Elezioni politiche, Quesada (Pd): «Chi vota il centrodestra vota per una serie di promesse irrealizzabili»

9 settembre 2022 | 07:30
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«Il nostro è un programma sicuramente più contenuto, ma molto più ambizioso e di tutte cose realizzabili, ad esempio il salario minimo»

Sanremo. «Ci giochiamo tutta la campagna elettorale in queste ultime due settimane. I sondaggi negli ultimi anni hanno dimostrato che sono le ultime due settimane quelle dove sostanzialmente l’elettore decide di concentrarsi, quindi tutto ciò che fino ad oggi è stato sondato ha una valenza parziale». Ne è convinto il segretario provinciale del Partito Democratico, Christian Quesada, che ospite degli studi di Riviera24.it ha analizzato la situazione in vista delle politiche del prossimo 25 settembre, affrontando alcuni dei temi, quali il lavoro e il salario minimo garantito, cari ai dem.

«Abbiamo improntato tutta la campagna elettorale, secondo me in maniera giusta anche dal punto di vista nazionale, nel dire che il 25 settembre ci saranno esclusivamente due scelte da fare – spiega Quesada – Una è quella di un centrodestra a guida Meloni, quindi non il centrodestra naturale che si è sempre conosciuto negli anni, ma molto più spostato a destra, senza centro. E dall’altra parte un centrosinistra guidato quasi esclusivamente dal Pd e da alcuni alleati. Per come è composta la legge elettorale, è chiaro che tutto il resto sostanzialmente è residuale, quindi il M5s o quello che viene chiamato il Terzo Polo, ed è residuale perché questa è una legge elettorale, che appare proporzionale, in realtà è una legge elettorale dove la componente maggioritaria riesce a dare la maggioranza al futuro governo».

L’ipotesi di una maggioranza bulgara con il centrodestra al comando vi spaventa? «Ci sono circa 40 collegi in Italia che sono, secondo i sondaggi, più o meno contendibili – replica il segretario del Pd -. Quindi ci spaventa nella misura in cui accadrà, ma lavoriamo perché tutto ciò ovviamente non accada».

Nel caso il centrodestra vincesse? «Se il centrodestra dovesse arrivare al governo del Paese, il centrodestra che abbiamo visto in questa campagna elettorale, abbiamo visto che l’impostazione che hanno è chiara e netta: ossia su una serie di promesse che ufficialmente non sono realizzabili, ma non tanto perché a dirlo è la controparte politica, ma perché a dirlo è sostanzialmente la razionalità», dice Quesada e spiega: «La flat tax al 15 percento, ad esempio, come la propone la Lega, è sostanzialmente inattuabile per una questione di mancanza di risorse da parte dello Stato. Secondo i conti che sono stati fatti anche dalla Tesoreria dello Stato, la flat tax costa circa 70 miliardi: ogni anno viene fatta una manovra del 50 percento di questa cifra, quindi soltanto la flat tax costa il doppio di quella che è la possibilità di indebitamento del paese». E ancora: «E’ del tutto evidente che quando il centrodestra governava questo paese, e ha concluso quella esperienza di governo, è arrivato un governo tecnico, quello di Monti, che ha dovuto fare una serie di scelte tra cui la legge Fornero, che sicuramente in alcune parti va rivista: questo è un obiettivo che si è posto anche il Partito Democratico nel caso in cui dovesse raccogliere la sfida del governo. Ma è del tutto evidente che dire di cancellare la Fornero è una cosa impossibile, perché non ci sono le risorse per poterlo fare,  e perché è cambiato anche tutto il sistema dal punto di vista previdenziale. In questo momento di campagna elettorale sono tutte cose che fanno presa, ma il 25 settembre gli elettori devono sapere che chi vota il centrodestra vota per una serie di promesse che non verranno realizzate».

Sul programma del Pd: «Il nostro è un programma sicuramente più contenuto, ma molto più ambizioso e di tutte cose realizzabili, ad esempio il salario minimo che ormai c’è in tutta Europa, manca soltanto in Italia, ma non si può andare avanti con contratti dove ci sono persone che lavorano per 2,3 o 4 euro. E’ chiaro che dobbiamo mettere una soglia minima». Questo è un tema che verrà trattato nel tardo pomeriggio di oggi, al Palabigauda di Camporosso, dove è in programma un confronto tra le associazioni di categoria e il ministro del lavoro Andrea Orlando.

Nessuno dei candidati a Camera e Senato del Pd, in Liguria, sono imperiesi. Scelta strategia o mancanza di persone? «Non c’è stata mancanza di candidati, ne avevamo anche di autorevoli da poter presentare – risponde il segretario imperiese del Pd -. Credo che vada detto con chiarezza che una mancanza di rappresentanza sul territorio non agevola quella che è la campagna elettorale. Ma la scelta che è stata fatta, in generale, è stata quella di dare più rappresentatività al capoluogo di regione, tanto è vero che 4 candidati su 7 provengono dall’area genovese. La cosa che sicuramente non ha aiutato è stata la compilazione delle liste in pochi giorni: la caduta del governo e una campagna elettorale in pieno agosto non ha aiutato. Abbiamo cercato di dare un elemento di serietà a questo aspetto, perché abbiamo puntato parecchio sulle competenze: i nostri due capilista, essendo che i collegi sono regionali sia alla Camera che al Senato, sono due persone che hanno il background per poter rappresentare tutta la Liguria sua una serie di temi perché hanno un percorso e hanno un respiro molto diverso rispetto ad altri candidati, hanno già ricoperto ruoli molto importanti. Il nostro capolista al Senato, Lorenzo Basso, è un ex consigliere regionale e un ex parlamentare, e il nostro capolista alla Camera è il ministro Andrea Orlando. La scelta, quindi, è stata quella di avere la certezza che a rappresentare il partito democratico della Liguria fossero delle persone che hanno un respiro regionale e che possano rappresentare tutta la Liguria da Sarzana a Ventimiglia. Coloro che dicono di rappresentare il loro territorio di provenienza raccontano una non verità, perché se un candidato è di provenienza di Imperia, ma rappresenta un collegio regionale è del tutto evidente che rappresenta questo collegio».