francese i soldati di stanza a Borgomaro smantellarono anche i tetti di case abbandonate per usarne il legname, mentre molti abitanti impoveriti per i continui soprusi delle forze di occupazione decidevano di emigrare in Francia in cerca di lavoro e numerosi rappresentanti della comunità venivano imprigionati e trattenuti nelle carceri di Alassio in ostaggio dei rivoluzionari francesi, che li avrebbero in seguito liberati soltanto dietro il pagamento di ingenti somme da parte delle comunità di Borgomaro. Nel giugno del 1798 ripresero le operazioni belliche con l’occupazione del paese da parte di un contingente sabaudo comandato dal generale Des Geneys, che fu accolto con grande entusiasmo da tutti gli abitanti del borgo. La gioia popolare per la restaurazione monarchica durò però ben poco perché il 28 giugno dello stesso anno il rappresentante del re di Sardegna Carlo Emanuele IV firmava a Milano la cessione del Piemonte ai Francesi, che entrarono quindi pochi giorni dopo ad Oneglia. L’8 dicembre successivo Carlo Emanuele IV decise infine di abdicare, mentre veniva proclamata dai giacobini la Repubblica piemontese e nelle piazze di moltissimi centri grandi e piccoli veniva innalzato l’Albero della Libertà.
Gli abitanti di Borgomaro lo abbatterono pochi giorni dopo, ma dovettero fuggire sui monti per sfuggire all’ira dei Francesi e dei patrioti di Oneglia. Nel 1799, mentre Napoleone era impegnato in Egitto, l’alta Italia venne invasa da un’armata austro-russa, mentre tutti i paesi liguri si ribellavano alle deboli forze francesi in attesa dell’imminente arrivo dei liberatori austro-russi. Una colonna dell’esercito austriaco comandato dal generale Melas attaccò il 7 aprile 1800 le truppe francesi trincerate sulle alture di Borgomaro e le sconfisse in località Mucchio delle pietre nei pressi di Cesio. Abbattuti gli alberi della libertà gli abitanti speravano in un ritorno dell’antico regime, ma Napoleone, tornato dall’Egitto, riorganizzò le sue forze e il 18 giugno 1800 sconfisse definitivamente gli Austriaci nella grande battaglia campale di Marengo.
Nel frattempo i reparti francesi avevano ripreso il controllo e il dominio in quasi tutti i paesi liguri, dove vennero rialzati gli alberi della libertà e si consumarono numerose vendette soprattutto nelle valli del Maro e di Oneglia ai danni dei sostenitori della causa sabauda. Dopo la vittoria napoleonica di Marengo tutta la Liguria occidentale fu totalmente di nuovo sottoposta alle leggi francesi, mentre il nuovo regime apriva nuovi orizzonti alle attività artigianali e professionali, si introduceva la coltura della patata e si avviava la realizzazione di importanti opere pubbliche come la nuova strada carrozzabile da Oneglia a Borgomaro lungo il corso del torrente Impero, i cui lavori iniziarono nel 1804. La favorevole accoglienza del nuovo regime da parte della popolazione indusse quindi i Liguri a chiedere formalmente l’annessione della loro regione all’Impero francese, che fu concessa l’11 maggio 1805 con la creazione del Dipartimento di Montenotte alle dipendenze del prefetto Chabrol de Volvic, nel cui ambito Borgomaro fu posta a capo di un cantone retto da un maire (sindaco) e da un giudice di pace sotto la giurisdizione del circondario di Porto Maurizio.
Nel periodo napoleonico il cantone di Borgomaro aveva un’estensione complessiva di 7575 ettari e una popolazione di 4910 abitanti, mentre il comune era composto dal capoluogo e dalle quattro frazioni di Candeasco, Castello, San Lazzaro e Ville San Sebastiano con 1381 abitanti. Le frequenti guerre di Napoleone contro tutte le nazioni europee comportarono immani sacrifici anche per gli abitanti della valle del Maro, dove l’assenza di lavoratori per i continui richiami alle armi dei giovani di leva, la mancanza di merci in arrivo da fuori e l’inclemenza delle condizioni atmosferiche contribuirono a creare una serie di gravi carestie e penose privazioni aggravate oltretutto dalle numerose morti di persone e animali da pascolo a causa di periodiche epidemie. I repentini sbalzi di temperatura determinarono inoltre una drastica diminuzione del raccolto delle olive, tanto che nel ventennio tra il 1788 e il 1807 si registrarono soltanto due anni di buon raccolto in tutta la valle di Oneglia.
Nel 1810 e nell’inverno 1812-13 si verificò anche una drammatica gelata, che rovinò molti alberi, mentre i prezzi dei viveri e delle materie prime aumentavano vertiginosamente anche a causa di un’accentuata inflazione che provocò la svalutazione della moneta. Dopo la caduta di Napoleone e l’effimera restaurazione della Repubblica di Genova, i plenipotenziari europei riuniti nel Congresso di Vienna decisero l’assegnazione della Liguria al Regno di Sardegna, che inglobò ufficialmente il suo nuovo dominio il 1° gennaio 1815, mentre Borgomaro e la sua valle venivano incorporati nella provincia di Oneglia e l’ultimo rappresentante dei marchesi del Maro Anselmo Doria veniva reintegrato nel suo titolo e quindi eletto procuratore del Comune di Ville San Pietro nel marzo del 1822. Intanto, nel marzo 1817, la valle del Maro era stata interessata da una forte scossa di terremoto, che non sembra però abbia causato danni a persone o cose. Nel 1822 il nuovo re Carlo Felice, nell’ambito di una generale riorganizzazione amministrativa della provincia di Oneglia, eresse Borgomaro a capoluogo di mandamento con tredici comuni dipendenti, mentre tre anni dopo il paese veniva scelto dal governo come sede di un nucleo di Reali Carabinieri. In quegli anni la zona di Borgomaro, al pari di altre località del Ponente, venne infestata dalle scorrerie di un branco di feroci lupi cervieri, che seminarono morte e terrore uccidendo numerosi animali e persino alcune persone.
La minaccia fu allora affrontata in modo tempestivo dalle autorità, che inviarono squadre di cacciatori allo scopo di sterminare i pericolosi predatori. Pochi anni dopo anche Borgomaro venne interessata da una grave epidemia di colera, che, dopo una prima manifestazione nel 1831, si ripresentò in modo ancora più massiccio e diffuso nel 1835-36. Nel 1850 la comunità ottemperò invece alle disposizioni governative, che prescrivevano la costruzione di appositi cimiteri fuori dai centri abitati per la sepoltura dei morti, mentre nel giugno 1886 veniva costituita in paese una Società Agricola Operaia Nazionale allo scopo di fornire mutua assistenza ai soci, che si diedero anche uno Statuto formato da 52 articoli rimasto poi in vigore fino alla seconda guerra mondiale. L’anno successivo il paese fu lievemente danneggiato dal terremoto del 23 febbraio, che causò leggeri guasti ad alcuni edifici pubblici e privati, per cui diciassette residenti ricevettero un sussidio statale pari a 41.820 lire, mentre 26.300 lire furono destinate ai lavori di riparazione di abitazioni civili e qualche edificio sacro.
Nel corso dei decenni successivi Borgomaro conobbe un ulteriore sviluppo delle sue attività economiche fino al primo conflitto mondiale, quando numerosi soldati del paese parteciparono alle operazioni belliche sul fronte italiano lamentando parecchi caduti e feriti. Dopo il periodo del regime fascista e l’amministrazione podestarile del borgo, il paese fu coinvolto nella guerra di Liberazione con diverse unità partigiane impegnate a combattere contro i nazifascisti nelle vicinanze dell’abitato. Tra i numerosi episodi di quel periodo si possono ricordare l’assalto ad una ventina di Tedeschi nei pressi di San Lazzaro Reale il 4 giugno 1944 da parte di due squadre del 3° distaccamento della IX Brigata d’Assalto Garibaldi «Felice Cascione» guidate dal partigiano «Ivan», il disarmo dei componenti della guarnigione di guardia alla polveriera di Ville San Pietro effettuato da una pattuglia del 1° distaccamento della IX Brigata e quello dei carabinieri del paese portato a termine da un nucleo di sedici uomini del 3° distaccamento, mentre venivano incendiati l’esattoria, il dazio e il municipio. Nel 1944 venne inoltre costituito il CLN di Borgomaro, dipendente da quello circondariale di Imperia, il quale risultò composto da Camillo Agnese e Pietro Ferrando per la DC, Francesco Guglieri per il PSIUP, Paolo Merano e Luigi Tallone per il PCI e Maurizio Tantalo in veste di indipendente.
Dopo la fine della guerra il paese conobbe un periodo di notevole ripresa economica incentivata dallo sviluppo dell’olivicoltura, che viene ora praticata prevalentemente nei moderni stabilimenti ad energia elettrica anche se persistono ancora i vecchi frantoi ad acqua con produzione tuttavia piuttosto limitata, dall’orticoltura che offre abbondanti ed ottimi ortaggi, dalla raccolta di funghi e frutti dei castagni, dalla pastorizia praticata soprattutto alle quote più alte e dalla viticoltura, mentre risulta marginale il settore industriale che può comunque contare su una fabbrica di bruciatori a sanse e di motori per frigoriferi situata all’ingresso del paese.
Nel settore olivicolo si segnala inoltre l’utilizzo, tuttora praticato, del sistema inventato da Pietro Vincenzo Mela di Ville San Pietro nel 1717, consistente in un particolare lavaggio delle sanse delle olive che permette di recuperare una maggiore quantità di olio con un aumento della produzione olearia pari al 5%, mentre un tempo era diffusa pure la produzione del ghiaccio, raccolto nella neviera-ghiacciaio d’Arcolao, oggi riutilizzata come cantina. Anche il comparto del turismo sta assumendo una notevole importanza, dovuta soprattutto all’afflusso dei turisti nel periodo delle feste paesane e alla ristorazione offerta da alcune trattorie, nelle quali si possono degustare le specialità locali, tra le quali spiccano i gustosi dolci di San Rocco aromatizzati con il finocchio. Numerose sono anche le possibilità legate alle escursioni che si possono effettuare nei pressi di Borgomaro, come quella che porta alla frazione di San Bernardo di Conio, situata a 986 metri di altitudine, dove sono presenti diverse villette sparse e trattorie immerse in un paesaggio tipicamente ligure”.