Baiardo nel racconto dello storico sanremese Andrea Gandolfo

22 ottobre 2022 | 08:30
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Baiardo nel racconto dello storico sanremese Andrea Gandolfo

Antico possedimento dei marchesi di Clavesana e ceduto alla Repubblica di Genova il 24 novembre

Baiardo. Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata agli approfondimenti storici a cura dello storico sanremese Andrea Gandolfo. Questa nuova puntata riguarderà la storia del borgo di Baiardo, antico possedimento dei marchesi di Clavesana e ceduto alla Repubblica di Genova il 24 novembre 1259:

“Antico borgo medievale ligure, Baiardo è situato a circa 900 metri sul livello del mare nell’alto bacino della Val Nervia ed è circondato dalle più alte vette delle Alpi Liguri con i monti Monega, Frontè, Saccarello, Toraggio, Pietravecchia, Lega, Grai, Bego, Ceppo, Grammondo, Abellio e Marta che si ergono al di sopra delle valli e delle creste, mentre a sud del paese svetta Monte Bignone, che raggiunge l’altitudine di 1299 metri, rivestito lungo il versante settentrionale da rigogliose foreste di pini con numerose sorgenti di acqua purissima, tra le quali alcune di natura solforosa, e ancora a sud-est è adagiato di fronte a un colle l’abitato di Perinaldo. Punto strategico di particolare importanza e nodo centrale delle comunicazioni stradali tra la costa, le valli interne e la montagna, il borgo si sviluppa in cima al rilievo secondo un modello anulare ed è unito alle case più recenti situate in basso tramite un allungamento lineare dell’abitato lungo la cresta ai lati della strada principale del paese.

L’origine del toponimo, la cui forma primitiva Baaldus si è via via trasformata in Bayaldo e infine in Bajardo o Baiardo, è incerta e ha dato adito a tutta una serie di ipotesi congetturali, tra cui quella in base alla quale la località avrebbe preso il nome dall’omonimo feudatario fondatore dell’antico castello attorno al quale si formò il borgo, ma tale ipotesi non può essere accolta in quanto Baiardo non risulta essere un nome di persona.

Un’altra teoria associa il nome del paese al cavalier Pièrre Terrail, visconte di Bayard in Val d’Isère, ma anche questa ipotesi non appare fondata in quanto il Bayard, vissuto tra il 1475 e il 1524, cadde in battaglia a Romagnano Sesia durante una delle guerre tra Carlo V e il re di Francia Francesco I, ed è quindi impossibile che possa aver dato il nome a Baiardo, che era un borgo esistente già da diversi secoli; altri sostengono invece che il toponimo derivi dal nome del cavallo del paladino di Carlo Magno Rinaldo, derivando quindi dall’aggettivo bayard del francese antico, alterato in -ardo di bai “baio”, a sua volta derivato dal termine latino badius, mentre potrebbe anche essere collegato ad un altro aggettivo di etimologia diversa bayart, probabilmente derivato dal francone bërhard, cioè “portatore” con tacita allusione a bard “barella”, mentre potrebbe essere probabile anche un’origine germanica del toponimo in quanto sono molto frequenti in quelle lingue le desinenze in -ald e in -ard.

Altri, infine, hanno avanzato la singolare teoria che il toponimo derivi da baiocco, la moneta pontificia di cui sembra che in paese fosse esistita una zecca, ma anche questa ipotesi appare irricevibile per il fatto che tale moneta comparve in Italia solo nel XV secolo, e quindi almeno quattro secoli dopo la prima attestazione ufficiale del nome Baiardo, un cui preciso riscontro è rintracciabile nel cartulario di S. Vittore di Marsiglia, ove è citato un molendinum, ossia un “mulino”, chiamato Baiardo dal volgo.

Il territorio baiardese risulta abitato fin dai tempi preistorici, in particolare durante il periodo del Mesolitico, tra i 7000 e i 6000 anni a.C., epoca alla quale risalgono le vicine sepolture a tumulo di Pian del Re, mentre alla successiva età celto-ligure sono ascrivibili i castellari di Monte Caggio e Monte Bignone. Nel periodo celto-ligure pare sia anche esistito un tempio celtico in cui si praticava il culto al sole e alla natura, mentre nell’età romana la zona dovette essere probabilmente abitata da tribù di Liguri Euburiati, citati dallo storico e geografo greco Strabone nel suo trattato dal titolo Geografia scritto tra il I secolo a.C. e il I d.C., il quale ricorda anche la presenza di un tempio dedicato al dio Abelio, situato sul colle dell’attuale paese con le sue are di pietra e circondato da vaste foreste intervallate dalle cime dei monti destinate ai riti religiosi.

Un altro storico romano, Ammiano Marcellino, parla invece degli Eubagi, sorta di sacerdoti druidici che si dedicavano allo studio della natura e dal cui nome sembra probabilmente derivare il termine dialettale ubago. Nel 232 a.C. i consoli romani Lucio Cornelio Lentulo e Quinto Fabio Massimo detto il Temporeggiatore sconfissero le genti liguri confederate, mentre, più tardi, dopo la calata di Annibale in Italia, nel 217 a.C. molti Liguri si arruolarono nelle file cartaginesi; in seguito alla definitiva sconfitta di Annibale, i Romani proibirono ai Cartaginesi di far leva in Liguria, le cui terre furono distribuite ai legionari romani. Assoggettato completamente il territorio ligure, i nomi latini cominciarono a sostituirsi a quelli originari celtici, come il toponimo Pallarea che si suole riferire alla dea Pallade o Minerva, mentre altri resistettero nel tempo come il Monte Abellio, derivato presumibilmente dal nome del dio del sole druidico oppure il Monte Belenda, derivato anch’esso dall’appellativo di un’altra divinità celtica.

Dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente, anche il territorio di Baiardo venne interessato dalle invasioni barbariche passando quindi sotto la dominazione bizantina nel VI secolo. Successivamente la zona venne occupata dai Longobardi guidati dal loro re Rotari nel 643 e venne poi occupata dai Franchi di Carlo Magno nella seconda metà dell’VIII secolo, quando nella zona pare abbia combattuto contro gli Arabi il paladino del re franco Ercambaldo. Dissoltosi l’impero carolingio, l’estrema Liguria di Ponente fu inserita nella Marca Arduinica, istituita dal re d’Italia Berengario II nel 950, facente parte, nel suo settore più occidentale, del Comitato di Ventimiglia, al quale fu aggregato il territorio di Baiardo. Nel corso del IX e X secolo il paese venne ripetutamente saccheggiato dai Saraceni, del cui passaggio sono rimaste tracce nei nomi di origine araba dei toponimi baiardesi Saraixin e Nefiza.

Nei secoli successivi l’area entrò nelle mire di Genova, che mirava ad estendere il suo dominio politico e militare su questo lembo di Liguria sottoposto all’autorità dei conti di Ventimiglia, tanto da costringere il conte intemelio Oberto a inviare due squadre di armati in difesa di Baiardo e Pigna che erano state attaccate dall’esercito genovese nel 1130. Subita però una netta sconfitta da parte delle truppe della Repubblica, nello stesso anno gli abitanti del borgo furono allora costretti a giurare fedeltà alla Chiesa e al Comune di Genova. Baiardo venne occupato militarmente dai Genovesi, i quali tuttavia, in un secondo tempo, lo restituirono al conte Oberto, che riottenne il suo feudo dopo aver però sottoscritto delle durissime condizioni.

Nel paese, dove era stato intanto costruito il castello comitale, Oberto amministrava la cosa pubblica attraverso un suo funzionario di fiducia, il castellano, che sovrintendeva al buon andamento della vita politica, sociale ed economica del borgo. Dopo l’alleanza stipulata dai conti di Ventimiglia con la Repubblica di Pisa in funzione antigenovese nel 1170, molti marinai pisani cominciarono a frequentare i paesi dell’entroterra, tra i quali anche Baiardo, allo scopo di rifornirsi di legname per la costruzione di navi. Proprio a questo periodo risale inoltre l’assassinio di Angelina, una delle figlie del conte Oberto, che l’avrebbe uccisa in un bosco situato nei pressi dell’abitato nel luogo detto oggi «Viale degli Innamorati», episodio alla base della tradizionale festa della «Barca», che si tiene ogni anno a Baiardo nella piazza centrale del borgo nel giorno di Pentecoste per celebrare l’anniversario della morte di Angelina.

Nel 1225 un altro Oberto, conte di Badalucco, stipulò una convenzione con gli uomini di Baiardo, il 22 aprile di quell’anno, con la quale si accordavano alla piccola comunità tutte le consuetudini che essa esercitava dal tempo del conte Odone con l’obbligo per i residenti del luogo, di sovvenzionare la Curia locale, la quale era competente per i delitti di omicidio, spergiuro, adulterio e tradimento, ma non però in merito alle offese recate ai forestieri; il condannato dalla Curia era inoltre tenuto, come spese di giudizio, al pagamento di una somma che non poteva superare i dodici denari con la fissazione del termine di prescrizione acquisitiva a dieci anni, mentre, a sua volta, il conte prometteva solennemente di difendere, nella persona e nei beni, i suoi sudditi, che si obbligavano a corrispondergli la somma di quattro lire a cadenza annuale.

Intorno alla metà del XIII secolo la figlia del conte Oberto Veirana si sposò con Pagano di Ceva, al quale, dopo la morte del padre di Veirana, passò il dominio su vari paesi dell’entroterra, tra i quali pure Baiardo, che divenne così un possesso dei marchesi di Clavesana, ma le sempre più forti pressioni genovesi indussero ben presto Pietro e sua moglie a cedere i loro possedimenti nell’estremo Ponente al governo della Repubblica, che li acquistò ufficialmente con annessi i relativi diritti e prebende tramite un atto stilato a Genova il 24 novembre 1259 alla presenza del capitano del popolo Guglielmo Boccanegra al prezzo complessivo di 2300 lire genovesi. Da quel momento Baiardo avrebbe seguito le sorti politiche della Repubblica sotto la giurisdizione della podesteria di Triora.

Gli stretti rapporti del paese con Genova sono ulteriormente confermati da vari atti, tra i quali, oltre alla regolare partecipazione con uomini e mezzi alle spedizioni militari condotte dalla Repubblica nel corso del Medioevo e dei primi secoli dell’età moderna, si ricorda l’invio a Genova di molti alberi nel 1282 per la costruzione di cinquanta galee, mentre nella guerra scoppiata tra Guelfi e Ghibellini per il controllo di Ventimiglia, Monaco e diversi paesi dell’entroterra, Baiardo si era schierata con i secondi guidati dai Doria di Dolceacqua; la guerra terminò con la pace di Lago Pigo stipulata nel 1331 nei pressi di Pigna, dove firmarono per il paese e la parte ghibellina locale i sindaci Corrado Rubini e Alberto Torelli.

Numerose furono poi le vertenze che Baiardo dovette sostenere con i paesi vicini, come quella sorta con Badalucco ai primi del Quattrocento in merito al territorio conteso detto Cuneo di Brunengo, sul quale si era già pronunciato una prima volta un arbitro, di cui non ci è stato tramandato il nome, nel 1404, senza tuttavia che le parti avessero rispettato gli accordi, e a cui seguì una seconda sentenza, datata 1445 ed emessa dal vicario della Riviera occidentale Giovanni da Promontorio, il quale anch’esso scontentò entrambe le parti, finché non si arrivò al decisivo intervento di Martino Granono di Albenga, il quale, il 18 maggio 1446, divise il Cuneo tra le due parti fissando dei nuovi confini e stabilendo che entro questo confine i Badalucchesi avrebbero goduto del diritto di pascolare bestiame ed estrarre la legna salvo gli interessi garantiti agli abitanti di Triora, con divieto però di seminare e far prati vicino alla fonte presente nella zona e facoltà di vendere l’erba a chiunque ne avesse fatto richiesta.

Un secolo e mezzo dopo il Parlamento di Baiardo, in una seduta pubblica tenutasi nella piazza centrale del paese il 5 maggio 1577, approvò i suoi Statuti comunali, il cui testo, salvo il beneplacito delle superiori autorità genovesi, era stato compilato da Antonio Chierico, Giovanni Laura e Vincenzo Rubino. Queste leggi, al pari di quelle di molti altri paesi della Liguria occidentale, erano destinate a regolare minuziosamente tutti gli aspetti della vita politica, sociale ed economica del piccolo borgo, con particolare riferimento alle attività agricole e pastorali e all’equa amministrazione della giustizia.

Nel corso della prima guerra tra Genova e i Savoia, il borgo venne provvisoriamente occupato dal duca sabaudo Carlo Emanuele I nel 1625, ma fu subito prontamente liberato da un contingente di truppe sanremesi alleate con le forze genovesi. Nel corso del secolo successivo Baiardo fu inoltre al centro di alcune controversie sorte tra il vescovo di Ventimiglia e altre autorità civili e religiose, in quanto le parrocchie baiardesi si trovavano nell’insolita e difficile situazione di appartenere a ben tre diversi Stati, anche se nei documenti riguardanti il paese durante il Settecento questo è sempre indicato come un possesso della Repubblica di Genova. Per il resto del secolo Baiardo rimase un fedele avamposto fortificato del dominio genovese fino al 1797, quando entrò a far parte della Repubblica Ligure, passando quindi, con il resto della Liguria, sotto il dominio francese nel 1805 e infine sotto quello del Regno di Sardegna nel 1815 in qualità di comune della Divisione di Nizza e, ceduta quest’ultima alla Francia nel 1860, della neocostituita provincia italiana di Porto Maurizio.

Di lì a pochi anni il paese venne sconvolto da un tragico evento naturale che avrebbe completamente mutato i connotati del borgo seminando morte e immani distruzioni: il catastrofico terremoto del febbraio 1887, destinato a segnare per sempre le sorti di Baiardo, il cui antico nucleo abitato medievale venne da allora abbandonato per costruirne uno nuovo più a valle. La mattina del 23 febbraio di quell’anno, alle ore 6,21, tutto il territorio della Liguria occidentale cominciò a tremare per alcune brevi scosse sismiche cui ne seguirono altre di fortissima intensità, accompagnate da cupi boati, della durata di 28 secondi, seguite, dieci minuti dopo, da un’altra scossa sussultoria alle 6,30 circa, che durò 15 secondi, ma fu particolarmente rovinosa per i suoi effetti devastanti su chiese e abitazioni, mentre una terza e ultima fortissima scossa di natura sussultoria e ondulatoria si registrò verso alle ore 8,51 con un grado di intensità che oscillò tra l’8° e il 10° della scala Mercalli.

Al momento della scossa delle 6,21 la chiesa parrocchiale del paese, dedicata a San Nicolò e situata nel punto più alto dell’antico borgo, era gremita di fedeli che si erano riuniti per partecipare alle funzioni religiose del Mercoledì delle Ceneri. La scossa più intensa fece improvvisamente crollare la volta dell’edificio, che si abbattè in modo rovinoso sulla folla sottostante, pare ammontante a circa quattrocento fedeli, uccidendo sul colpo oltre duecento persone compreso il sindaco e tre consiglieri. Subito dopo il pauroso crollo, i legnami del tetto caduti sulle persone rimasero a tal punto intrisi di sangue che le autorità le fecero accatastare e bruciare seduta stante all’interno stesso della chiesa. Nel resto del paese, invece, nonostante anche lì la maggior parte delle case fosse crollata, si ebbero soltanto due vittime.

Particolarmente dolorose si rivelarono poi le operazioni di riconoscimento dei cadaveri, quasi tutti sfigurati, da parte dei congiunti delle vittime, le quali, data l’insufficienza del piccolo cimitero, furono sepolte in gran fretta il giorno dopo il sisma in una grande fossa a forma di croce in grado di contenere gli oltre duecento cadaveri, sopra la quale fu innalzata una croce di legno colorata in rosso; il bordo dell’area venne delimitato con pietre bianche, mentre al centro della fossa furono collocati mattoni e tegole in segno di omaggio e perenne ricordo del popolo di Baiardo a tanti suoi figli periti in circostanze così tristi e drammatiche. Per alcuni mesi dopo il terremoto la popolazione visse in tende e poi in baracche di legno costruite nella piccola piana situata all’ingresso del paese, anche se nelle prime settimane la situazione fu ulteriormente complicata dall’arrivo di un forte vento gelido accompagnato da nevischio, che acuì le sofferenze degli sfollati, e in particolare dei feriti, costretti a rimanere immobili, oltre ad essere malcoperti e a dormire su freddi e disagevoli giacigli di paglia.

Le opere di assistenza furono comunque solerti e tempestive e vi si distinsero soprattutto due signorine inglesi, che elargirono soccorsi in denaro e procurarono viveri e medicinali alla popolazione del paese per mesi e forse addirittura anni, a cui si aggiunse la somma di 132 lire e vari centesimi stanziata in occasione della visita del ministro dei Lavori pubblici, che volle recarsi a Baiardo per rendersi personalmente conto dei danni provocati dal sisma. Altre somme di denaro furono devolute anche dalla Società di Mutuo Soccorso di Sanremo e dal Club di Milano, mentre lo Stato concesse in prestito al Comune di Baiardo 50.000 lire per il riattamento delle strade, 38.000 lire per la ricostruzione degli edifici comunali, 30.000 lire per la realizzazione di opere pie quali asili, ospedali, ricoveri, ospizi e simili, oltre a 82.000 lire per la ricostruzione di edifici religiosi quali chiese, oratori, case canoniche e sedi di confraternite, per un totale complessivo di 200 mila lire, una somma non elevata se si considerano gli altissimi costi umani pagati dal paese con 212 morti e 52 feriti su una popolazione di soli 1587 abitanti.

Dopo gli anni della prima guerra mondiale, alla quale anche Baiardo diede il suo contributo con numerosi caduti, e quelli del regime fascista, il paese visse l’esperienza della guerra di liberazione con diversi scontri tra Tedeschi e partigiani. Il primo avvenne il 14 agosto 1944 quando un gruppo di partigiani attaccò alcuni soldati tedeschi nei pressi dell’Asilo infantile del paese, dove i nazisti uccisero con raffiche di mitra i tre resistenti Gino Amici, Alfredo Blengino e Nino Agnese (Marco), mentre Mario Laura rimase ferito alle gambe.

Il 2 settembre successivo due uomini del 2° distaccamento della V Brigata comandata da Vittorio Guglielmo (Vittò) aprirono il fuoco contro una pattuglia di trenta Tedeschi nelle vicinanze del cimitero del paese uccidendone otto e facendone uno prigioniero. Per fronteggiare l’attesa reazione nazifascista, alle tre del mattino del 5 settembre una squadra composta dai garibaldini Piero Bernocchi, Francesco Sappia e altri si piazzarono con due pesanti mitragliatrici «Fiat» nella parte sud di Baiardo, mentre un altro mitragliatore e uno sputafuoco furono posizionati nei pressi per proteggere la strada proveniente da Apricale e controllare quella proveniente da San Romolo e da Ceriana. Alle 7,30 circa del mattino una colonna di Tedeschi venne investita dal fuoco delle postazioni garibaldine, che uccisero sei nazisti, mentre altri caddero sulla strada di San Romolo e di Ceriana.

Dopo aver appreso che i Tedeschi stavano ormai rientrando a Baiardo attraverso il passo del cimitero al bivio delle strade provenienti da Monte Bignone, Ceriana e Badalucco, i garibaldini che avevano preso parte all’operazione contro la colonna tedesca, smontarono le armi e si ritirarono in ordine nei boschi di Castelvittorio in località Marixe. L’8 settembre la zona di Baiardo venne nuovamente interessata da una perlustrazione di nazifascisti, che, nei pressi dell’abitato fucilarono il garibaldino baiardese Mario Tamagno (Bastone). Pochi giorni dopo il paese fu selvaggiamente saccheggiato da un gruppo di brigatisti neri, i quali catturarono anche una cinquantina di ostaggi, che furono condotti a Sanremo e poi però rilasciati.

All’alba del 25 settembre una formazione di settanta fascisti marciò verso il cimitero di Baiardo entrando subito dopo nella strada provinciale del paese, mentre altri gruppi di Tedeschi accerchiarono il borgo istituendo posti di blocco a Berzi e in altre località per impedire tentativi di fuga di civili o partigiani verso i boschi circostanti. Nel corso delle ore successive il segretario politico del Fascio di Sanremo Angelo Mangano, imbaldanzito per l’assenza di partigiani in paese, ordinò ai suoi uomini di distruggere la casa che ricoverava i partigiani con una puntata offensiva durante la quale venne ucciso il giovanissimo partigiano di Vallebona detto «Rebaudo». Sempre nel mese di settembre il Comando della V Brigata diffuse presso i contadini di Baiardo un manifesto con cui si esaltava il loro contributo alla causa della Resistenza e li si spronava a continuare la loro lotta contro i nazifascisti in attesa dell’ora della liberazione ormai imminente.

Le drammatiche conseguenze del conflitto si fecero purtroppo sentire anche nei mesi finali della guerra, e in particolare dal 20 dicembre 1944 al 25 aprile 1945, quando un gruppo di bersaglieri fascisti della «9ª Compagnia della Morte» iniziò ad usare violenza, spargere terrore, assassinare e torturare civili inermi, oltre ad irrompere nelle case portando via tutto quello che trovavano, effettuare prelievi notturni, tenere interrogatori forzati e compiere sevizie efferate contro chiunque fosse stato accusato di aver aiutato i partigiani. Un giorno i suddetti fascisti arrestarono i baiardesi Luigi, Silvio, Mauro e Giobatta Laura, che furono fucilati a Sanremo dai nazifascisti il 24 gennaio 1945. Acquartieratisi nell’albergo «Miramonti», i bersaglieri fascisti operarono scassi e furti, rapinarono le scorte alimentari, seviziarono diverse donne e numerosi uomini del paese, mentre il 10 marzo del ’45, dopo aver catturato nel corso di un rastrellamento i garibaldini Gaetano Cervetto e Matteo Perugini, li legarono per due giorni ad un palo sottoponendoli ad ogni sorta di torture e sevizie, e infine li fucilarono nel cimitero di Baiardo. Nel marzo ’45 venne anche ucciso il garibaldino Riccardo Vitali da parte di un milite fascista della 9ª Compagnia, che avrebbe tuttavia pagato caro i suoi crimini con la perdita di oltre un centinaio di bersaglieri fascisti tra morti, prigionieri e disertori.

Dopo la fine della guerra il paese cominciò una lenta ripresa incentivata dallo sviluppo delle attività turistiche, che fecero ben presto di Baiardo uno dei più noti e frequentati centri di villeggiatura dell’entroterra sanremese dotato di tutte le attrezzature necessarie con la possibilità di effettuare piacevoli escursioni sul Monte Bignone e sul Monte Ceppo, dove i turisti sono attratti tra l’altro dalla presenza di sorgenti purissime di acqua solforosa medicinale e terapeutica.

La ricezione turistica si avvale inoltre di tre ristoranti-albergo, una pizzeria-discoteca e due ristoranti, che offrono alla loro clientela i piatti tipici della cucina locale, oltre a diversi negozi tutti ben sistemati e forniti di tutto il necessario che organizzano quotidianamente durante la stagione estiva un piccolo mercato di generi alimentari con varie specie di ortaggi e frutta di stagione, mentre negli ultimi anni sono anche sorti a circa un chilometro dal paese tre villaggi turistici nelle località Nefiza, Pallarea e Gian Lui. Attualmente la principale fonte di reddito della popolazione proviene dalla olivicoltura alla quale si affiancano attività secondarie rappresentate soprattutto dalla coltivazione di uva, ortaggi e frutta condotte prevalentemente a livello familiare e in modo particolare dalla produzione del Rossese, il celebre vino rosso da pasto, che costituisce la punta di diamante dell’intero settore viticolo della zona”.