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La storia di Chiusavecchia nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

3 dicembre 2022 | 08:30
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La storia di Chiusavecchia nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

Borgo in valle Impero, antico feudo dei marchesi di Clavesana e ceduto nel 1576 sl duca di Savoia Emanuele Filiberto

Chiusavecchia. Nuova puntata con la storia locale a cura dello storico Andrea Gandolfo che questa volta racconta la storia dell’incantevole borgo di Chiusavecchia, in valle Impero, antico feudo dei marchesi di Clavesana e ceduto nel 1576 sl duca di Savoia Emanuele Filiberto.

“Il paese, situato a 140 metri sul livello del mare, si distende interamente sul versante sinistro del torrente Impero nell’omonima valle, alla confluenza con il rio Maddalena che scende dalle pendici del Monte Acquarone, mentre le due frazioni Sarola e Olivastri sono ubicate sul versante opposto della valle. L’abitato del capoluogo si caratterizza come un tipico agglomerato di sperone in posizione intermedia nei pressi di un’ansa del torrente Impero, disponendosi su due livelli: quello collocato più in basso attraversa infatti il centro storico del borgo lungo l’antico tracciato della strada del Piemonte ed un altro, situato in posizione più elevata e di epoca più recente, che si estende lungo la strada statale n. 28 del Colle di Nava e si è sviluppato soprattutto a partire dal quarto decennio dell’Ottocento.

Il nucleo più antico del borgo presenta strutture architettoniche tipiche del periodo tardomedievale con case in pietra, logge, carruggi e porte a due ante delle botteghe. Sulle origini del toponimo sono state avanzate varie ipotesi, tra le quali quella che ricollega il nome della località con una chiusa, esistente nei pressi del ponte medievale, con canalizzazioni che convogliavano le acque alle ruote dei mulini e dei frantoi. Secondo un’altra ipotesi, che ritiene il borgo un centro agricolo di formazione tardomedievale, il toponimo, attestato, in base a questa teoria, solo nel 1473 come determinativo della prima chiesa del paese, la capella Sancti Blaxii de Clusavetula, si presume riferibile originariamente ad una antica chiusa del torrente, presso cui sorgeva la cappella di San Biagio.

Tale ipotesi, che si basa sull’esistenza in loco di una chiusa idraulica necessaria al funzionamento dei mulini della zona in epoca tardomedievale, è tuttavia contraddetta dalla preesistenza del toponimo, documentato in vari atti risalenti almeno alla seconda metà del XIII secolo, tanto che sembra più probabile la teoria che il termine «chiusa» non sia da intendere in senso idraulico, ma nel significato di «sbarramento della valle», inteso come luogo fortificato eretto nel periodo bizantino in funzione di barriera difensiva, che sarebbe poi stato sfondato dai Longobardi, alla cui dominazione è riconducibile, per via dell’etimo dei toponimi, il primo insediamento stabile negli attuali borghi di Sarola, Gazzelli e in altri minori fino al mare.

All’origine del toponimo vi è il participio passato sostantivato di claudere, nella forma tardolatina Clusa<clausa, da cui l’italiano «chiusa», al quale si è unito l’aggettivo determinativo vetula, attraverso la forma del latino parlato vecla<vetla, con sostituzione del nesso tl con il più usuale cl, dove la voce Vetula ha già perso il valore originario del diminutivo, riprendendo così il senso generale di vetus, attestato peraltro anche in altre località della valle come, ad esempio, Castelvecchio di Oneglia.

Dopo la dissoluzione della Marca arduinica Chiusavecchia, che faceva parte della castellania di Montarosio, divenne un feudo dei marchesi di Clavesana, nei cui domini tentavano allora di incunearsi i conti di Ventimiglia, che avevano consolidato la loro signoria sulla castellania di Prelà, Maro e Lavina ed estendevano il loro dominio fino al nucleo di Borgoratto, che apparteneva alla comunità di Lucinasco. Gli abitanti della castellania di Montarosio furono rappresentati alla stipulazione della convenzione del 18 marzo 1202, con la quale Genova legava Oneglia e i paesi della sua valle alla sua azione politica volta all’espansione del suo territorio.

Due anni dopo i Genovesi intervennero militarmente nelle valli di Oneglia, di Prelà, del Maro, dell’Arroscia e di Andora per sedare una grave rivolta antifeudale causata dalle pesanti contribuzioni imposte dalle autorità genovesi alle popolazioni di queste valli, che insorsero nuovamente nel 1233 contro la Repubblica, che inviò in Riviera il podestà Remedio Rusca, il quale represse duramente la rivolta nel 1234. È probabile che in questo periodo Chiusavecchia facesse già parte del feudo del vescovo di Albenga nella Valle d’Oneglia, anche se ancora in condominio con il marchese di Clavesana. Gli stretti rapporti che intercorrevano allora con i marchesi di Clavesana sono inoltre confermati dal giuramento di fedeltà che alcuni uomini di Chiusavecchia prestarono, insieme a quelli di Chiusanico, Torria, Gazzelli e Testico, il 1° maggio 1290 nella chiesa di Santo Stefano di Chiusanico, al marchese Manuele di Clavesana nelle mani di suo figlio Oddone.

Otto anni dopo si formalizzò infine la cessione di Chiusavecchia e degli altri paesi della Valle di Oneglia ai fratelli Niccolò e Federico Doria da parte del vescovo di Albenga Nicola Vascone, che, nella chiesa di Santa Maria delle tre fontane ad Albenga, stipulò l’atto di vendita dei suoi possedimenti ai Doria il 30 gennaio 1298 per la somma di undicimila lire genovesi. Con tale atto i vescovi ingauni riconoscevano ai nuovi signori della valle onegliese la piena giurisdizione civile e criminale e diritto all’omaggio, al fodro, alle cavalcate e ad ogni altro diritto ragione ed azione di spettanza al dominio vescovile, fatta eccezione della giurisdizione ecclesiastica, delle decime e di ogni diritto competente per la riscossione delle decime.

Dopo la vendita del paese ai Doria Chiusavecchia seguì le sorti di tutti gli altri centri della Valle d’Oneglia fino alla sua cessione ai Savoia nel 1576. In questo periodo si segnalano tuttavia alcuni avvenimenti particolari inerenti il borgo come l’emanazione della bolla pontificia da parte di papa Martino V il 19 giugno 1427, su richiesta della vedova Caterina Genza, dei nobili Doria e degli uomini della valle, con la quale il pontefice concedeva che la chiesa di Santa Caterina di Pontedassio venisse affidata al domenicano fra Pietro da Chiusavecchia perché vi edificasse un convento in grado di ospitare alcuni religiosi dell’Ordine dei Frati Predicatori, ai quali sarebbe stato demandato l’incarico di istruire le persone rustiche della valle e predicare loro la parola del Vangelo.

Una quarantina di anni dopo il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza Visconti inviò ad Oneglia, con lettera del 27 ottobre 1470, un suo rappresentante, Andrea de Cristianis, con l’incarico di dare esecuzione alla sentenza ducale di demolizione di alcuni mulini costruiti da cittadini privati a Chiusavecchia, Chiusanico e Gazzelli, che avevano provocato danni economici a Branca Doria. A tale demolizione, eseguita tuttavia soltanto parzialmente, si opposero il 18 novembre nel parlamento di Oneglia alcuni proprietari di mulini della valle superiore, tanto che il 18 dicembre il delegato del duca dovette prendere atto che la sentenza era stata eseguita solo in parte, non essendo stata ancora effettuata la demolizione di diversi mulini.

Il 15 settembre 1476 Giano e Battista Doria con i suoi fratelli, signori di Chiusanico, Chiusavecchia, Gazzelli e della metà di Pontedassio e Bestagno, rilasciarono ampia procura a Francesco Doria affinché prestasse anche a nome loro il rinnovo del giuramento di fedeltà al duca Gian Galeazzo Maria Sforza Visconti a seguito della morte di Galeazzo Maria, avvenuta il 26 dicembre 1476. Il giuramento venne prestato a Milano l’8 ottobre 1477.

Nel corso del 1478 i Doria approntarono delle difese nel territorio tra Chiusavecchia e Garsi contro il conte di Tenda, che tentava di espandersi verso il mare anche attraverso il territorio del Maro, verso il quale effettuavano numerose sortite. Il 30 maggio 1480 intervenne però il duca di Milano, il quale, a difesa del signore di Tenda, ammonì direttamente i Doria affinché gli uomini della valle non attaccassero più le proprietà del conte di Tenda nella signoria del Maro. L’8 gennaio 1488 Domenico Doria, capitano della Guardia del Palazzo Apostolico, dopo aver acquistato il feudo onegliese dai diversi consignori Doria, ricevette, nella chiesa di Santa Margherita di Pontedassio, il richiesto giuramento di fedeltà degli uomini della valle superiore.

Dieci anni dopo, il 6 aprile 1498, si tenne un ulteriore giuramento, con il quale, dopo l’esilio romano del Doria cessato grazie all’intervento del nuovo duca di Milano Ludovico il Moro, gli venne restituito il feudo onegliese in seguito all’intervento della diplomazia pontificia. Il 15 giugno dell’anno successivo Domenico Doria, per mezzo del cugino Bartolomeo Doria, rinnovò il giuramento di perpetua fedeltà al duca di Milano, che era rappresentato da Bernardino da Corte, castellano della rocca di Porta Giove a Milano. Nel 1568 don Gabriel de la Cueva, duca di Alburquerque, capitano generale in Italia e governatore del Ducato di Milano in nome del re di Spagna Filippo II, richiese a Gian Gerolamo Doria, signore della Valle d’Oneglia, il giuramento di fedeltà già prestato in passato dai suoi predecessori.

Dopo non poche esitazioni che si esplicitarono in numerosi memoriali portati davanti al Senato di Milano per dimostrare di non essere tenuto al giuramento, Gian Gerolamo Doria si piegò alla fine a giurare fedeltà al Re Cattolico il 4 dicembre 1568. Otto anni dopo Gian Gerolamo Doria cedette alle pressioni del duca sabaudo vendendo i suoi possedimenti della Valle d’Oneglia ad Emanuele Filiberto di Savoia per la somma di 41.000 scudi d’oro d’Italia. Il 1° maggio 1576 le comunità e gli uomini della Valle d’Oneglia giurarono fedeltà al duca, il quale, con rescritto del 3 maggio successivo, riconfermava le franchigie, i privilegi, gli statuti, i capitoli, le convenzioni e le immunità, di cui avevano sempre goduto gli abitanti della valle, concedendo un giorno di mercato ogni settimana ad Oneglia, e con i prescritti privilegi anche a Gazzelli, Chiusanico e Chiusavecchia.

Il 16 marzo 1577 i rappresentanti di tutte le comunità della valle prestarono quindi un nuovo solenne giuramento ai Savoia ad Oneglia, dove, il 27 aprile di sette anni dopo, i procuratori di tutte le comunità della nuova provincia di Oneglia rinnovarono il giuramento di fedeltà al nuovo duca sabaudo Carlo Emanuele I, succeduto al padre Emanuele Filiberto nel 1580. Dopo l’acquisto della signoria delle valli del Maro, di Prelà e di Oneglia, il duca di Savoia si vide presto costretto ad infeudare le terre di recente acquistate per poter adeguatamente fronteggiare il pressante bisogno di denaro necessario a coprire le spese delle numerose guerre ingaggiate dal duca sabaudo.

Chiusavecchia venne allora infeudata al conte Cernusco di Torino, procuratore generale delle Finanze, al quale furono concessi in particolare i diritti per lo sfruttamento di mulini e frantoi della zona, mentre Olivastri e Sarola vennero infeudati al conte Lazzaro Baratta di Fossano. Frattanto, Carlo Emanuele I, con lettere patenti del 14 novembre 1586, aveva affidato a Marco Antonio Ribotti di Pancalieri il «consignamento» delle signorie di Oneglia e del Maro, delle loro valli e mandamenti per censire le proprietà ducali, i diritti feudali, gli affitti e ogni altra ragione che gli spettava. Il 24 febbraio 1587 Ribotti stese la sua relazione relativa alla valle superiore onegliese, di cui faceva parte Chiusavecchia, dove il duca aveva la proprietà di una torre rovinata, detta la torre di Scortabecco, sui confini di Diano e di Stellanello, per il cui sfruttamento idrico si rese tuttavia necessaria una rettifica del consignamento emanata il 21 aprile successivo.

Le mire di Carlo Emanuele I sul Marchesato di Monferrato indussero poi la Spagna ad inviare una flotta di 56 galere al comando del conte don Alvaro Bussano, marchese di Santa Croce, che il 16 novembre 1614 giunse davanti ad Oneglia, la quale fu costretta alla capitolazione dopo cinque giorni di assedio, mentre le truppe piemontesi e le milizie delle valli si ritiravano nella valle del Maro, dove il capitano Leonardo Broglia aveva provveduto a fortificare il locale castello. Il 16 dicembre le truppe ispano-napoletane, dopo aver occupato Lucinasco, presero anche Chiusavecchia e Borgoratto, protraendo lo stato di occupazione della valle per tre anni fino al 20 aprile 1618.

Il 17 dicembre 1620 il duca Carlo Emanuele I assegnò in appannaggio al figlio Emanuele Filiberto la signoria di Oneglia, il marchesato del Maro e la contea di Prelà, che vennero eretti in Principato. Il nuovo principe di Oneglia decise allora di procedere alla riorganizzazione del suo feudo senza vincoli condominiali con altri feudatari al fine di rimpinguare l’erario in vista dei grandi progetti del duca, tra i quali la valorizzazione del porto di Nizza, l’apertura del traforo di Tenda, la stipulazione di trattati di natura commerciale con l’Inghilterra e l’apertura di una via più facile e rapida tra Torino e il mare.

In questo contesto il duca Carlo Emanuele II infeudò Chiusavecchia, con il titolo di contado, a Gregorio Giovannini, suo segretario di stato e ministro delle Finanze, il quale, dopo essere subentrato ai Cernuschi nel possesso feudale del paese in un periodo antecedente al 1655, donò alla chiesa parrocchiale le reliquie di Santa Vittoria, le cui spoglie, traslate dalle catacombe di Roma, furono collocate in un’urna all’interno della chiesa grazie anche all’interessamento del vescovo Marco Antonio Tomatis originario di Caravonica. Intanto l’invasione franco-piemontese del Marchesato di Zuccarello nel 1625 aveva causato come ritorsione l’occupazione del principato di Oneglia da parte dei Genovesi e delle truppe spagnole, che il 5 ottobre incontrarono una forte resistenza da parte delle milizie della valle tra Chiusavecchia e Borgoratto, come pure nei pressi del ponte di San Lazzaro, le quali non riuscirono tuttavia ad impedire al marchese Alfonso Gonzaga, generale dell’esercito genovese, a porre il campo a Chiusavecchia la sera di quello stesso giorno.

Circa quarant’anni dopo la comunità di Chiusavecchia, seppure con un notevole ritardo, provvide a dare esecuzione al decreto della duchessa Cristina, che era stato emanato il 22 aprile 1623, provvedendo alla compilazione del primo «registro dei beni», ossia il catasto degli immobili situati nel territorio comunale. Nel 1675 Chiusavecchia venne infeudata a Bartolomeo Ottavio Tomatis, i cui avi erano già stati per diverso tempo a servizio dei Savoia dai quali avevano ricevuto importanti incarichi e alte onorificenze. Una quindicina di anni dopo, in seguito allo sbarco di truppe francesi nel porto di Oneglia il 19 marzo 1692, il cavalier Felice Villafalletti, comandante della piazza di Oneglia, ritenuto indifendibile il capoluogo, si era ritirato a Chiusavecchia, da dove i miliziani lanciarono una controffensiva che costrinse le truppe francesi a ritirarsi sulle navi e a lasciare il paese.

Nell’ambito della nuova politica amministrativa del governo sabaudo si inquadra invece la decisione, assunta da re Vittorio Amedeo II nel 1715, di affidare al commissario Giovanni Mainardi l’incarico di effettuare una completa ricognizione dei diritti, crediti e ragioni sovrani del Principato di Oneglia. Tale indagine conoscitiva, che prese il nome di «consignamento Mainardi», venne materialmente stesa dal notaio nizzardo Giulio Cesare Doija, davanti al quale sarebbero dovuti comparire i procuratori delle comunità della valle di Oneglia.

In base all’atto di consiglio emanato il 26 settembre 1715 fu eletto a rappresentare la comunità di Chiusavecchia il sindico Gio Battista De Via, la cui nomina fu ratificata dal notaio Pietro Paolo Abbi nelle vesti di segretario. Nell’ambito delle operazioni militari della successiva guerra tra i Savoiardi e i Franco-spagnoli, la valle di Oneglia divenne nuovamente teatro di frequenti passaggi di truppe degli eserciti contrapposti nel corso del 1744 e del 1745. Agli inizi di giugno del 1745 le truppe sarde e le milizie valligiane, che avevano mantenuto per tutto l’inverno il controllo dei due versanti della valle con gli sbarramenti difensivi apprestati a Pontedassio e Chiusavecchia, furono assalite da due colonne francesi, una scesa dal Pizzo di Conio al comando del maresciallo Mirepois e l’altra risalita da Oneglia.

Quest’ultima, diretta dal generale Le Brun, si scontrò con le truppe nemiche a Chiusavecchia, da dove riuscì a sfondare le linee sarde e a portarsi al Colle di San Bartolomeo di Arzeno. Nel corso della seconda metà del Settecento il paese visse il tramonto della giurisdizione feudale della famiglia Tomatis, la cui ultima discendente, Maria Elisabetta Prassede, figlia del conte Francesco Antonio Maria Ottavio, dopo aver sposato nel 1780 il cavalier Benedetto Nicolis, dei conti di Robilant, deceduto nel 1801 senza lasciare discendenza, morì senza eredi a Roma nel 1824. Con lei si estinse pertanto il ramo comitale dei Tomatis di Caravonica, che avevano ricoperto la carica di conti di Chiusavecchia per un secolo e mezzo.

Dopo l’annessione del Piemonte alla Francia da parte di Napoleone nel 1801, Oneglia divenne capoluogo di uno dei quattro distretti in cui era diviso amministrativamente il Dipartimento di Cuneo. Tale divisione durò peraltro assai poco in quanto, già nel giugno dello stesso anno, la Valle di Oneglia fu aggregata alla Repubblica Ligure con Oneglia capo cantone nella Giurisdizione degli Ulivi. Durante il successivo periodo dal 1805 al 1814, quando la Liguria fece parte integrante dell’Impero francese, il territorio di Chiusavecchia fu annesso al Comune di Chiusanico. Nel 1815 Chiusavecchia passò con il resto della Liguria al Regno di Sardegna nell’ambito della giurisdizione della Divisione di Nizza; ceduta quest’ultima alla Francia nel 1860, il paese fu inserito amministrativamente nella nuova provincia di Porto Maurizio. Passato indenne dal terremoto del febbraio 1887, che provocò soltanto lievi danni senza causare vittime, il borgo pagò con quattro caduti la sua partecipazione alla prima guerra mondiale, poi ricordati su una lapide collocata sulla facciata del Municipio e inaugurata l’8 settembre 1920.

Tre anni dopo, nell’ambito della riorganizzazione amministrativa delle circoscrizioni comunali attuata dal governo fascista, venne emanato il regio decreto n. 2769 del 6 dicembre 1923, con il quale le località di Chiusavecchia, Arzeno di Oneglia, Cesio, Lucinasco, Olivastri, Sarola e Torria furono riunite nell’unico Comune di Chiusavecchia dal quale, tuttavia, con regio decreto n. 1533 del 7 agosto 1925, furono scorporati i paesi di Arzeno d’Oneglia, Cesio e Torria, che vennero ricostituiti comuni autonomi con il relativo territorio già appartenente a ciascuno prima dell’emanazione del regio decreto n. 2769 del 6 dicembre 1923. Chiusavecchia mantenne le frazioni di Olivastri e Sarola, mentre Lucinasco avrebbe riottenuto l’autonomia comunale soltanto nel 1958.

Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Alleati nel settembre 1943, il paese fu occupato nell’agosto del ’44 da un presidio tedesco formato da 150 uomini, che si accantonò in varie case e allestì una grande scuderia con più di cento cavalli; in seguito tale presidio fu sostituito da un contingente di SS, che istituirono lavori forzati per la popolazione civile, mentre nel mese di aprile si era insediato il CLN locale, formato da Sergio Acquarone, Gino Agnese e Pietro Aicardi. Alla fine di agosto si installò in paese una compagnia della Brigata nera, agli ordini del capitano Ferrari, composta da cinquanta uomini, che si insediarono in casa «Agnese» provocando gravi lutti tra la popolazione civile di tutta la vallata.

Le truppe tedesche e fasciste rimasero quindi a Chiusavecchia fino alla Liberazione compiendo torture ed eccidi ai danni di partigiani e abitanti del paese. Tra i vari caduti si ricordano Emilio Agnese e Sebastiano Oreggia, fucilati dai Tedeschi il 25 agosto 1944 come rappresaglia per un’azione partigiana nel corso del quale era stato ucciso un ufficiale tedesco, e sette partigiani fucilati dai Tedeschi nel luogo designato dal comando nazifascista per le esecuzioni capitali ubicato tra Chiusavecchia e la borgata dei Garsi, oltre ad altri quattro garibaldini catturati durante un massiccio rastrellamento nella zona di Diano San Pietro e trasferiti a Chiusavecchia, dove vennero fucilati. Altri sei militari chiusavecchiesi caddero sui vari fronti di guerra, tra i quali quello russo e quello africano nel corso del conflitto, il cui sacrificio è ricordato su una lapide collocata sulla facciata del Municipio il 4 novembre 1996.

Nel secondo dopoguerra si è registrato un ulteriore incremento delle tradizionali attività agricole legate alla coltivazione dell’ulivo e alla produzione di un pregiato olio di oliva da parte dei vari frantoi e delle piccole imprese familiari dedite alla commercializzazione dei prodotti oleari. Altre piccole industrie sono inoltre ubicate lungo il corso del torrente Impero tra Sarola e il rio Lavandero, mentre il territorio comunale si presta ad ulteriori insediamenti produttivi nel secondario grazie all’adozione da parte del Comune di adeguati strumenti urbanistici e all’inserimento di estese zone, dalla superficie totale di 80.200 metri quadrati, nel piano di sviluppo socio-economico della Comunità Montana dell’Olivo.

Il comparto oleario può inoltre contare su mezzi sempre più moderni per la raccolta delle olive e su un capillare sistema di strade interpoderali, che servono ben il 74% del territorio comunale, indispensabili per garantire la continuazione e il mantenimento della produzione olearia, che svolge tra l’altro una funzione determinante per la conservazione del territorio e delle sue bellezze paesaggistiche e naturali. La ricezione turistica è affidata invece a due trattorie e ad un albergo-ristorante, dove è possibile consumare piatti genuini e il buon vino locale. Notevole anche la produzione e commercializzazione di acciughe conservate nell’olio extra vergine di oliva della Valle Impero.

I piccoli produttori locali hanno inoltre attualmente la possibilità di ritrovarsi presso una nuova struttura, denominata «Mulino di Roccanegra» o gombu de Chilotto, che è stata ideata da Giampiero Laiolo in collaborazione con gli architetti Ilvo Calzia e Riccardo Torello e patrocinata dalla Comunità Montana dell’Olivo, quale punto di riferimento e d’incontro per gli estimatori del gusto e dei sapori mediterranei al fine di promuovere, attraverso i prodotti locali, un patrimonio ambientale e culturale meritevole di una sempre maggiore diffusione”.