La storia del paese di Corte in Valle Argentina, il racconto dello storico Andrea Gandolfo

Attuale frazione del Comune di Molini di Triora, ma fino al 1903 dipendente dal Comune di Triora insieme al suo capoluogo
Imperia. Nuovo appuntamento con il tradizionale appuntamento di storia locale dello storico Andrea Gandolfo. Questa settimana è la volta del ridente paese di Corte, in valle Argentina, attuale frazione del Comune di Molini di Triora, ma fino al 1903 dipendente dal Comune di Triora insieme al suo capoluogo.
«Paese della valle Argentina, caratterizzato dal tipico aspetto di borgo serrato e compatto, Corte sorge su un promontorio che si erge tra due avvallamenti, di cui quello di levante è particolarmente angusto e chiuso tra due versanti ripidissimi, mentre quello di ponente è solcato dal torrente Capriolo, che confluisce al ruscello che prende il nome dal paese ai piedi dell’abitato. Il toponimo è forse ricollegabile all’omonimo sostantivo che indica genericamente uno spazio coperto circondato da edifici, e che deriva dal termine latino medievale curtis, attestato a partire dal XIII secolo, quando il lemma indicava un’organizzazione dell’età feudale formata dall’insieme delle costruzioni e del territorio sottoposti alla giurisdizione di un signore feudale, ai tempi caratterizzati appunto dall’«economia curtense»; tale denominazione potrebbe quindi derivare dal fatto che il territorio cortese era una particolare frazione del dominio di un feudatario locale, in questo caso il ramo Lascaris dei conti di Ventimiglia, anche se non si può del tutto escludere neanche una derivazione del toponimo dal latino classico cohorte(m), che, oltre al significato di “schiera di soldati”, aveva acquisito anche quello di “fattoria”, tanto da far ipotizzare che Corte potrebbe essere sorta attorno a un primitivo insediamento costituito appunto da una fattoria.
Secondo dati storicamente più sicuri risulta tuttavia che il territorio cortese sia stato frequentato da piccole comunità di pastori e cacciatori fin dall’età protostorica, come testimoniato dal rinvenimento dei resti di un antichissimo insediamento pastorale costituito da ripari sotto la roccia con muretti a secco in località Ciotta di San Lorenzo tra il Passo di Teglia e quello della Mezzaluna, mentre la presenza di un menhir sul valico detto «delle Porte» e alcuni muri a secco in località Drego attestano con certezza l’esistenza nella zona di un insediamento preromano, abitato forse già da mille anni prima di Cristo, da una tribù di Liguri locali, i Ligures Curtini, che avrebbero vissuto nell’omonimo villaggio, denominato in latino Pagus Curtinorum, fino all’epoca tardoimperiale. Dopo la caduta dell’Impero romano, il piccolo borgo dovette subire le incursioni dei Longobardi di re Rotari, che nel 643 devastò e saccheggiò numerosi paesi della Riviera di Ponente, e quindi dei Saraceni che, tra il IX e il X secolo, assaltarono ripetutamente i villaggi della Liguria occidentale.
Dopo il Mille Corte e gli altri paesi della Valle Argentina furono assoggettati al dominio dei conti di Ventimiglia, e in particolare del ramo dei signori di Badalucco, i quali, dopo la morte del conte Oberto avvenuta verso il 1250, furono costretti per via del loro forte indebitamento a vendere le loro proprietà a ricchi cittadini genovesi, che tra il 1259 e il 1260 acquistarono i diritti su Corte e gli altri paesi limitrofi per cederli l’anno successivo alla Repubblica di Genova, che assunse così il controllo dell’alta Valle Argentina, la quale fu subito eretta in Podesteria con capoluogo Triora, da cui sarebbe dipesa anche Corte fino alla caduta del regime oligarchico, tranne che nel periodo dal 1654 al 1797, quando, al pari di Molini e Andagna, ottenne dal governo genovese il privilegio di godere di una relativa autonomia amministrativa e di insediare un proprio Parlamento.
Nel corso della prima guerra tra la Repubblica di Genova e il Ducato di Savoia, il paese venne saccheggiato e incendiato tra il 20 e il 21 agosto 1625 dalle truppe franco-piemontesi, che devastarono anche Molini e Andagna, ma alla fine furono sconfitte da un contingente di soldati genovesi venuti in soccorso della popolazione locale, la quale, per voto fatto, restaurò la chiesa di San Pietro a Triora, cambiandone la facciata e dedicandola a San Bernardo perché proprio nel giorno della ricorrenza di quest’ultimo era stata salvata dall’assalto dei soldati nemici. Circa trent’anni dopo, come già accennato sopra, la comunità di Corte, insieme a quelle di Molini e Andagna, ottenne dal governo genovese, tramite atto rogato dal commissario Giacomo Negrone il 2 maggio 1654, la tanto sospirata autonomia amministrativa da Triora con la divisione di ogni debito e credito dal capoluogo in modo tale che ad ogni comunità fosse assegnata la rata di debito conforme a quanto si esigeva dai debitori così come ogni credito o entrata tanto di gabelle quanto di qualsiasi altro contributo finanziario sarebbe spettato in proporzione agli abitanti delle tre ville già dipendenti da Triora; veniva inoltre riconosciuto a Corte e alle altre due comunità il diritto alla vendita all’asta delle bandite, gabelle, forni, boschi e ogni altro introito, che si sarebbe potuta effettuare in tempi debiti a Triora alla presenza del magnifico podestà triorese e dei rappresentanti delle tre ville.
Le comunità di Corte, Andagna e Molini furono anche autorizzate dal governo della Serenissima ad eleggere un proprio Parlamento, formato da un anziano coadiuvato da otto consiglieri, con il mandato di provvedere a tutto ciò che riguardasse gli interessi comuni della popolazione senza che il Parlamento di Triora si potesse intromettere negli affari interni della comunità; il Parlamento avrebbe avuto anche l’incarico di eleggere un anziano e due magistrati del comune (i mestrali) per villa, che si sarebbero occupati del buon andamento dell’amministrazione giudiziaria, affiancati da un notaio e da un estimatore con il compito esclusivo di valutare le terre di proprietà comunale con il divieto per gli estimatori trioresi di intromettersi nella loro attività.
Le tre ville erano anche obbligate a contribuire alle spese annue per la casa, il predicatore, le palme e per il mantenimento dell’orologio pubblico, quantificate rispettivamente in sedici lire, quindici scudi, quindici lire e sedici lire della moneta genovese, mentre il predicatore era tenuto a recarsi obbligatoriamente in occasione della quadragesima nella chiesa di San Vincenzo a Corte per tenervi una funzione sacra, il cui costo, insieme a tutte le altre spese ordinarie e straordinarie, sarebbe stato amministrato da un apposito funzionario, il cassiere, che avrebbe ordinato il pagamento delle somme dovute sotto la pena della sanzione pecuniaria di cinquanta lire in caso di mancato o ritardato versamento.
Per quanto concerneva le cause civili intentate da Trioresi contro gli abitanti delle tre ville si stabilì che sarebbero dovuti intervenire gli anziani delle comunità, tre per ogni villa, coadiuvati dal podestà di Triora, che avrebbero potuto emettere condanne o assoluzioni con quattro voti favorevoli su sette, mentre gli imputati delle tre ville, così come i forestieri, sarebbero stati giudicati da magistrati locali a loro beneplacito, unitamente però al podestà triorese e ad un cancelliere; il Parlamento delle ville venne infine incaricato di eleggere ogni anno due ragionieri per comunità con il mandato di rivedere i conti degli anziani e dei cassieri in conformità del magistrato della comunità, senza che i ragionieri di Triora o quelli delle ville potessero intromettersi negli affari interni degli altri paesi per venire a conoscenza dello stato patrimoniale di ciascuna comunità.
Durante la successiva guerra di successione austriaca, scoppiata nel 1744, anche la zona di Corte fu interessata dalle operazioni militari tra le truppe franco-spagnole e quelle austro-piemontesi con pesanti conseguenze sulla popolazione civile tanto che dodici mulattieri di Andagna e Corte vennero fermati a Pieve di Teco da alcuni soldati savoiardi, i quali sequestrarono loro il carico obbligandoli a trasportare materiale vario di casermaggio. Anche dopo la penetrazione nell’estremo Ponente delle truppe francesi guidate dal generale Massena nella primavera del 1794, il territorio cortese divenne teatro di aspri scontri tra gli eserciti contrapposti, che transitarono pure in paese e nelle sue immediate vicinanze compiendo saccheggi e ruberie di ogni sorta ai danni della popolazione completamente inerme e indifesa.
Dopo la proclamazione della Repubblica Ligure nel 1797, Corte entrò a far parte, insieme a Triora, Andagna, Molini, Glori e Montalto, del quarto cantone della Giurisdizione delle Palme, con capoluogo Sanremo, mentre nell’aprile dell’anno successivo, nell’ambito della generale riorganizzazione amministrativa del Ponente ligure attuata dal governo democratico, Corte e tutti gli altri paesi dell’alta Valle Argentina passarono sotto il controllo della Giurisdizione degli Ulivi con Triora come capocantone. La sottomissione amministrativa di Corte a Triora, confermata anche dopo l’annessione della Liguria all’Impero francese nel 1805, non mancò tuttavia di suscitare proteste e dissensi da parte della popolazione cortese, che si rivolse anche al prefetto di Nizza, il quale, con lettera del 16 maggio 1806 indirizzata al sottoprefetto di Sanremo, manifestò al funzionario governativo matuziano lo stato di profonda amarezza e insoddisfazione degli abitanti di Corte, Andagna e Molini per la loro unione a Triora, avvenuta in modo del tutto inatteso all’epoca della proclamazione della Repubblica Ligure senza che nessun atto legislativo ufficiale ne avesse decretato la legittimità costituzionale. Caduto il regime napoleonico, Corte, insieme al resto della Liguria, passò nel 1815 al Regno di Sardegna, che pose il borgo sotto l’amministrazione della Divisione di Nizza.
Nel 1856 i paesi dell’alta Valle Argentina subirono il flagello della peste asiatica, portata dalla Crimea, che mietè centinaia vittime a Triora, Molini e specialmente ad Andagna, mentre a Corte, dove fu posta una guardia a tutte le entrate del borgo, nessuno degli abitanti del paese fu colpito dal morbo, fatto che i fedeli del luogo attribuirono all’intercessione della Madonna, alla quale la popolazione rivolse in effetti pubbliche preghiere affinché allontanasse dal paese la terribile pestilenza. Dopo la cessione del Nizzardo alla Francia nel marzo del 1860, Corte entrò quindi a far parte della nuova provincia di Porto Maurizio. Dieci anni dopo fu invece costruita un’importante e auspicata opera pubblica per la comunità locale, il palazzo delle scuole, costituito da un fabbricato a due piani diviso in due appartamenti: uno per la scuola maschile e l’altro per la femminile con le rispettive abitazioni per i due insegnanti, mentre negli stessi anni si progettò anche l’erezione di un Asilo infantile e il riattamento della strada carrozzabile che unisce il borgo a Triora su interessamento del benefattore locale Giovanni Donzella.
Il 23 febbraio 1887 il paese venne duramente colpito dal violentissimo terremoto del Ponente ligure, che ridusse un terzo delle case ad un mucchio di macerie causando anche due vittime. Al momento della prima scossa, alle 6,21 antimeridiane, gli abitanti del borgo si trovavano in parte nella chiesa parrocchiale per ricevere le Ceneri e parte si apprestavano a recarvicisi, quando, mentre molte persone si trovavano a mezza via, avvenne la seconda fortissima scossa verso le 6,30 circa del mattino; allora un signore, ispirato a suo dire dalla Madonna, gridò alla gente di ritirarsi da una parte proprio nell’istante in cui una casa, rimasta ancora miracolosamente in piedi, crollò in modo rovinoso sulla strada in tutta la sua larghezza provocando un tale panico tra i Cortesi che per una quindicina di giorni pare che molti abitanti del paese avessero girogavato per le vie del borgo senza sapere dove andare, mentre una donna rimase muta riacquistando la favella soltanto tre giorni dopo il sisma.
Dopo oltre un secolo di vibrate proteste e svariate istanze per conseguire l’indipendenza amministrativa da Triora, Corte e gli altri paesi limitrofi ottennero finalmente l’autonomia dall’antico capoluogo dell’alta Valle Argentina con la legge n. 505 del 27 dicembre 1903, che aggregò Corte e i paesi vicini al Comune di Molini di Triora in qualità di frazioni della nuova entità amministrativa. Intanto si risolveva anche l’annoso e cronico problema della carenza idrica del paese, il quale, a differenza dei centri vicini, soffriva della mancanza di un adeguato rifornimento di acqua tanto che nel 1905, dopoché si era seccata l’unica piccola fontana ubicata nei pressi dell’abitato, la popolazione cortese, anche senza il concorso del Comune e del Governo, decise di agire autonomamente e, usufruendo della somma di 12.000 lire a credito dell’Oratorio di San Tommaso, realizzò la conduttura dell’acqua proveniente da Rovegno e ufficialmente inaugurata il 28 settembre 1905 grazie all’interessamento dei consiglieri Antonio Giusta, Giovanni Donzella, Giovanni Battista Lanteri, Antonio Alberti, Domenico Donzella e soprattutto del reggente della parrocchia don Francesco Donzella, che permisero la costruzione di otto fontane a getto continuo.
Nel corso della prima guerra mondiale Corte ebbe undici caduti sul fronte italiano, poi ricordati su una lapide affissa sulla parete della chiesa parrocchiale. Durante gli anni del secondo conflitto mondiale perirono alcuni Cortesi sui vari fronti di guerra, e in particolare il territorio cortese divenne zona operativa di aspri scontri tra partigiani e nazifascisti. Nel giugno del 1944 Corte divenne sede di un distaccamento partigiano facente parte della «Libera Repubblica di Triora», un’entità amministrativa straordinaria istituita in quei drammatici frangenti dalla Giunta Popolare del capoluogo dell’Alta Valle Argentina e formata da Antonio Asplanato in qualità di sindaco, e da Lorenzo Giordano, Giacomo Moraldo, Lorenzo Novella e Domenico Velli.
L’episodio più triste e doloroso per il paese durante l’intero periodo di occupazione tedesca fu tuttavia quello accaduto a Molini il 4 luglio del ’44, quando i Tedeschi bruciarono vive in un vecchio casolare adibito a stalla, la casa detta Campoverde situata in via San Bernardo (oggi via Nuova), tredici innocenti abitanti della valle, tra cui i due Cortesi Angelo Donzella e Domenico Pastorelli. Dopo la Liberazione il paese conobbe una generale ripresa delle tradizionali attività legate alla produzione di vino, grano, orzo, patate, castagne, legumi e cereali, mentre si è drasticamente ridotto l’allevamento del bestiame, un tempo assai fiorente anche per la presenza di numerosi pascoli nella zona. Negli anni più recenti ha subito un notevole incremento il settore turistico, che potrà contare per il suo ulteriore sviluppo su una sempre maggiore valorizzazione del borgo antico e delle sue secolari tradizioni.