Mendatica, Tiziana, Erica e Gianfranco, le storie di chi ancora tramanda le tradizioni
Alla scoperta della vita nelle malghe, tra “moda”, formaggi e cestini
Mendatica. Unire passato e presente proiettandosi nel futuro. A Mendatica preservare le tradizioni è importante e rappresenta un orgoglio più vivo che mai. Oggi si è svolta la festa della civiltà delle malghe con stand di artigianato, prodotti locali, laboratori per le vie del paese e gli animali della fattoria per divertire i più i piccoli.
Ma com’era la vita nelle malghe? Dura e faticosa e per questo anche la “moda” doveva essere pratica per facilitare la vita nei pascoli in alta quota.
«In realtà non c’era moda- racconta Tiziana Belli, 67 anni professoressa di italiano di Sanremo in pensione assieme al marito Celestino Lanteri– ma tanta praticità. C’era l’utilizzo delle risorse presenti sul territorio tenendo presente che i tessuti erano la canapa, il lino e la lana perché erano in loco, per il cotone, per esempio veniva comprato da fuori ed era utilizzato solo per i corredi. Il tessuto simbolo della malga è la stamegna che è formato da lino, canapa e lana che facendolo infeltrire si otteneva l’impermeabilizzazione. Quindi il pastore poteva avere le mani libere anche se pioveva perché il cappotto in stamegna lo riparava. Con questo materiale si facevano anche le coperte delle malghe, ruvide ma calde. Abbigliamento tipo dell’umo erano le braghe di frustagno. Aveva una camicia- continua-che utilizzava sia di giorno che di notte dove durante l’attività lavorativa veniva fermata da una fascia che rinforzava anche i reni considerando che i lavori da fare erano pesanti. Altro accessorio immancabile era il cappello che si levava solo in chiesa. Sulla spalla non mancava vai la “bercolla” che portava provviste e altre cose tra cui anche gli agnellini appena nati».
Anche le donne avevano un abbigliamento tipico, «due gonne base oppure un altro tipo di gonna tradizionale è a righe sia blu che rossa sopra cui si indossava il grembiule e i corpetti. Sulla testa la donna indossava sempre il fazzoletto da lavoro, anche lei sempre con la testa coperta e più la donna andava avanti con l’età e più cambiavano anche le tinte indossando colori sempre più sobri».
«Sono infermiera ma nel mio tempo libero aiuto il mio fidanzato che ha un’azienda locale che produce formaggi- racconta Erica Tonelli di 31 anni- è una passione che ho sempre coltivato negli anni ma che è stata difficile mettere in pratica finché non ho incontrato il mio fidanzato che mi ha dato la possibilità di dare sfogo alla mia passione ormai da due anni».
«Oggi- prosegue- faccio una breve spiegazione di come si fa ai visitatori. Si parte dalla mungitura manuale come in passato, dopo la cagliata viene rotta e poi raccolta con un telo di lino e viene lasciata come nell’antichità all’interno delle forme che dopo vengono rivoltate e vengono lasciate su un tavolo da lavoro dove il siero cola».
Dall’abbigliamento al cibo ma anche oggetti quotidiani come per esempio i cestini. Gianfranco Sciandini, 74 anni, da quando è in pensione si dedica all’antica tradizione di intrecciare i cestini. E nel silenzio del suo laboratorio la musica del legno risuona armoniosa. Un’antica melodia che continua nel tempo e che porta un po’ di passata nel presente.
«Un passione che pratico da quando sono andato in pensione grazie a vicino di casa. Per intrecciare mediamente servono una decina di ore. È un lavoro complesso e preciso- racconta- per fare un rivestimento servono 10 minuti per metro poi bisogna fare i manici e gli altri pezzi. Per il rivestimento-continua- si usa il legno di nocciolo mentre per gli atri pezzi il castagno.