Al Festival 2023 la cupola di Castelli, il Pantheon della musica spiegato dal maestro scenografo

27 gennaio 2023 | 07:00
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«Non avete ancora visto niente. L’Ariston sembrerà più grande del Radio City Music Hall di New York»

Sanremo. «Non avete ancora visto niente, l’Ariston sembrerà più grande del Radio City Music Hall di New York». A dirlo è lo scenografo Gaetano Castelli, ospite d’eccezione dello spazio video interviste a cura della redazione di Riviera24.it. Ventuno edizioni del Festival all’attivo (Amadeus gli ha già confermato l’incarico per il 2024), innumerevoli gli spettacoli curati in tutto il mondo dal maestro, pittore e docente accademico.

«L’ultima scenografia realizzata insieme a mia figlia Maria Chiara è la più grande di sempre», – racconta Castelli nell’intervista registrata ieri mattina -. «Per la prima volta abbiamo sfruttato anche lo spazio del soffitto dell’Ariston per attaccarvi tre archi che avvolgono l’orchestra. Quello che avete visto in anteprima su Viva Rai 2 è quasi nulla rispetto a ciò che vedrete in apertura della prima serata».

Com’è nata l’idea della cupola? «Amadeus era convintissimo che non avrebbe più fatto Sanremo dopo l’ultima volta. Poi ha firmato per farne altri due consecutivi. Mi ha chiamato dicendomi che gli sarebbe piaciuta una cupola. Da lì il dramma, per me e mia figlia. Quando si pensa a una cupola si finisce dritti al Pantheon, esempio per tutte le altre venute a seguire. Questa cosa ci ha in parte spaventato e in parte stimolato. Dopo il servizio di Amadeus con cui ha svelato al grande pubblico il palco, mi è arrivato il messaggio di un importante critico d’arte, Marco Bussagli, il quale mi ha voluto ringraziare perché a suo dire ho creato il Pantheon della musica. Complimento più bello non avrei potuto ricevere».

L’Ariston sarà la sede permanente del Festival? «Sono molto amico di Walter Vacchino (patron del teatro, ndr) ma andrebbe cambiato. Di per sé l’Ariston è un teatro bellissimo ma noi televisivi avremmo bisogno di uno studio per poter girare intorno al palco. Il pubblico qui è schierato di fronte al palcoscenico, immutabile. Vero è che dopo 21 edizioni ormai l’Ariston me lo sento mio e ho imparato a farlo apparire grande. Quest’anno con mia figlia abbiamo cercato di rendere tutto più circolare e avvolgente. Mi linceranno a sentirlo dire: io lavoro per il pubblico televisivo. Le 500 persone in sala non possono essere messe a paragone dei milioni che guardano lo show sulla Rai. Il mio mestiere è far sognare gli spettatori, portarli in sala attraverso lo schermo della tv».

Il problema orchestra. «I problemi di spazio sono iniziati con l’introduzione dell’orchestra sul finire degli anni ’80. Sistemare 84 elementi in 8 metri di palco era difficilissimo. Sono arrivato a costruire scenografie su tre piani che Fiorello paragonava a dei centri commerciali… Poi sono riuscito a convincere Bonolis a trasferire l’orchestra in platea, liberando il palcoscenico per lo spettacolo».

Il mito delle file. «Hanno detto che rispetto al 2022 ci sono meno posti in platea. In realtà sono riuscito ad aggiungere 28 poltrone in più. Ci si dimentica che la scenografia di quest’anno è reduce dal Covid. Quando l’abbiamo iniziata a progettare ci è stato detto di farlo tenendo a mente le prescrizioni vigenti durante l’emergenza. Ciò ha comportato aver dovuto prevedere un metro e mezzo di distanza tra gli orchestrali e così sono saltate 13 file. Normalmente se ne tolgono 11. Qualcuno entrando ha visto la scenografia così grande che ha avuto l’impressione ci fossero meno posti a sedere, invece contandole una a una le poltroncine sono aumentate di 28 unità sul 2022».

Continua il maestro Castelli, artista a tutto tondo, scultore di mondi immaginari. «Questa scenografia è talmente impattante che Amadeus mi ha chiesto se possiamo tenerla anche per il prossimo anno. Lo ringrazio delle belle parole ma preferisco rimettermi al lavoro su qualcosa di nuovo».

Rivedremo mai i fiori di Sanremo adornare la scenografia del Festival? «No (categorico). In passato li ho messi anch’io ma alla fine ci siamo resi conto che in televisione non si vedevano. Mi hanno battezzato come lo scenografo che non ama i fiori. Non corrisponde al vero, anzi li adoro. Credo che il modo migliore per valorizzarli sia con la consegna dei bouquet agli artisti. Le inquadrature dei registi stringono sul primo piano e sembra quasi di poterne sentire il profumo da casa. Sanremo è e deve rimanere la Città dei fiori per i suoi visitatori. Il Festival è uno spettacolo. Messi ai bordi del palco erano sprecati. Il pericolo dei fiori, poi, è che facciano sembrare tutto un matrimonio o un funerale. Beppe Grillo ci aveva scherzato sopra, fingendosi morto dopo essersi sdraiato su una composizione inserita in una scenografia disegnata da un mio compianto collega».

Le scenografie più difficili. «Ne ho fatte due un po’ da incosciente. Una al Festival di Gianni Morandi. Tutto il palcoscenico veniva già dall’alto e si apriva tipo astronave. Aveva un peso enorme. Quella che non mi ha fatto dormire la notte è stata la scenografia per la Clerici. Avevo creato un ovale che scendeva a terra fluttuando. Non ci ho dormito la notte perché se per caso il braccio meccanico che azionava l’ellisse fosse finito fuori binario, anche solo di pochi millimetri, si sarebbe trascinato dietro tutta la scena, devastandola in diretta televisiva».

Sanremo. «Da appassionato tennista vado tutte le mattina a giocare ai campi del Solaro da dove si vede il mare. Per me è il paradiso. Ci vivrei. Tenetevela stretta».

La sorpresa. Fuori microfono il maestro ci regala un’ultima chicca: «La cupola del mio Pantheon si muoverà creando giochi di luci e colori mai visti prima».