La storia del comune di Pigna nel racconto dello storico Andrea Gandolfo
Nel 1388 il borgo fu venduto ai duchi di Savoia
Pigna. Torna il consueto appuntamento con la rubrica del fine settimana a cura dello storico di Sanremo Andrea Gandolfo, che per questa occasione ha ricostruito per i lettori di Riviera24.it la storia del borgo di Pigna, comune dell’alta Val Nervia che nel 1388 fu venduto ai duchi di Savoia.
Il territorio del Comune di Pigna si presenta come una zona montana che occupa la maggior parte dell’alta Val Nervia, includendo due centri abitati, il capoluogo e la frazione di Buggio. Il torrente Nervia lo attraversa da nord-est a sud-ovest ad un’altitudine media di 200-300 metri sul livello del mare, mentre il comprensorio è attorniato da vari rilievi quali il Monte Grai, il Monte Pietravecchia, il Monte Toraggio e Cima Marta. Nell’area del fondovalle, ove sorgono il capoluogo e la frazione di Buggio, si trovano invece le zone coltivate, tra cui orti, ulivi e vigneti, mentre più in alto sono situati i boschi di castagno e i cedui, per raggiungere infine le zone di montagna ricoperte di conifere con vasti prati a pascolo. La valle presenta complessivamente pendii molto ripidi e aspri, di cui quello rivolto a settentrione è coperto di castagneti e di rovereti fino ad una certa altitudine, a differenza del versante opposto che è coltivato. Nei tratti più ripidi prevale l’ulivo, mentre sui pendii più dolci, terrazzati con un sistema artificiale, che sono ubicati all’altezza media di 500-600 metri, si incontrano colture di seminativo arborato e vigneti. L’estensione del territorio comunale di Pigna si formò peraltro in modo graduale rimanendo di fatto invariata dalla fine del XVI secolo al 1947, quando tutta la zona a settentrione della linea spartiacque Passo Muratone-Cima Marta fu annessa alla Francia in esecuzione del Trattato di Pace. Oltre alla parte centrale, che si presenta assai compatta, il territorio comunale pignese comprende anche due «isole»: il Monte Gordale, circondato dal territorio di Castelvittorio, e il Monte Comune, incluso nel territorio di Isolabona. Tali isole sono state costituite in seguito a due divisioni di territorio intercomunale avvenute rispettivamente nel 1476 e nel 1356. La conformazione delle strade e degli isolati di Pigna è strettamente collegata sia alle caratteristiche fisiche del territorio sia alle direttrici itinerarie che vi convergono. Nella zona di piazza Castello, sede della scomparsa fortificazione del XII secolo dei conti di Ventimiglia, si può circoscrivere il nucleo più antico dell’abitato, come è attestato dai caratteri delle architetture superstiti, messe in luce dai coronamenti di archetti pensili gotici e dalla tipologia e datazione delle componenti di arredo minore quali portali, sovrapporte, scale, archi e logge.
L’asse viario principale del borgo, costituito con ogni probabilità dall’attuale via Ponte, riunisce in continuità gli elementi fondamentali della struttura funzionale e sociale del paese, corrispondenti al ponte stesso, al borgo fuori le mura, sottostante le abitazioni “nobili” nel perimetro murato più antico, al castello, alla loggia e infine alla chiesa. Il successivo ampliamento del tessuto a forma di semicerchi concentrici nel “fuoco” della piazza fortificata, è riconducibile ad una seconda fase di sviluppo del borgo, orientata dal perimetro originario delle mura, secondo i dettami di nuovi sistemi di “maglia” corrispondenti all’area di via Colla e di via Carriera Piana. A tale momento segue quindi una terza fase di sviluppo favorita dalla realizzazione del sistema delle comunicazioni intervallive tra Roia, Nervia, Armea e Argentina nel nodo confinario di Pigna e Castelvittorio, con la formazione di nuove matrici di impianti edilizi di carattere lineare e seriale. Il tessuto urbano di Pigna si è dunque consolidato secondo precisi riferimenti politici e soprattutto economici in funzione di un sistema territoriale spartito con la vicina, opposta e sovente rivale localizzazione dell’antica Castelfranco (oggi Castelvittorio). La trama itineraria, derivata direttamente dallo stesso impianto urbano del borgo, rappresenta la grande struttura dell’intera zona pignese circondato dalla corona di montagne che si aprono nei suoi valichi storici di Gouta, Muratone, Langan e Ghimbegna. Il toponimo, secondo un’antica etimologia popolare, sarebbe legato all’aspetto del centro abitato costituito da case poste una sull’altra, quasi a forma di pigna. In base ad un’altra ipotesi, pare invece che il nome derivi dal latino pinea (dall’aggettivo pineus) per via dei numerosi boschi di pino esistenti nel territorio. Secondo studi più recenti e attendibili, il toponimo deriverebbe invece da pinnia (da cui anche l’italiano pigna nel significato di “frangiflutti del ponte”), voce del latino parlato connessa con pinna “penna”: l’abitato, sviluppatosi lungo le pendici del castello dei conti intemeli dopo la sua distruzione, occupa infatti l’estremità di un contrafforte che determina un’ansa del torrente Nervia. Da segnalare inoltre, a titolo di curiosità, che lo stemma cinquecentesco del Comune, sul quale è effigiata appunto una pigna, è dovuto a un tardo accostamento paraetimologico al latino nux pinea, ossia “frutto del pino”.
Le più antiche testimonianze relative alla frequentazione umana del territorio pignese risalgono ad un periodo compreso tra 60.000 e 40.000 anni fa, nel corso della prima metà dell’ultima glaciazione quaternaria del Würm, quando piccoli gruppi di cacciatori paleolitici neandertaliani abbandonarono i loro abituali territori di caccia lungo le pianure del litorale e nei pressi dell’estuario dei fiumi, dove era più abbondante la selvaggina, per risalire le impervie vallate montane e cacciare l’orso speleo nelle caverne occupate dall’animale nel lungo periodo del suo letargo invernale. L’uomo di Neandertal presente nella zona dell’odierna Pigna era solito cacciare e uccidere l’orso speleo nella tana di Badalucco, denominata u garbu de Baraicu nel dialetto pignasco, dove viveva il grande orso delle caverne, dalla taglia tre volte più possente dell’orso bruno attuale. Per rendere meno faticoso il trasporto dell’animale ucciso, i cacciatori neandertaliani scuoiavano e squartavano le prede sul posto per ottenerne la folta e calda pelliccia, la carne e il grasso. Tali operazioni sono testimoniate in particolare dalla presenza di parecchi manufatti in quarzite e in selce (raschiatoi, punte, coltelli a dorso e lame) scheggiati con la tipica tecnica musteriana, abbandonati dai cacciatori al suolo tra i resti degli orsi uccisi. Estintisi quindi gli ultimi esemplari dell’Ursus spelaeus intorno ai 10.000 anni fa, nella fase del Tardiglaciale la grotta di Badalucco fu gradualmente abbandonata, mentre, con il ritorno del clima temperato, a partire dal V millennio a.C., nella tana cominciano ad insediarsi nuclei di agricoltori-pastori appartenenti alle prime comunità del Neolitico antico, portatrici della cosiddetta “cultura della ceramica impressa”, caratterizzata dall’usanza di decorare i vasi, prima della cottura, con il bordo di una valva di conchiglia di Cardium. La “cultura Chassey-Lagozza”, che inizia intorno al 3500 a.C. e copre tutta la fase finale del Neolitico, è rappresentata da una serie di frammenti di tazze e scodelle a calotta sferica e a pareti sottili lucidissime. Nella seconda metà del III millennio a.C. inizia l’età dei Metalli con l’arrivo in Liguria dalla Francia meridionale di vari gruppi di pastori-guerrieri che introducono i primi oggetti in rame, nuovi riti religiosi di origine orientale e l’uso di seppellire i morti all’interno di cavità naturali in ossari di tipo collettivo. Resti di tali sepolture sono stati rinvenuti nella tana di Badalucco e nella grotta Grande sotto la cava della diga di Tenarda, mentre risalgono probabilmente ad una fase più avanzata dell’età del Bronzo i resti umani raccolti nella caverna della Giacheira. A differenza della vicina alta Valle Argentina, dove i ritrovamenti più antichi risalgono al 4000 a.C. circa e sono riferibili a una fase della “cultura del vaso a bocca quadrata” sviluppatasi nel corso del Neolitico medio e in parte del recente, nel territorio di Pigna la presenza dell’uomo è però molto più antica attestandosi a circa 50.000 anni prima, nel Pleistocene superiore, collocabile all’inizio dell’ultima fase glaciale quaternaria del Würm.
Tra i vari anfratti situati nel territorio pignese, la caverna della Giacheira, ubicata in località Mareilae, sulla sinistra orografica del rio Muratone, affluente del Nervia, a circa due chilometri e mezzo da Pigna, all’altitudine di 570 metri sul livello del mare, ha restituito nella seconda metà del XIX secolo, in parte liberi sul suolo argilloso e in parte inglobati nelle concrezioni stalagmitiche, i resti di una mandibola umana e ossa varie di animali, principalmente di orso e di lupo, mentre all’interno di una piccola sala lunga una decina di metri sono state rinvenute nei pressi di piccole conche alabastrine piene d’acqua, lungo le pareti ricoperte da stalattiti e stalagmiti, diverse orme profonde di vari animali, di cui a tutt’oggi non è stata ancora accertata la datazione e l’appartenenza, anche se l’ipotesi più accreditata è quella secondo la quale anticamente la caverna fosse collegata con l’esterno mediante un’altra apertura, attualmente occlusa da varie colate stalagmitiche e dai detriti di falda che ricoprono il pendio alla base della parete rocciosa. Nella grotta di Badalucco, oggetto di diverse campagne di scavi, sono invece venuti alla luce parecchi scheletri umani (poi andati dispersi), alcuni frammenti di cranio e di ossa lunghe, un pugnale litico, che rappresenta uno dei reperti più siginificativi dell’età del Rame in tutta la Liguria, ossa di orso delle caverne, alcuni denti di Felis spelaea (o leone delle caverne), ventidue frammenti di ceramica ad impasto databili all’intero arco del Neolitico e dell’età dei Metalli, sette manufatti litici, poi andati perduti, e, negli anni più recenti, vari reperti di industria paleolitica musteriana, oltre a tre manufatti paleolitici in quarzite, tra cui una tipica lama levalloisiana, rinvenuti nel 1978 nel corso di una spedizione effettuata dai membri del Gruppo speleologico imperiese. Altri reperti sono stati infine rinvenuti nella grotta Grande, una tipica grotticella sepolcrale eneolitica, che è stata scoperta nel 1962 a circa 1225 metri di quota a valle della base della diga di Tenarda. All’interno dell’anfratto, che ha uno sviluppo complessivo di 75 metri circa, sono stati scoperti i resti di una sepoltura costituita da ossa umane, appartenenti ad un unico individuo, sparse disordinatamente sul suolo, mentre tra il pietrame e le ossa sono stati raccolti alcuni oggetti di uso ornamentale e due valve forate di Cypraea, oltre a una piastrina, che dovette essere con ogni probabilità un pendaglio, di forma leggermente ricurva, ricavata da una valva di conchiglia con due fori paralleli all’estremità superiore.
Nel corso dell’età romana la popolazione pignese faceva probabilmente parte di un pago del municipio di Albintimilium (Ventimiglia), che forse traeva il nome dall’etnico dei Nervii, conservato nella denominazione del torrente e della Val Nervia. La frazione di Buggio, che porta un nome di origine preromana (Bucino), i nomi di alcune bandite e il Monte Toraggio dominante la conca di Pigna e che forse riflette un preromano Turrabulum, attestano l’antichità di uno stanziamento umano nel territorio. La presenza di reperti romani, tra cui varie monete e suppellettili, oggi andati dispersi, che furono ritrovati nell’area di fondovalle, rendono probabile l’esistenza in loco di un abitato romano o altomedievale, certamente anteriore alla costruzione del castello dei conti di Ventimiglia nel XII secolo. Secondo una tradizione locale, sembra sia esistito un centro abitato anteriore al X secolo, poi andato distrutto nel corso di un’incursione saracena e che ancor oggi denominato Malborgo. Durante i primi secoli dell’era volgare pare inoltre che l’antica chiesa di Santa Maria di Nogareto abbia svolto le funzioni di unica chiesa paleocristiana dell’alta Val Nervia, dove esisteva anche una sorgente di acque termali, oggetto di culto presso gli antichi, tanto da rendere plausibile che il culto cristiano abbia sostituito precedenti culti pagani. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente non sembra che siano avvenuti veri e propri stanziamenti barbarici nel territorio di Pigna, anche se alcuni onomastici di origine germanica, presenti in numerosi cognomi locali, risalgono probabilmente ai milites franchi che i conti di Ventimiglia avevano posto a presidio del loro castello. Negli ultimi decenni del XII secolo si verificò tuttavia una lenta decadenza della potenza dei conti di Ventimiglia, soprattutto nelle città, mentre gli stessi conti si arroccavano sempre di più nei loro manieri della Val Nervia rafforzandoli ulteriormente. A distanza di pochi decenni però i conti decisero di ritirarsi anche dalla Val Nervia vendendo i loro castelli alla Provenza o alla Repubblica di Genova. Fu così che nel 1258 i conti di Ventimiglia, pressati sempre di più dall’espansione genovese, vendettero Pigna e la vicina Rocchetta ai conti d’Angiò di Provenza, mentre l’area del castello si andava gradualmente trasformando in un nucleo abitato compatto, la cui popolazione di consorti, militi e contadini si organizzò in Comune autonomo. Nel XIII secolo il Comune, rappresentato dai consoli, stipulò varie convenzioni con i comuni vicini, tra i quali Castel Do, Triora, Apricale e Dolceacqua, per lo sfruttamento delle aree silvopastorali indivise come il Monte Gordale, il Monte Comune, le Alpi di Tenarda e Cima di Marta. Alla stessa epoca risale inoltre con ogni probabilità il testo più antico degli Statuti del paese, che ci sono pervenuti in una redazione tarda e non datata. Tra la metà del XIII secolo e quella del XIV l’alta Val Nervia fu teatro di una serie di scontri cruenti tra la fazione guelfa e quella ghibellina, che rifletteva il conflitto più ampio tra la Contea di Provenza e la Repubblica di Genova. La guelfa Pigna dovette sopportare in particolare gli assalti del signore di Dolceacqua Imperiale Doria, che insanguinò l’alta valle fino al 1365, quando la pace stipulata presso il ponte di Lago Pigo pose fine all’interminabile sequenza di lotte intestine. Il dominio provenzale su Pigna terminò quindi in modo incruento nel 1388, quando il governatore della Provenza Giovanni Grimaldi signore di Boglio, promosse il distacco delle vicarie di Nizza, Tinea e Ventimiglia dalla signoria di Ladislao, re di Napoli ed erede della casa d’Angiò, e l’assegnazione di queste terre al conte di Savoia Amedeo VII. Il Comune di Pigna, che sperava di ottenere la protezione dei conti di Savoia in funzione difensiva nei confronti delle pretese della signoria Doria di Dolceacqua, accettò quindi la proposta e inviò a Nizza nel 1388 due suoi delegati al fine di prestare solenne giuramento di fedeltà al conte di Savoia. Il nuovo sovrano concesse al paese la facoltà di reggersi con propri statuti, mentre a un ufficiale chiamato bailo, una sorta di governatore, erano demandati tutti i diritti che spettavano al conte, tanto che già tre anni dopo, in un documento relativo alla composizione di una vertenza tra Pigna e Triora avvenuta nel 1391, venne citato il primo bailo pignese di Casa Savoia Onorato Richieri insieme al sindaco Pietro Allavena e al notaio Onorato Genovesi.
Dopo il passaggio di Pigna sotto i Savoia iniziò un periodo di benessere per il paese, mentre il signorotto di Dolceacqua non molestava più i sudditi del potente vicino e pure la Repubblica di Genova non consentiva più abusi e soprusi da parte degli abitanti di Triora e di Castel Do. Anche il numero dei “fuochi”, o nuclei familiari, ridotto a meno di 200 nell’ultimo decennio del XIV secolo, aumentava progressivamente tanto che le campagne circostanti l’abitato riprendevano ad essere coltivate e le tensioni politiche andavano sempre più affievolendosi. Permaneva tuttavia l’antica rivalità tra la parte superiore del borgo di parte guelfa e quella inferiore ghibellina che possedevano tutte e due una casa di Santo Spirito, ma i guelfi, per evitare di recarsi nei giorni di festa nella parrocchia di San Tommaso, appartenente ai ghibellini, cominciarono a radunarsi nella chiesa dedicata a San Michele, che sarebbe diventata nel secolo successivo la parrocchia dell’intero comune. Nella seconda metà del XVI secolo la Riviera di Ponente venne poi devastata dalle scorribande dei pirati barbareschi guidati dal Barbarossa, bey d’Algeria, e dal suo successore il feroce Kaur-ad-Din, sconfitto da Andrea Doria, i quali non pare tuttavia abbiano mai saccheggiato Pigna, la località allora più popolata della val Nervia, difesa da una possente cerchia di mura, anche se alcuni storici hanno sostenuto che vi sia stato anche a Pigna un assalto barbaresco, fatto che non è stato peraltro storicamente accertato con sicurezza.
Nel 1625, durante la prima guerra tra la Repubblica di Genova e il Ducato sabaudo, le truppe genovesi, reduci dalle vittorie di Gavi e Savignone, dopo aver espugnato Sanremo, si diressero verso Pigna, dove trovarono a difendere il borgo cinquecento Pignesi atti alle armi affiancati da altrettanti Piemontesi e Nizzardi. L’assedio, durato otto giorni, non riuscì tuttavia a piegare la resistenza dei Pignesi e dei loro alleati, i quali, per evitare un inutile spargimento di sangue, convinsero le autorità genovesi a stipulare un armistizio, dopo il quale i Genovesi offrirono l’onore delle armi, mentre le donne, i vecchi e i bambini venivano ricoverati in chiesa sotto la garanzia del parroco don Bartolomeo Raineri. Le continue guerre avrebbero però ben presto ridotto in povertà la popolazione di Pigna, come confermato da un atto notarile del 1636, che lamenta in particolare le conseguenze disastrose dei passaggi nel territorio pignese delle truppe francesi e spagnole. Non potendo più far fronte alle spese sempre più ingenti degli abitanti, la comunità di Pigna decise alla fine di cedere in uso i suoi mulini, i forni, i frantoi e le pozze per la canapa ai fratelli Solari di Nizza per la somma di 19.000 scudi d’oro. Frattanto, nel 1597, il duca Carlo Emanuele I di Savoia aveva consegnato al pignasco Agostino Sicardi, controllore generale delle finanze del ducato, le lettere di nobiltà per sé, per i figli, per i fratelli e per i nipoti, come segno di riconoscenza per il mandato svolto; tra i beneficiari della concessione ducale si ricordano Giovanni Battista, che originò il ramo dei Sicardi di Spagna, dal quale si ebbero tra gli altri Giuseppe, teologo della Nunziatura e arcivescovo di Porto Torres nel 1702 e Giovanni Battista, arcivescovo di Buenos Aires, mentre un altro illustre pignasco, Carlo Casanova, che fu arcivescovo di Sassari nel 1751, fece rifare, a sue spese, il tetto della chiesa parrocchiale di San Michele. Nel 1747 si verificò invece l’episodio della sottrazione delle campane dalla vicina chiesa di Castelfranco (oggi Castelvittorio) da parte di alcuni giovani pignesi quale risposta all’onta subita in occasione del passaggio di truppe alleate dei Genovesi, le quali, seguendo un’antica consuetudine, avevano sgretolato sulla pubblica piazza le campane prelevate dal campanile di San Michele. Il 4 giugno 1753 si segnala la nascita a Pigna del celebre archeologo, critico, filologo e letterato Carlo Fea, che, dopo essersi laureato in giurisprudenza e teologia a Roma ed essere stato imprigionato ed esiliato a Firenze durante l’età napoleonica, ritornò a Roma, dove assunse la carica di sovrintendente agli scavi e alle antichità e prefetto della biblioteca dei principi Chigi, pubblicando più di 120 scritti e applicando per primo il metodo scientifico nelle ricerche archeologiche.
Il 6 aprile 1794 le truppe rivoluzionarie francesi al comando del generale Massena avevano occupato Pigna, tentando subito dopo, ma senza successo, di sfondare le linee piemontesi del Grai, di Marta e Collardente, frenati da un’abbondante nevicata tanto che l’occupazione di Briga, punto strategico di fondamentale importanza per prendere alle spalle la munitissima fortezza di Saorgio, dovette essere rimandata di un mese. Dopo la nascita della Repubblica Ligure nel 1797, anche a Pigna cadde il regime oligarchico entrando a far parte dal 1798 della Giurisdizione delle Palme con capoluogo Sanremo. Durante i primi anni della dominazione francese si sa che la chiesa di San Michele rimase per qualche tempo senza sacerdote titolare, le funzioni religiose furono sospese e persino i registri anagrafici riportarono i nomi dei nati e dei deceduti fino al 1802. Nel 1805 Pigna fu quindi annessa all’Impero francese insieme al resto della Liguria sotto l’amministrazione del Dipartimento delle Alpi Marittime con Nizza come capoluogo. Nel corso dell’epoca napoleonica la popolazione pignese dovette subire in particolare le angherie e malefatte perpetrate dal famoso brigante Giovanni Battista Ghio, detto il Batitun, nemico giurato dei francesi e dei filofrancesi di Pigna, il quale, in origine forse un barbetto e poi trasformatosi in un volgare predone, seminò il panico con la sua banda nelle campagne circostanti l’abitato fino a quando non venne decapitato dai suoi stessi compagni ad Argeleo e la sua testa portata a furor di popolo nella piazza Vecchia, dove restò esposta alla colonna di mezzo, fissata all’anello della gogna. Caduto il regime napoleonico, Pigna ritornò ai Savoia nel 1815 nell’ambito della Divisione di Nizza. Una ventina di anni dopo, nel 1835, si verificò invece una terribile epidemia di colera, che, scoppiata a Tolone, si propagò anche nell’estremo Ponente ligure mietendo numerose vittime. Nello stesso anno della diffusione del colera iniziò la costruzione della rotabile della Val Nervia, che sarebbe arrivata prima a Dolceacqua per proseguire in seguito per Isolabona e poi per Pigna. Verso il 1840 il sindaco Giovanni Giauna contribuì in modo determinante a risollevare la pesante situazione finanziaria del Comune estinguendo un forte debito col conte Berra di Nizza, rappresentato dalla pesante ipoteca che ancora gravava sui fondi, sui frantoi e sui mulini pignesi dal lontano 1636. Nel 1860, in seguito alla cessione della Divisione di Nizza alla Francia, Pigna entrò a far parte della neocostituita provincia di Porto Maurizio. Undici anni dopo giungeva in paese don Giacinto Bianchi, detto “il Missionario”, che fondò un ordine monastico ancora esistente e governò praticamente da solo la chiesa del paese senza esserne stato parroco, fatto che gli valse un sentimento vivamente ostile da parte della popolazione tanto che il sacerdote dovette alla fine lasciare Pigna sotto la scorta dei carabinieri. Nel 1884 veniva frattanto aperto al traffico l’attuale corso Isnardi, si erigevano nuove abitazioni e il borgo si estendeva gradualmente al di fuori del suo nucleo medievale. In quegli anni si segnala poi l’attività del generale cuneese Giuseppe De Sonnaz, che iniziò intorno agli anni Settanta dell’Ottocento la rotabile Pigna-Triora-Rezzo con diramazione dalla Colla Langan per Cima Marta e Sanson.
Il 23 febbraio 1887, poco dopo le sei del mattino, la popolazione avvertì la prima forte scossa del terremoto che seminò lutti e rovine a Pigna e in numerosi altri centri della Riviera di Ponente. Subito dopo la prima scossa i Pignesi si recarono allora tutti insieme in processione al Santuario di Passoscio per chiedere grazia alla Madonna. Quando, poco prima delle nove, si verificò la terza scossa, particolarmente violenta, la processione si trovava presso la chiesa di Sant’Antonio e tutta la popolazione riuscì così a salvarsi la vita grazie al suo tempestivo allontanamento dal paese, dove si verificarono numerosi crolli di edifici perlopiù fatiscenti senza provocare vittime, anche se, dopo il sisma, il governo stanziò la somma di 6623 lire per la riparazione degli immobili del borgo maggiormente lesionati dal terremoto. Nel corso della successiva guerra del 1915-18 Pigna pagò la sua partecipazione al conflitto mondiale con 46 caduti, i cui nomi furono poi ricordati sul Monumento ai caduti, inaugurato nel 1922, quando venne anche iniziata la strada per Buggio, terminata cinque anni dopo. Negli anni Venti, dietro interessamento del medico pignese Ludovico Isnardi, venne costruito l’acquedotto della sorgente della Roccaglia ed eretto l’attuale palazzo scolastico, allora sede del Comune sul terreno del professor Isnardi, al quale, per riconoscenza, il Comune di Pigna avrebbe intitolato il corso che ancora porta il suo nome. Nel 1933 venne poi appaltata la caserma Manfredi, per la cui realizzazione il Comune, su precise direttive del governo centrale, dovette sborsare l’ingente somma di 50.000 lire, mentre la ditta appaltatrice, trovata una comoda cava di pietra a poca distanza, non aveva esitato a demolire i muri perimetrali della basilica romanica di San Tommaso per costruirvi l’edificio militare. Due anni dopo iniziò la guerra per la conquista dell’Etiopia, alla quale presero parte anche alcuni militari pignesi, tra i quali non si ebbe però nessun caduto ma soltanto due mutilati. Nella seconda metà degli anni Trenta erano intanto proseguiti in modo sempre più alacre, allo scopo di difendersi da possibili attacchi della Francia, i lavori di erezione delle fortificazioni di Monte Lega e di Cima Marta con numerose casematte ancora oggi visibili sulle montagne circostanti l’abitato. Prima degli anni Trenta era iniziata inoltre la costruzione della strada militare Pigna-Gouta-Margheria-Camporosso, dotata di molte diramazioni, mentre si procedeva anche all’allargamento dell’arteria Langan-Melosa-Grai-Marta. Allo scoppio della guerra con la Francia nel giugno 1940, la popolazione di Pigna venne fatta sfollare in alcune località del Basso Piemonte quali Gavi, Novi Ligure e Parodi Ligure, ma pochi giorni dopo l’inizio del breve conflitto gli abitanti del paese poterono far ritorno a casa per il sopravvenuto armistizio con le autorità transalpine.
Dopo l’8 settembre 1943 la zona di Pigna divenne teatro di un’intensa e sanguinosa guerra tra forze partigiane e reparti nazifascisti, che effettuarono vari rastrellamenti, tra cui quello del 25 settembre ’44 e ingaggiarono una furiosa e violenta battaglia l’8 ottobre successivo, nel corso della quale gli abitanti terrorizzati cercarono rifugio nelle cantine o fuggirono tra i boschi mentre ovunque cadevano resistenti e occupanti. Il 29 agosto precedente era intanto sorta su iniziativa di componenti di alcuni distaccamenti garibaldini e delle autorità locali la «Libera Repubblica di Pigna», retta da alcuni liberi amministratori con cariche pubbliche assegnate ai più degni rappresentanti del popolo, l’assunzione di deliberazioni democratiche e l’amministrazione di un’equa giustizia sociale. Venne costituita anche una Giunta comunale formata da civili e partigiani, che ogni giorno si riuniva per assumere le decisioni relative ai problemi più urgenti del momento quali l’ordine pubblico, il controspionaggio e la requisizione di viveri o altro materiale illecitamente prelevato dai magazzini del disciolto esercito italiano per essere poi distribuito alle famiglie più indigenti del paese. La breve esperienza autonomista della «Repubblica» pignese sarebbe tuttavia durata fino all’8 ottobre del ’44, quando le truppe tedesche, dopo la succitata battaglia contro le formazioni garibaldine, ripresero il controllo del borgo ponendo così fine a questa singolare e coraggiosa iniziativa, che conobbe tra l’altro varie istituzioni omologhe nell’Italia occupata dai nazisti. Nel dicembre 1944 il centro abitato subì inoltre le offese di numerosi bombardamenti aerei da parte delle forze alleate, che distrussero, oltre a parecchie abitazioni, la piazza Vecchia, detta “la loggia”, adiacente la parrocchiale, poi ricostruita nel dopoguerra secondo le linee architettoniche originarie, e parte dell’archivio storico del Comune. Dopo quasi venti mesi di durissimi scontri vissuti dalla popolazione civile sotto l’incubo incessante di rastrellamenti e bombardamenti, si giunse finalmente alle giornate della Liberazione, che furono però funestate dalla notizia, giunta in paese proprio il 25 aprile del ’45 da Latte di Ventimiglia, che dodici partigiani di Pigna erano stati trovati uccisi nel torrente che da Sealza scende al mare.
Nel secondo dopoguerra le tradizionali attività agricole e pastorali hanno subito un drastico ridimensionamento dovuto anche al fenomeno dello spopolamento, mentre negli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto è iniziato un massiccio esodo, prevalentemente in forma stagionale, anche verso l’estero, e in particolare, data la loro vicinanza verso il Principato di Monaco e la Francia, oltre all’Inghilterra, dove la maggioranza dei Pignesi si impiegarono soprattutto nel settore alberghiero, che in quel periodo costituì la principale fonte di lavoro per coloro che lasciavano il paese. Ancora oggi numerosi giovani pignesi continuano ad emigrare o a dedicarsi ad attività alternative all’agricoltura, tanto che sono ormai pochissimi quelli che vivono esclusivamente dell’attività agricola con la grande maggioranza dei terreni che restano incolti o vengono coltivati nelle colture tradizionali, limitatamente però per soddisfare i fabbisogni familiari. Sono di conseguenza praticamente scomparse le attività artigianali connesse all’agricoltura. È comunque da rilevare il fatto che negli ultimi anni si sono sviluppate, con buone prospettive economiche per il futuro, floricolture di verde di tipo ornamentale coltivate anche in serra, qualche vivaio di piante floreali nonché alcuni frutteti. Sono tuttora efficienti pure alcune attività artigianali, in particolare nel campo della falegnameria e dell’abbigliamento. Nei mesi da maggio a ottobre è funzionante inoltre uno stabilimento termale con annessa piscina di acqua solforosa, inaugurato nel 1954 in regione Lago Pigo, mentre negli anni Novanta l’amministrazione comunale di Pigna ha approvato un ambizioso piano di attuazione di un nuovo e moderno centro termale caratterizzato da una struttura articolata in un complesso organico di volumi per complessivi 15.000 metri cubi fornito di tutte le dotazioni con spazi e infrastrutture adeguate per rispondere a un’utenza di 7000 curandi per anno, distribuita tra cure respiratorie, artroreumatiche e balneo-elioterapiche. Per quanto concerne il settore turistico, Pigna non è stata ancora toccata dal fenomeno del turismo di massa, mentre sono numerose le persone che vi hanno acquistato una vecchia abitazione nel centro storico, hanno provveduto a ristrutturarla e vi si recano per trascorrervi il fine settimana o le vacanze annuali. Il comparto agricolo può essere invece rilanciato dalla floricoltura, dai vivai e dai frutteti, da un più razionale sfruttamento dell’olivicoltura, dando nuovo slancio all’industria olearia, nonché dall’allevamento del bestiame e dalla ulteriore valorizzazione dei pregiati vini locali come il Rossese e l’Ormeasco.
Anche il settore dell’agriturismo è in forte espansione e può essere ancora sviluppato con una serie di opportuni interventi legati alla promozione del territorio pignese. Per un proficuo sviluppo futuro dell’economia locale saranno quindi determinanti un’adeguata programmazione e una razionale fruizione del territorio, che si pongono l’obiettivo primario di favorire la crescita del settore turistico, il quale, grazie alle opportunità offerte dalla prevista istituzione del Parco delle Alpi Liguri, potrà trarre notevoli benefici dalla capacità di apprezzare un ambiente naturale ancora incontaminato e suggestivo unitamente all’apporto di una presenza umana qualificata ed integra. Tra i prodotti tipici locali si segnalano in particolare il brusso, un particolare e ricercato formaggio dal gusto particolarmente piccante tipico dei paesi montani della provincia, e la zuppa di Gran Pestau, ottenuta dalla fusione di una minestra di frumento in uso tra i contadini medievali e il pasto di grano battuto preparato anticamente in occasione della Pasqua cristiana. Recentemente la comunità di Pigna ha inoltre valorizzato in modo speciale il suo patrimonio culturale con la promozione di un teatro dialettale, nel recupero di forni e mulini e nel museo-laboratorio della cultura agropastorale, mentre non è stato trascurato nemmeno lo straordinario patrimonio ambientale presente sui monti Pietravecchia e Toraggio con l’apertura a scopo turistico di percorsi attrezzati, tra i quali il Sentiero degli alpini.