La storia di Montalto Ligure nel racconto dello storico Andrea Gandolfo
Abitato fin dall’età protostorica e importante centro per lunghi secoli della podesteria di Triora
Imperia. Nuovo appuntamento con la storia locale a cura dello storico Andrea Gandolfo. Il raccolto di questa settimana è dedicato a Montalto Ligure, in valle Argentina, abitato fin dall’età protostorica e importante centro per lunghi secoli della podesteria di Triora:
“Il borgo occupa una posizione strategica dall’alto di un rilievo alla confluenza del torrente Carpasina nell’Argentina nel punto di incrocio di numerose vie destinate un tempo alla transumanza. L’abitato si dispone lungo il crinale del Monte Colletto e sul suo pendio sudoccidentale, formando così un insediamento di tipo misto con diversi allineamenti a schiera su più livelli, che seguono un orientamento parallelo alla via centrale di attraversamento.
Il fitto agglomerato di case, tipico di tanti paesi montani della Liguria e culminante nella chiesa parrocchiale, presenta un tessuto ancora quasi integro costituito da case in pietra, generalmente a vista, alte tre o quattro piani, molto irregolari a causa della morfologia del terreno sul quale sono state edificate, con accessi collocati ad altezze diverse, mentre le strade sono ancora in gran parte di acciottolato di pietre in modo da facilitare la salita ai muli, che una volta rappresentavano l’unico mezzo di trasporto dal fondovalle alla parte alta dell’abitato. Il territorio comunale si allunga in senso est-ovest per circa otto chilometri dal Monte Faudo alle pendici orientali del Monte Ceppo, con un’altitudine massima di 1555 metri e una quota minima di 204 metri sul fondovalle dell’Argentina, nel cui bacino idrografico è compresa l’intera superficie del Comune, estesa per 1385 ettari.
La complessa struttura urbana che è derivata dalla sovrapposizione di vicoli e sentieri, di volte, passaggi coperti e diversi collegamenti intermedi, è contraddistinta da una marcata impronta arcaico-medievale di grande interesse storico e ambientale. L’abitato si protende con un acuto sprone verso mezzogiorno espandendosi quindi verso ponente fino al limite estremo del pendio per poi ripiegare su se stesso quando il dosso si avvalla e la sottostante rotabile raggiunge la selletta situata a settentrione del paese. Il toponimo, citato a partire dalla metà del XII secolo come Monte Alto, risulta connesso alla posizione strategica della località, posta a sbarramento della valle e ribadita dalla presenza in loco di un caposaldo militare dei conti di Ventimiglia prima e dal 1259 della Repubblica di Genova.
Il territorio dell’odierno Montalto Ligure risulta abitato fin dalle più remote età della Protostoria da gruppi di pastori e cacciatori, ai quali subentrarono tribù della bellicosa popolazione dei Liguri Ingauni, che nel 181 a.C. si asserragliarono proprio sul colle dove oggi sorge il paese per contrastare il passo al proconsole romano Lucio Paolo Emilio, inviato da Roma alla conquista dell’estrema Liguria occidentale. Il proconsole era accampato sopra il promontorio che sorge nella località attualmente denominata Campo Marzio, ma i Liguri controllavano tutti i movimenti delle truppe romane dalle cime del Mons Autus e del monte su cui sorge oggi Badalucco. La posizione particolarmente favorevole consentì ai Liguri di riportare una serie di facili vittorie che li spronarono a nuovi ardimenti verso i conquistatori, allentando però nello stesso tempo la sorveglianza e la disciplina nelle loro fila.
Lucio Emilio Paolo, resosi conto del disordine che regnava tra i suoi avversari, piombò improvvisamente con i suoi uomini su di loro, uccise circa quindicimila Liguri e ne fece prigionieri più di duemila. Tre giorni dopo tutta la Liguria occidentale avrebbe quindi fatto atto di formale sottomissione a Roma, che avrebbe tuttavia soggiogato definitivamente le bellicose popolazioni liguri soltanto alla fine del I secolo a.C. sotto l’impero di Augusto.
Secondo la leggenda, riportato nella cinquecentesca Cronica Montisalti et Badaluci di Giovanni Verrando, il borgo sarebbe stato però fondato da un gruppo di abitanti di Badalucco rivoltatisi contro il conte Oberto, feudatario locale, che avrebbe voluto esercitare lo jus primae noctis su una giovane sposa del paese. Questa sarebbe fuggita con lo sposo, per non sottostare a una palese ingiustizia, sul costone roccioso che chiudeva la valle Carpasina e, con altre persone, avrebbe fondato il paese di Montalto. Tale leggenda è tuttavia sicuramente inattendibile in quanto il conte Oberto visse a metà del XIII secolo, mentre il primitivo borgo montaltese risultava già formato intorno alla metà dell’XI secolo, quando il territorio di Montalto era stato concesso dall’imperatore al vescovo di Albenga Diodato, divenendo parte, insieme a Badalucco e Carpasio, della Diocesi ingauna, dalla quale si staccò nel XII secolo per diventare un possedimento dei conti di Ventimiglia, che utilizzarono le antiche vie di transumanza per farne l’ossatura viaria della loro signoria.
Subito dopo il loro insediamento i conti di Ventimiglia avevano inoltre provveduto alla costruzione di due castelli, uno su un roccione sulla riva destra del torrente Argentina e l’altro quasi di fronte, in alto a sinistra, dove si riunirono gradualmente tutti i contadini e pastori che già vivevano numerosi nei dintorni dei manieri in capanne o casupole costruite nella zona dedita al lavoro agricolo e ai pascoli. Nel secolo XII i due centri abitati di Montalto e Badalucco si presentavano quindi già formati e compatti attorno ai due castelli comitali, mentre la pieve di San Giorgio, risalente al periodo intorno all’anno Mille, costituiva il centro religioso e sociale delle famiglie dei due paesi, che formavano una sola comunità politica.
La divisione tra i due centri era peraltro già stata sancita nel 1153 tramite la concessione al nobile locale Anselmo da Quadraginta, parente dei marchesi di Clavesana, da parte del vescovo di Albenga, dell’autorizzazione a riscuotere le decime dovute all’autorità religiosa in una trentina di paesi tra i quali Montalto e Badalucco, che rappresentavano ormai due nuclei distinti riconosciuti e inquadrati nella vasta diocesi di Albenga. Dall’analisi del documento, nel quale i due borghi sono citati separatamente, sembra deducibile che la chiesa di San Giorgio costituisse un’unica parrocchia per entrambi i paesi.
In un altro documento del 1° settembre 1241 si tentò di pervenire ad un accordo tra il conte Oberto di Badalucco e i rappresentanti del popolo montaltese Giacomo Moraldo e Matteo di Lavina, che si accordarono a versare al conte quindici lire, più sette lire e mezza ogni volta che nel paese fosse stato commesso un omicidio o un adulterio; se il colpevole non avesse voluto pagare, i consoli lo avrebbero dovuto consegnare al conte, che era costretto per parte sua a imporre ai suoi sudditi tassazioni particolarmente gravose per recuperare la somma da lui versata annualmente al Comune di Genova.
Tra le clausole del patto figurava anche quella in base alla quale il conte Oberto permise il ritorno a Badalucco di persone allora residenti a Montalto ma di origine badalucchese, mentre quelli che voleva restare a Montalto avrebbero ricevuto giustizia dai consoli di Montalto, al pari degli altri abitanti. Il podestà di Triora Manfredo de Ulmeta si dichiarò quindi garante del rispetto dei patti. Dopo la morte del conte Oberto, il suo feudo, che comprendeva i paesi di Bussana, Arma, Badalucco, Montalto, Carpasio, Triora, Baiardo, Castelfranco e parte di Rezzo, passò in potere per metà del marchese Pagano di Ceva, marito della figlia di Oberto Veirana, e di suo fratello Michele, mentre l’altra metà entrò in possesso dei nobili genovesi Janella e Giacomo Avvocato, fratelli di Giulia, moglie dell’altro figlio di Oberto, Bonifacio.
In tale spartizione i paesi di Montalto, Badalucco, Carpasio, Rezzo, Baiardo e metà di Bussana e Arma erano quindi toccati a Veirana, mentre Triora, Castelfranco e metà di Bussana e Arma a Bonifacio. I nuovi signori, che non erano peraltro molto interessati ai recenti acquisti, trovarono subito un desideroso compratore nel Comune di Genova, che dopo aver sottomesso con la forza la riottosa Ventimiglia, era allora ansiosa di estendere il suo dominio a tutto il territorio dell’estrema Liguria occidentale.
Fu così che con atto stipulato il 24 novembre 1259 il marchese Pagano di Ceva, a nome proprio e di sua figlia Veirana, vendette al capitano del popolo Guglielmo Boccanegra, che acquistava a nome della Repubblica di Genova, il castrum di Badalucco con il suo territorio e i paesi della sua giurisdizione, tra i quali figurava, sebbene non espressamente menzionato, anche Montalto, il castrum di Baiardo e metà dei castra di Arma e di Bussana. La transazione venne effettuata al prezzo di 2300 lire genovesi con la precisazione che il governo genovese comprava anche tutti i diritti e possedimenti che il conte Oberto aveva nei citati paesi, inclusi quelli che vantava in Carpasio e Rezzo.
Il 13 dicembre 1259 Pagano si recò a Montalto con la procura di Veirana e quella di suo fratello Michele e, dopo aver radunato tutti gli uomini del borgo, li liberò dal giuramento di fedeltà che essi gli dovevano, aggiungendo che, avendo venduto per sé e la moglie, insieme al fratello Michele, il castello di Badalucco con tutto il suo territorio, ville e giurisdizione e pertinenze della Curia di Badalucco, essi dovevano giurare fedeltà al giudice Guarnerio, che rappresentava il capitano di Genova Guglielmo Boccanegra.
Espletate le formalità di rito, Montalto passò quindi ufficialmente sotto la giurisdizione della Repubblica di Genova e con tale fatto terminò il periodo del regime feudale e iniziò quello della vita e amministrazione comunale. Con l’inclusione nel dominio genovese, infatti, la comunità di Montalto, che già eleggeva propri rappresentanti (consoli e sindaci) per trattare e discutere a nome di tutti con le varie autorità esterne, divenne amministrativamente libera, anche se, sotto il profilo politico, il paese, al pari di tutti gli altri borghi sottoposti al dominio genovese, era suddito del governo della Repubblica, del quale doveva scrupolosamente rispettare gli ordini e pagare le tasse, dette allora avarie, che esso imponeva ai suoi sudditi.
I paesi di Montalto e Badalucco furono aggregati fin dal 1259 alla Podesteria di Triora, dove risiedeva il podestà, sempre di nomina genovese, il quale esercitava però un’autorità assai limitata sul territorio di Montalto e Badalucco, la cui popolazione era retta da un punto di vista amministrativo da apposite leggi, gli Statuti, ossia un complesso di norme scritte destinate a regolare la vita quotidiana del paese, che dovevano essere approvate dal governo genovese e alle quali tutti gli abitanti dovevano rigorosamente sottostare, compreso il podestà, per quanto risiedesse a Triora.
Gli Statuti di Montalto, redatti nel 1440, ci forniscono quindi una chiara valutazione della situazione socio-economica del paese, dove la popolazione era ormai assai ben organizzata e in pieno sviluppo demografico ed economico. In base a tali leggi, il borgo poté così eleggere non soltanto qualche rappresentante autorizzato a trattare con persone esterne, ma anche le proprie autorità comunali, quali i consoli, autorizzati a giudicare i colpevoli di piccoli reati come furti, danni e simili; gli Anziani, incaricati di aiutare i consoli nell’amministrazione della giustizia e di occuparsi delle liti di confine con i paesi limitrofi; gli estimatori, chiamati a valutare i danni e le richieste di rimborso; i razionari, contabili e cassieri del Comune; i Padri del Comune che sorvegliavano la pulizia e la transitabilità delle strade del paese e delle mulattiere campestri; i mestrali, che controllavano i pesi e le misure dei venditori e il rispetto dei prezzi di molte merci; i procuratori, che si recavano in altri paesi in qualità di rappresentanti del Comune, e i notai, che dovevano elencare due volte all’anno le multe spettanti al Comune e darle al massaro delle angarie o al sindaco.
I consoli e gli Anziani, riuniti nella Curia, che era la loro sede ufficiale, formavano la magistratura che amministrava la giustizia, cioè regolava il buon andamento della vita quotidiana, ascoltando le cause ogni giorno non festivo alla presenza del notaio o scriba della Curia. I consoli di Montalto e Badalucco avevano inoltre piena libertà di giudicare nelle cause civili secondo le norme stabilite negli Statuti e l’antica consuetudine approvata dalle autorità genovesi. Dal momento però che molti uomini di Montalto e Badalucco preferivano rivolgersi al podestà di Triora per cause civili e pecuniarie, con aumento di spesa e perdita d giornate di lavoro, venne stabilita una pena di venti soldi a chi non si rivolgeva ai propri consoli.
La pena era per metà del Comune e metà per la parte lesa, mentre il contravventore doveva rifondere in più tutte le spese fatte dalla parte lesa per andare a Triora e le giornate perse calcolate in ragione di sei soldi al giorno. Rimanevano esclusi gli appelli alle sentenze dei consoli e le cause criminali, che dovevano tutti essere giudicati dal podestà triorese. Per le liti tra compaesani relative ai confini delle terre, o per alberi, vie, passaggi, solchi, acquedotti, scarichi di acqua piovana erano invece chiamati ad intervenire gli Anziani con i padri del Comune, su ordine dei consoli, a richiesta delle parti, i quali dovevano recarsi sul posto e far cessare la lite entro un mese, previa compilazione di atto notarile e alla presenza di testimoni.
Nei secoli tardomedievali e della successiva età moderna la principale fonte di vita per la comunità montaltese era costituita dall’agricoltura e, in misura minore, anche dalla pastorizia, che dava alimento alla popolazione sia con la carne, sia con latte, burro e formaggio; ma mentre la pastorizia era praticata da un numero relativamente ristretto di abitanti, l’agricoltura rappresentava la vita quotidiana di tutti, e anche i pochi artigiani e i rari professionisti di frequente si occupavano, in modo particolare da adolescenti, di agricoltura. Il territorio di Montalto era frazionato in innumerevoli appezzamenti e suddiviso in parti disuguali tra tutti, o quasi, gli abitanti, mentre rarissimi, e forse inesistenti, i latifondisti, e pochi quelli che non possedevano un sia pur piccolo tratto di terreno, dal quale la maggior parte della popolazione traeva la quotidiana alimentazione.
La coltivazione della terra era quindi regolata e tutelata da una serie di minuziose norme statutarie, volte a garantire il massimo rendimento dei terreni coltivati e la pacifica convivenza tra i proprietari e i lavoratori dei campi, oltre alla scrupolosa regolamentazione della pastorizia, dell’allevamento e della raccolta della legna, delle castagne, dei fichi e del carbone, mentre era prevista una gabella sull’olio comperato e venduto, che denota una sia pur modesta commercializzazione, anche a Montalto, del prodotto oleario unitamente alla presenza di un certo numero di mulini utilizzati da ogni famiglia per la propria alimentazione.
Nel corso del XIV secolo il paese era stato coinvolto nelle sanguinose lotte tra guelfi e ghibellini, tanto che il suo nome compare nella pace firmata a Pigna il 9 febbraio 1331 tra la fazione guelfa e quella ghibellina. Carlo Grimaldi, capo del partito guelfo, partecipò alla riunione per la pace quale rappresentante di Ventimiglia e di molti paesi della Val Roia, mentre, da parte ghibellina, intervennero Giacomo e Filippo conti di Ventimiglia per i paesi da loro dipendenti, Olivero, Anselmo e Lazzaro Doria in qualità di rappresentanti di Dolceacqua, Apricale, Perinaldo, Arma, Bussana, Sanremo, Ceriana e Taggia, e infine i sindaci dei paesi di Triora, Montalto, Badalucco e Baiardo. Nel 1355 l’imperatore Carlo IV concesse quindi a Galeazzo Visconti di Milano il Vicariato generale di Genova, Savona, Albenga e Ventimiglia e paesi da questi dipendenti, e così anche Montalto, dipendente da Genova, passò sotto il dominio dei Visconti, che però ressero la Liguria occidentale per breve tempo in quanto già nel 1356 il popolo di Triora cacciò il rappresentante dei Visconti, seguito presto dagli altri paesi. Verso la fine del XV secolo parecchi Montaltesi elargirono numerose offerte in denaro al convento dei Domenicani di Taggia, dove non pochi Montaltesi vestirono l’abito di San Domenico.
Durante il successivo assalto piratesco contro Taggia nel 1564, i corsari, guidati da Ulugh-Alì, detto Occhialì, non essendo riusciti ad entrare a Taggia, dove peraltro arrecarono gravi danni al convento domenicano, si diressero verso Montalto e Badalucco, ma, viste le gravi difficoltà incontrate nella penetrazione in Valle Argentina, si diedero ad un violento saccheggio a Castellaro e nei paesi limitrofi, più vicini alla costa, rinunciando a proseguire verso Montalto e Badalucco, che non furono mai attaccati dai pirati barbareschi nel lungo periodo degli assalti sferrati dai corsari, in prevalenza algerini, nella prima metà del Cinquecento. Durante la prima guerra tra la Repubblica di Genova e il Ducato sabaudo, le truppe sabaude attraversarono nel maggio del 1625 il territorio di Taggia, passando per la strada costiera senza quindi investire direttamente Montalto, dove tuttavia si registrarono saccheggi e violenze da parte delle soldatesche di passaggio.
Altri pesanti danni furono arrecati dalle truppe nel corso del secondo conflitto tra Genova e i Savoia nel 1672, quando Montalto ebbe a soffrire varie distruzioni nelle campagne con conseguente carestia di viveri. Pure nel secolo seguente si susseguirono dolorose vicende belliche, come quella per la successione austriaca tra il 1740 e il 1748, nel corso della quale Montalto fu direttamente saccheggiata, mentre furono numerosi i soldati che, stabilitisi in paese, non si accontentavano di modeste razioni e poveri alloggi costringendo gli abitanti a dormire nelle stalle e a rinunciare a sfamarsi perché obbligati a cedere ai prepotenti invasori le loro abitazioni e gli ormai scarsi viveri. Al termine del conflitto, il paese dovette affrontare ingentissime spese di guerra, ammontanti a ben trentamila lire, oltre ad essere stato costretto a fornire un gran numero di lenzuola e grandi quantità di paglia, fieno e legname all’esercito piemontese, che sostò per ben due anni nei dintorni dell’abitato.
Nel corso dell’età moderna si moltiplicarono inoltre i contrasti e i dissidi tra la comunità di Montalto e quella di Badalucco, che evidenziavano sempre di più l’inderogabile necessità di una separazione amministrativa tra i due centri. A seguito delle continue liti dovette alla fine intervenire anche il commissario generale di Sanremo, che emanò una prima importante sentenza nel 1690, a cui ne seguì un’altra, emessa nel 1736 dal commissario Camillo Doria, che decretò la separazione tra le due comunità, ma ancora una volta la pratica non venne conclusa per divergenze sorte nella divisione delle terre, dei boschi e dei castagneti. Nuovi tumulti scoppiati in seguito a scontri tra pastori nel 1755 indussero ancora una volta le autorità genovesi ad intervenire per placare gli animi e ad imporre una forzata pacificazione tra le parti, che si sarebbe rivelata finalmente duratura.
Nell’aprile 1794 la Liguria di Ponente fu invasa dalle truppe rivoluzionarie francesi guidate dal generale Massena, che occupò anche Montalto, dove la permanenza dei soldati francesi fu causa di ulteriori danni e soprusi ai danni della popolazione, mentre la carestia provocava numerosi morti per epidemia e mancanza di viveri. Dopo la nascita della Repubblica Ligure nel 1797, Montalto entrò a far parte del quarto cantone della Giurisdizione delle Palme, con capoluogo Sanremo, mentre nell’aprile dell’anno seguente il paese e tutti gli altri borghi dell’alta Valle Argentina vennero aggregati alla Giurisdizione degli Ulivi con Triora come capocantone. Nel giugno del 1805 Montalto, insieme a tutto il resto della Liguria, fu quindi annesso all’Impero francese sotto la giurisdizione del Dipartimento delle Alpi Marittime con capoluogo Nizza.
Durante il periodo napoleonico la popolazione montaltese soffrì in modo particolare le continue chiamate alle armi dei giovani del paese, che sottraevano braccia preziose al lavoro dei campi facendo aumentare nello stesso tempo la miseria dei già provati abitanti del borgo. Si spiega così la particolare esultanza con cui i Montaltesi accolsero la notizia della caduta dell’imperatore, tanto da tributare eccezionali dimostrazioni di entusiasmo a papa Pio VII nel suo viaggio di ritorno verso Roma nel febbraio del 1814. Il 1° gennaio 1815 venne quindi ufficialmente sancita l’annessione di Montalto e dell’intera Liguria al Regno di Sardegna; però la popolazione avrebbe presto subito nuovi disagi a causa dell’improvviso cambio della legislazione e della moneta.
Ulteriori malumori e disagi si ebbero a causa dell’introduzione di nuove leggi sabaude, che turbarono le antiche consuetudini del popolo montaltese, che si dovette forzatamente adattare alla nuova monetazione, all’uso del sistema metrico decimale e ai nuovi pesi e misure. Alla fine, però, superate le ultime difficoltà e incomprensioni, la popolazione di Montalto riprese con rinnovata energia e intraprendenza le sue tradizionali attività agricole, con particolare cura alla coltivazione degli alberi di ulivo e castagno, dando così inizio ad un periodo di vita quotidiana più favorevole per il progresso economico e sociale del paese. Dopo la cessione della Divisione di Nizza alla Francia nel marzo del 1860, il borgo era entrato a far parte della neocostituita provincia di Porto Maurizio, mentre il successivo terremoto del 23 febbraio 1887 provocò alcuni crolli e danneggiamenti a vari edifici senza causare tuttavia vittime, tanto che cinquantasei Montaltesi ottennero dallo Stato un mutuo pari a 105.720 lire, a fronte di 17.550 lire concesse dalle autorità centrali per lo sgombero delle macerie, la riparazione di edifici comunali e la messa in sicurezza di opere pie, asili, ospedali, ricoveri, chiese, case canoniche e sedi di Confraternite.
Dopo gli anni della prima guerra mondiale, nella quale caddero trentacinque soldati di Montalto, poi ricordati in un monumento inaugurato nel 1924 alla presenza delle massime autorità della provincia, il paese venne direttamente coinvolto negli scontri tra Tedeschi e partigiani nel corso della guerra di liberazione, quando nei pressi del borgo, in località Sant’Antonio, si stabilì un presidio tedesco che vi rimase dal 20 novembre 1943 al 28 giugno 1944, mentre il 9 gennaio del ’45 si accantonò nell’abitato un presidio di «Cacciatori delle Alpi» insieme a otto Tedeschi provvisti di una radio trasmittente. Il 6 giugno ’44 erano stati intanto fucilati dai nazifascisti nel canneto «Al Mulino» presso il ponte di Desteglio, frazione di Montalto, i partigiani Giobatta Brezzo, Antonio Marvaldi e Marcello Panizzi, mentre, sempre nel mese di giugno, in paese si costituì una Giunta Popolare Comunale, presieduta da Domenico Grasso in qualità di sindaco, e composta da Giacomo Ascheri, Angelo Castagnari, Giacomo Lantrua, Marco Rossi, Antonio Viani e Pietro Viani.
Il 17 agosto i nazifascisti procedettero quindi ad un massiccio rastrellamento nelle campagne circostanti il paese, dove vennero falciati vari abitanti inermi, tra cui due religiosi del Santuario della Madonna dell’Acquasanta, mentre la popolazione non poté fare altro di assistere impotente al saccheggio e all’incendio di alcuni fabbricati del borgo. Nel dicembre del ’43 si era intanto costituito il CLN di Montalto, che risultò formato dai comunisti Giacomo Ascheri e Domenico Grasso, dal socialista Marco Rossi e dagli indipendenti Angelo Castagnari, Giacomo Lantrua, Antonio Viani e Pietro Viani.
Il 15 febbraio 1945 i Tedeschi abbandonarono infine il paese, dove non sarebbero stati più insediati presidi fino alla Liberazione, quando la popolazione di Montalto poté finalmente festeggiare la fine della guerra e l’inizio di un nuovo periodo di pace e di ritrovata serenità. Nel secondo dopoguerra gli abitanti di Montalto Ligure ripresero le tradizionali attività agricole con la coltivazione degli ulivi, dei vigneti, da cui si ricavano uve di varietà ormeasca, l’orticoltura, le cui produzioni riforniscono in piccola parte anche i locali negozi di alimentari, mentre l’allevamento è limitato al bestiame minuto (polli e conigli), oltre alcuni piccoli greggi di capre transumanti in estate negli alti pascoli del territorio montaltese sulle pendici occidentali del Monte Faudo e in località Tomena ad est del Monte Ceppo.
Praticamente assenti sono invece le attività industriali, se si escludono quelle artigianali, anche se parecchi Montaltesi lavorano sulla costa sia nel settore industriale, in particolare nel comparto dell’edilizia, sia in quello agricolo, specialmente nelle coltivazioni in serra di Arma di Taggia e Sanremo, e sia infine nel terziario impiegatizio e turistico. Ed è proprio il comparto turistico che sembra quello maggiormente promettente per il rilancio economico del borgo, dove sono ubicate tre piccole trattorie che offrono però ai clienti un pranzo tipico e genuino basato sui prodotti locali. Rivolte ai sempre più numerosi turisti sono anche le svariate manifestazioni organizzate dalla Pro Loco per far conoscere in modo ancor più approfondito le tradizioni e le consuetudini del paese ai villeggianti che trascorrono le vacanze nella zona di Montalto”.