Dolceacqua, antico dominio dei Doria: il racconto dello storico sanremese Andrea Gandolfo

Paese della val Nervia, celebre per il famoso castello della famiglia di origini genovesi che l’ha dominato per secoli
Sanremo. Il tradizionale appuntamento con la storia locale a cura dello storico Andrea Gandolfo questa settimana è dedicato alla ricostruzione della storia del paese di Dolceacqua, in val Nervia, antico dominio dei Doria, e celebre per il famoso castello della famiglia di origini genovesi che l’ha dominato per secoli:
“Dolceacqua è il principale borgo medievale della val Nervia ed è diviso a metà dal corso del torrente che attraversa la vallata articolandosi in due distinti quartieri: quello denominato «Terra», di origini più antiche (XI-XII secolo), sviluppato in stretti gironi di case e vicoli dislocati ai piedi della rocca e del castello dei Doria, e quello detto «Borgo», sul versante opposto, dove accanto al nucleo medievale è sorto il paese moderno, sviluppato lungo il tracciato della strada provinciale per Pigna. I due quartieri sono collegati dal caratteristico ponte medievale, sovrastato dai ruderi del massiccio castello, il quale, con il suo aspetto suggestivo e pittoresco, costituisce uno dei simboli degli abitati medievali dell’estremo Ponente ligure. Il borgo venne fondato quasi allo sbocco della Val Nervia, là dove un restringimento dominato da uno sperone roccioso a picco sul torrente per una sessantina di metri, era diventato punto obbligato di passaggio e di controllo della valle e delle diramazioni verso le colline terrazzate e coltivate a vigna e ad uliveto e verso i più alti pascoli montani circostanti l’abitato.
Il territorio che circonda il paese è formato dai due versanti della valle, che in corrispondenza del borgo sono tanto distanti tra loro da consentire l’utilizzo agricolo del suolo, mentre il versante orografico destro forma una dorsale collinare continua quasi rettilinea, elevata di circa cinquecento metri sopra il livello del mare, che la divide dalla più occidentale Val Roia. Lungo questo crinale, che raggiunge le cime dei monti Abellio (1016 metri) e Abelliotto (901 metri), si distendono vaste aree boschive e forestali utilizzate come sosta pastorale in occasione della transumanza. Anche sul versante orografico sinistro la morfologia del territorio è simile a quella del versante opposto con la relativa dorsale culminante nel Monte Rebuffao (592 metri), che divide la Val Nervia dalla Valle del Crosia, chiusa in alto dal borgo di Perinaldo, mentre l’ambiente è segnato dai caratteristici terrazzamenti del terreno sostenuti con muri a secco, le tipiche «fasce», che si alternano nei punti più elevati con lembi di boschi a pineta e zone di vegetazione a macchia mediterranea che racchiudono a nord il territorio di Dolceacqua.
Il torrente Nervia è stato arginato nei pressi del ponte moderno in modo tale da creare, nell’ansa formata dopo il passaggio dello sperone nel castello, un piccolo bacino sempre colmo d’acqua, mentre altri modesti torrentelli, tra cui il rio Barbaira proveniente dalla valle laterale di Rocchetta, confluiscono nel Nervia, alle cui spalle si erge il massiccio Monte Morgi (817 metri), dalla forma arrotondata, che domina e protegge il fondovalle su cui sorge Dolceacqua assicurando alle coltivazioni del comprensorio una costante e benefica esposizione a mezzogiorno. Sull’etimologia del toponimo si rileva come, sulla base della dizione locale dusàiga, si risalga ad un nome di località della tarda romanità in -àtico, che è stato poi concordato al femminile con villa e derivato dal gentilizio Dùlcius, mentre – secondo una tradizione leggendaria – il toponimo nasconderebbe un’origine celto-ligure tanto da essere denominato Dus-Aga, ossia «Dio degli Incantesimi», poi tramutatosi in Dulsaga e quindi Dulcisaqua, derivato dalla trasformazione dei due componenti del nome Dulcis da Dus e Aqua da Aga.
Secondo dati storicamente più certi e attendibili, il toponimo è tuttavia attestato, in documenti del XII e XIII secolo, nella forma Dulciaga o Douzaga, il che potrebbe rendere plausibile la derivazione da un prediale col suffisso gallo-latino -aco, una formazione peraltro quasi totalmente ignota nella toponomastica ligure, mentre la forma Dulcisaqua, che ricorre come denominazione ufficiale nei secoli XII-XIV, rappresenta un’antica paraetimologia (“dolce acqua”) suggerita dalla forma orale del toponimo, di cui viene così confermata l’origine particolarmente antica.
Il territorio della Val Nervia è stato probabilmente frequentato da comunità umane, anche se solo sporadicamente, fin dall’età preistorica, come attestato dal rinvenimento di cavernette sepolcrali risalenti all’età del Rame (circa 2000 anni prima di Cristo) sui monti circostanti l’abitato di Pigna, le quali confermano l’esistenza di gruppi di uomini dediti prevalentemente alla pastorizia, residenti in valle o transumanti, che dovevano attraversare la regione per recarsi sugli alpeggi circostanti, le cui praterie, situate ai piedi della stessa cima rocciosa che chiude la valle, il Monte Toraggio (1973 metri), costituivano un tradizionale luogo destinato al pascolo degli armenti e forse erano pure sede di un culto delle vette. Ma è soltanto con l’età del Ferro, intorno al V secolo a.C., che i primitivi abitanti del territorio di Dolceacqua hanno lasciato le prime tracce sicure della loro frequentazione del comprensorio dolceacquino, che sono rappresentate dai resti murari dei castellari, le tipiche fortificazioni che i Liguri preromani delle tribù degli Intemeli erano soliti innalzare con pietre a secco sulle sommità delle colline quali punti strategici destinati alla difesa e al rifugio degli abitanti della valle.
Tali primitive costruzioni, collegate visivamente tra di loro, erano formate da semplici e rudimentali cinte murarie concentriche, torri e piccoli vani coperti interni, denominati caselle, mentre assai di frequente l’altura era delimitata da uno o più versanti rocciosi, dai quali la salita alla cima era praticamente impossibile o estremamente difficoltosa tanto che le difese con muri a secco erano costruite soltanto lungo i lati accessibili. La tipologia più comune di castellaro era a pianta circolare, protetto da una triplice cinta muraria, mentre all’interno si trovavano spesso delle capanne di un villaggio, vari campi e aree destinate al pascolo delle greggi. Lungo lo spartiacque che divide la Val Nervia dalla Val Roia fu quindi creato nel corso del V secolo a.C. un imponente sistema difensivo costituito da una serie di castellari eretti sopra ogni altura e intervallati da torri di vedetta intermedie, che partivano da Colla Sgarba, già sede dell’antica capitale degli Intemeli (che proprio in quel periodo la spostarono dall’altura sovrastante alla foce del Nervia alla piana sottostante, dove qualche secolo dopo sarebbe sorta la città romana), sino al Monte Altomoro sui rilievi di Pigna alla testata della valle; questa linea fortificata, situata in una zona «di frontiera», sarebbe quindi riuscita a bloccare le migrazioni delle varie popolazioni che provenivano da occidente, tra le quali i Celti, mentre i colonizzatori greci di Marsiglia non proseguirono oltre il loro emporio di Monaco.
Nel comprensorio dolceacquino si conservano in particolare i resti del maggiore castellaro dell’intero sistema difensivo dell’estrema Liguria occidentale, quello di Cima d’Aurin, situato nei pressi del valico stradale della Colla alla quota di 464 metri sul livello del mare. Protetta parzialmente da formazioni rocciose e da due cinte murarie parallele, la struttura comprendeva una vasta area poligonale guardata da una torre e alcune costruzioni di una certa rilevanza. I materiali raccolti in loco, tra i quali abbondanti frammenti di ceramica, confermano la frequentazione del sito tra il IV secolo a.C. e il III d.C. circa fino alla piena età imperiale. Poco più a nord, nei pressi della Colla, esistono tracce che attestano la presenza in zona di un fondo agricolo romano occupato dal I al IV secolo d.C., mentre sul lato occidentale della vicina Cima Tramontina, all’altitudine di 551 metri, sono presenti resti di un grande muraglione di contenimento, oltre a vari reperti in ceramica sparsi nelle vigne, che documentano una frequentazione umana dell’area, in funzione di struttura difensiva intermedia collegata col villaggio di Cima d’Aurin, tra il I e il II secolo d.C.
In una zona situata ancora più a settentrione, la vetta rocciosa del Monte Abellio è occupata dai ruderi di un castello probabilmente andato distrutto nel 1362, che svolgeva l’importante ruolo di collegamento tra le valli Nervia e Roia. Tracce murarie rinvenute sul posto rendono plausibile l’ipotesi che sull’area vi fosse una precedente costruzione, forse un castellaro preromano, la cui presenza parrebbe giustificata dalla particolare posizione strategica del sito ubicato al centro dell’intero sistema difensivo fortificato, dove – secondo alcune leggende locali – sarebbe sorto anche un tempio pagano dedicato al dio Sole e frequentato nei secoli successivi da streghe e maghi. Sul versante opposto della valle, lungo la dorsale che separa la Val Nervia dalla valle del Crosia, sono ubicati i ruderi della torre a pianta circolare dell’Alpicella (o dei Ruichìn), posto di vedetta, sul quale sono stati rinvenuti diversi frammenti ceramici preromani e romani.
Altri saltuari ritrovamenti di oggetti, monete e reperti vari nel territorio di Dolceacqua segnano poi il passaggio tra l’età preromana dei Liguri Intemeli e la vera e propria età romana, iniziata nel 180 a.C. con la prima conquista del comprensorio intemelio. Dopo la fondazione alla foce del Nervia della città romana di Albium Intemelium, l’odierna Ventimiglia, intorno al 100 a.C. e il conseguimento della cittadinanza romana nel 49 a.C. con il cambiamento del nome in Albintimilium, la destinazione dei terreni della Val Nervia ad uno sfruttamento agricolo di tipo intensivo subì una sensibile accelerazione, confermata anche dalla presenza di numerose fattorie, tra le quali una nel territorio di Dolceacqua posseduta da un certo Dulcius, che avrebbe dato il nome al paese. L’età romana è documentata inoltre da alcune monete e frammenti di tegole, oltre a due iscrizioni funerarie, ritrovate nel 1786 e poi andate perdute, riguardanti i non meglio identificati cittadini romani Metellus e Zenobia.
Dopo la caduta dell’Impero romano la popolazione del borgo dovette affrontare varie incursioni barbariche, e in particolare quelle dei Longobardi, che devastarono l’estremo Ponente ligure verso la metà del VII secolo, passando quindi sotto il dominio carolingio, che riorganizzò amministrativamente il territorio assegnando la zona dell’odierna Dolceacqua alla giurisdizione del Comitato di Ventimiglia. Successivamente il paese dovette affrontare le conseguenze delle scorrerie dei Saraceni, che avevano la loro base a Frassineto nel golfo di Saint-Tropez. Nel corso del X secolo furono particolarmente numerosi i saccheggi, le distruzioni e i rapimenti operati in Val Nervia da tali corsari, che esercitavano anche il controllo dei principali valichi alpini raggiunti dalle strade di fondovalle. Soltanto nel 980 questa temibile minaccia fu definitivamente soffocata grazie all’intervento del conte di Provenza Guglielmo d’Arles, del conte di Ventimiglia Guido e di altri signori liguri e provenzali, dopodiché ricominciò una nuova vita contrassegnata dall’opera indefessa di ricostruzione materiale e morale e dal ripopolamento della valle favoriti dall’azione dei Benedettini, che introdussero tra l’altro la coltura dell’ulivo, migliorarono la tecnica della viticoltura e delle altre pratiche agricole.
Nel frattempo il figlio di Guido, il conte Corrado I, aveva ottenuto nel 996 l’investitura del comitato di Ventimiglia, confermato in seguito ai suoi discendenti. La signoria dei conti di Ventimiglia divenne allora la protagonista incontrastata della politica locale di confine in rivalità con Genova fino al XIII secolo. Per controllare lo sbocco delle valli del Nervia e del Barbaira, percorse da importanti strade del sale dirette verso le montagne e il Piemonte, i conti di Ventimiglia fecero costruire nell’XI secolo, su un’altura rocciosa a strapiombo sul torrente Nervia, il nucleo di un castello, citato in un documento del 1177 come castrum de Dulzana, ai cui piedi sorsero poco dopo anche le prime case di un villaggio.
Circa venticinque anni prima, in un bolla pontificia emanata da papa Eugenio III nel 1151, è citata per la prima volta Dolceacqua, quale luogo in cui era presente un fondo appartenente ai monaci della Novalesa presso Susa, i quali si videro confermati il possesso della tenuta acquisita in seguito ad un lascito dell’epoca carolingia. In tale fondo i monaci costruirono quindi un primo edificio conventuale, un priorato, che successivamente sarebbe passato alle dipendenze dell’abbazia di San Pietro di Breme in Lomellina e di quella di San Pietro di Vasco nei pressi di Mondovì e infine ceduto agli Agostiniani Scalzi di Genova. La presenza dei monaci conferma indirettamente la particolare rilevanza assunta da Dolceacqua intorno al XII secolo, quando la località rappresentava un passaggio obbligato lungo la direttrice stradale che collegava Ventimiglia e la costa ligure alla pianura padana, a Torino e alle valli alpine. Il paese assunse quindi un ruolo di punto strategico fondamentale sia per i conti di Ventimiglia che per i monaci benedettini.
Questi ultimi sembra abbiano anche costruito, nell’XI secolo, la primitiva chiesa di San Giorgio, probabilmente nelle immediate vicinanze di una torre adibita a posto di guardia del torrente Nervia, mentre un altro guado, situato a monte dell’abitato in località Portu, era sede probabile di un piccolo mercato di fondovalle durante il Medioevo, nella zona dove in età tardoromana esistevano già alcune costruzioni. Il succitato documento del 1177 è inoltre assai rilevante per la storia del paese in quanto, con esso, il conte Ottone di Ventimiglia cedette il territorio dolceacquino a Genova in cambio dell’investitura, mentre dieci anni dopo suo figlio Enrico venne assediato dai Ventimigliesi nel castello di Dolceacqua, che fu incendiato. Dopo una lunga fase caratterizzata da aspre contese tra i conti intemeli e Genova per il controllo dell’estremo Ponente, alla fine prevalse quest’ultima e Genovesi e Provenzali nel 1260 si spartirono il territorio della contea di Venitmiglia.
Nel periodo successivo si verificarono altri scontri tra guelfi, sostenitori del papa, e ghibellini, che parteggiavano per l’imperatore, mentre i Grimaldi, di parte guelfa, si arroccavano a Monaco e il ghibellino Oberto Doria, acquistò alla fine Dolceacqua nel 1267, ponendo le basi di un lungo legame del paese con la dinastia dei Doria, che si sarebbe protratto fino al 1900. Acquistati i borghi di Apricale, Isolabona e Perinaldo, Oberto Doria assunse il titolo di vicario della Liguria occidentale, dopodiché i Doria avviarono una prolungata azione di difesa e tutela del loro territorio, svolta soprattutto in funzione di opposizione nei confronti delle mire espansionistiche dei Provenzali, il cui re Roberto I d’Angiò si annesse nel 1335 l’antica contea di Ventimiglia, scontrandosi però con la ferma opposizione dei Doria di Dolceacqua e dei Lascaris di Tenda che riconobbero la regina Giovanna e iniziarono un’intensa guerriglia sotto la guida di Imperiale Doria, che terminò con la pace di Lago Pigo presso Pigna nel 1365. L’anno prima Imperiale era stato tuttavia cacciato dal paese in seguito ad una rivolta popolare, sembra scoppiata per la pretesa del Doria di esercitare lo jus primae noctis, ossia il diritto di trascorrere la prima notte di nozze con le giovani spose del borgo. Rientrato a Dolceacqua grazie all’intervento del doge genovese, Imperiale riprese la guida della signoria favorendo in particolare l’incremento delle attività commerciali dei suoi sudditi.
Le relazioni tra Ventimiglia e i Doria erano intanto rese particolarmente difficili per via delle controversie sul pagamento delle gabelle che la comunità intemelia pretendeva in quanto le merci prodotte e vendute in Val Nervia dovevano necessariamente transitare ed essere imbarcate nei porti alle foci del Roia e del Nervia, dove gli esattori ventimigliesi riscuotevano i relativi dazi. La gabella più onerosa per i Dolceacquini era quella sul vino, a conferma della particolare importanza rivestita da questa produzione per l’economia della signoria. Per evitare di pagare i pesanti tributi su questa bevanda, Corrado Doria aveva fatto costruire verso la fine del XIII secolo una strada che univa Dolceacqua alla baia della Madonna della Ruota, tra Bordighera e Ospedaletti, inglobata nei suoi domini nel 1296. In tale località il vino veniva imbarcato senza pagare dazio e anche il sale sbarcato poteva essere trasportato a Dolceacqua con carovane di muli senza oneri fiscali.
Constatata la situazione venutasi a creare, le autorità di Ventimiglia decisero allora di ridurre a un solo genovino il dazio sul vino, stipulando quindi una convenzione con Imperiale Doria il 1° giugno 1355, dalla quale si apprende che il vino commercializzato dai Dolceacquini ammontava a 16.000 litri all’anno. Il successore di Imperiale Enrichetto Doria, che fu signore di Dolceacqua dal 1421 al 1458, riformò gli Statuti del paese nel 1429 ed ingrandì il locale maniero nel 1442, mentre, dopo aver sconfitto nel 1446 Lamberto Grimaldi di Monaco, riuscì a resistere con successo agli assedi portati al borgo dai Venitmigliesi nel 1454 e nel 1458. Il successivo signore del paese, Bartolomeo I Doria, ottenne dal duca di Savoia l’autorizzazione a rifornirsi di merci nel territorio sabaudo e, dopo la sua morte, avvenuta nel 1491, gli succedettero il figlio Luca e quindi Bartolomeo II.
Pochi anni dopo, l’ammiraglio Andrea Doria, nato a Oneglia nel 1466 dalla signora Caracosa, originaria di Dolceacqua, assunta la guida della Repubblica di Genova, si rifugiò nel 1522 a Monaco, dove fu coinvolto nella drammatica vicenda che si concluse con l’assassinio di Luciano Grimaldi da parte del nipote Bartolomeo Doria, signore di Dolceacqua. L’anno dopo il fratello dell’ucciso pose sotto assedio il paese, ma la difficile situazione si sbloccò in seguito al tempestivo intervento di Andrea Doria, che fece presentare al duca di Savoia atto di vassallaggio da parte di Bartolomeo, il quale era stato anche privato della protezione imperiale e messo al bando per il suo gesto, anche se, evitata la condanna, non sarebbe riuscito tuttavia a sfuggire alla vendetta del vescovo Agostino Grimaldi, che lo fece uccidere da un suo sicario nel 1525, mentre due anni dopo Andrea Doria riprendeva il controllo del paese.
La successiva signoria di Stefano Doria corrispose al periodo di maggiore stabilità e benessere per il borgo della Val Nervia, ormai di fatto sottoposto ai Savoia; durante tale periodo la corte venne riorganizzata sul modello spagnolo e anche il castello subì notevoli ingrandimenti e venne ulteriormente abbellito. Stefano Doria, nato nel 1523 ed insignito del titolo di cavaliere di Santiago de Compostela dal re di Spagna per la sua dedizione a Carlo V, nel 1559 ricevette in dono dal duca Emanuele Filiberto di Savoia il paese e castello di Rocchetta e, dopo essere divenuto consigliere di stato e ciambellano, fu nominato nel 1560 dallo stesso duca capitano generale della città e del contado di Nizza. Quattro anni dopo il governo genovese gli conferì pure il comando della Corsica, che lasciò tuttavia alla fine dell’anno seguente per rientrare a Dolceacqua, dove insediò una piccola corte molto ben organizzata, trattando anche per conto del duca di Savoia l’acquisto di Oneglia e dei paesi della Valle Impero, che fu poi ratificato nel 1576. Con tale decisivo acquisto, i Savoia poterono quindi usufruire di un altro importante sbocco marittimo nel Ponente ligure, spezzando così la continuità territoriale della Repubblica di Genova. Stefano Doria, che tanto aveva contribuito alla ripresa economica e sociale della signoria, morì infine nel 1580, probabilmente di peste, e venne seppellito nella cripta della chiesa di San Giorgio, dove le sue spoglie riposano ancora oggi.
La situazione politica locale mutò tuttavia radicalmente con i successori di Stefano Giulio, Imperiale III e Carlo Doria, tanto che nel corso della prima guerra tra Genova e i Savoia, con i quali i signori di Dolceacqua erano alleati, il paese subì un violento saccheggio da parte delle truppe corse nel 1627, costringendo Carlo Doria a fuggire dal borgo. I suoi dissidi con i Savoia si acuirono ulteriormente nel 1628 a causa della mancata promessa della vendita della signoria e della sua azione politica e militare nettamente a favore della Repubblica di Genova. Fu così che le truppe sabaude occuparono Dolceacqua e il signore si rifugiò a Genova, ove morì, dopodiché suo figlio Francesco decise di venire a patti con il potente vicino facendo atto di formale sottomissione ai Savoia, dai quali ottenne nel 1652 il titolo di marchese.
Da quell’anno le sorti di Dolceacqua si legarono definitivamente a quelle sabaude. Il neocostituito Marchesato estese quindi la sua giurisdizione, oltre che sul territorio dolcaeacquino, anche su quelli di Perinaldo, Apricale, Isolabona e Rocchetta Nervina. Negli anni successivi il castello venne ulteriormente ingrandito, assumendo l’aspetto di sontuosa residenza signorile fortificata, che i Genovesi tentarono nuovamente di espugnare, ma anche questa volta senza esito positivo. Nel 1742 era intanto scoppiata la guerra di successione austriaca, che vide contrapposte la Francia, la Spagna e la Prussia da una parte e l’Austria, l’Inghilterra e il Piemonte dall’altra. Il marchesato venne direttamente coinvolto nel conflitto per la sua posizione strategica nei pressi del confine; nel 1744 l’esercito franco-spagnolo, forte di 68.000 uomini e di 8500 cavalli, dopo aver occupato Nizza, passò la frontiera e si acquartierò presso Bordighera. Pochi giorni dopo una colonna di 3670 uomini guidata dal marchese spagnolo Las Minas e rinforzata da 800 soldati provenienti da Sospel e Ventimiglia, penetrò in Val Nervia, dove Dolceacqua e gli altri paesi della valle subirono un violento saccheggio, mentre il castello dei Doria, difeso dal conte sabaudo Rivara e da ottanta uomini, veniva sottoposto, a partire dal 17 maggio del ’44, al tiro incrociato delle batterie piazzate sulle alture circostanti.
Il 27 luglio successivo i cannoni delle postazioni del convento, del Monte Bottone e di San Giorgio sferrarono congiuntamente l’assalto risolutivo contro il castello, il quale, non potendo usufruire di difese adeguate a sostenere l’impatto con le palle dei moderni cannoni, venne parzialmente distrutto e costretto alla resa. Nel 1746 il re di Sardegna Carlo Emanuele III transitò con duemila uomini per Dolceacqua, dove, constatate le assai precarie condizioni dell’antico maniero dei Doria, decise di non ristrutturarlo per fini militari. L’anno dopo il sovrano sabaudo diede disposizioni per la costruzione di una serie di fortificazioni e trinceramenti d’altura da Saorge a Ventimiglia, parte delle quali sono visibili ancora ai giorni nostri, presidiate da 15.000 soldati che riuscirono a frenare la spinta delle truppe franco-spagnole sino al termine del conflitto.
Dopo la pace di Aquisgrana del 1748 la Val Nervia tornò sotto il controllo sabaudo, ma anche se formalmente restituito ai Doria, il castello di Dolceacqua rimase disabitato. Il 6 aprile 1794 Napoleone Bonaparte, giovane comandante di artiglieria al seguito dell’Armata d’Italia guidata dal generale Massena e impegnata nell’assedio di Saorge, pernottò a Dolceacqua e venne ospitato nel palazzo Doria accanto alla chiesa parrocchiale, dove i marchesi si erano ormai trasferiti da diverso tempo. Nel 1797 cadde quindi il regime oligarchico con la nascita della Repubblica Ligure; nell’aprile dell’anno dopo il paese fu inglobato nel cantone di Ventimiglia, a sua volta inserito in una nuova entità amministrativa, la Giurisdizione delle Palme, avente per capoluogo Sanremo.
Nel 1805 Dolceacqua entrò a far parte, insieme al resto della Liguria, dell’Impero napoleonico e fu sottoposta all’amministrazione del Dipartimento delle Alpi Marittime con capoluogo Nizza, ritornando quindi al Regno di Sardegna nel 1815 unitamente ai territori della ex Repubblica di Genova, che il Congresso di Vienna aveva deciso di aggregare allo Stato sabaudo. Dopo la cessione della Divisione di Nizza alla Francia nel marzo del 1860, il paese fu inserito nella nuova provincia di Porto Maurizio, che quasi esattamente un anno dopo sarebbe entrata nel Regno d’Italia. Circa venticinque anni dopo anche Dolceacqua fu danneggiata dal terremoto del 23 febbraio 1887, il quale provocò in particolare gravi lesioni all’antico castello dei Doria, che, dopo il sisma, fu definitivamente abbandonato, ponendo così fine alla storica importanza politica e strategica del marchesato e del significativo ruolo ricoperto dalla valle nei secoli precedenti. Per sopperire ai danni provocati dal terremoto, le autorità centrali concessero un mutuo di 5500 lire a tre privati dolceacquini, mentre 6550 lire furono destinate alla riparazione di edifici comunali, scuole, opere pie, chiese e oratori.
Una trentina di anni dopo il paese ebbe molti caduti al fronte italiano nel corso della prima guerra mondiale. Nei successivi anni del regime fascista si registrò un periodo di discreto sviluppo economico e sociale fino al momento della breve guerra contro la Francia nel giugno 1940, che non ebbe particolari conseguenze sulla vita del borgo a differenza dei giorni immediatamente successivi all’annuncio dell’armistizio stipulato con gli Alleati l’8 settembre 1943, quando il paese venne abbandonato da reparti dell’esercito e della Guardia alla frontiera, ai quali subentrarono due giorni dopo dei reparti tedeschi, che, sostituiti ogni mese, sarebbero rimasti a Dolceacqua sino alla Liberazione occupando e saccheggiando le case civili, rapinando il bestiame e catturando ostaggi che rinnovarono ogni settimana per preservarsi da eventuali atti di sabotaggio da parte delle formazioni partigiane.
Nel territorio dolceacquino operò in particolare nel periodo della guerra di liberazione il distaccamento «Stella», inquadrato nella IX Brigata d’Assalto Garibaldi «F. Cascione» e comandato da Alfredo Blengino (Spartaco), poi sostituito da Stefano Caraballona (Leo) a partire dal 1° luglio del ’44, la cui zona operativa comprendeva anche Muratone, Bevera e Rocchetta Nervina. Tra le più importanti azioni partigiane compiute nel comprensorio dolceacquino nel corso del periodo resistenziale si segnala il disarmo di una squadra di militi del battaglione «San Marco» attuato il 27 agosto del ’44 da parte di una pattuglia del 4° distaccamento della V Brigata «L. Nuvoloni», mentre, tra i caduti, si segnalano i due giovanissimi fratelli Giuseppe e Amelio Rondelli, catturati dalle SS il 23 novembre ’44 e fucilati sulla porta del cimitero del paese due giorni dopo.
Nel secondo dopoguerra Dolceacqua ha registrato un notevole incremento del comparto economico specialmente di quello legato alle tradizionali attività del settore primario con preminenza della viticoltura effettuata quasi esclusivamente su terreni collinari ben esposti, dove si coltiva in particolare il celebre vitigno Rossese, il cui prodotto ha ottenuto dal 1972 la denominazione di origine controllata come «Rossese di Dolceacqua» o «Dolceacqua». Riveste ancora una cospicua importanza l’olivicoltura con la produzione di olio pregiato dalle olive della qualità «taggiasca» nei tre frantoi ancora esistenti, di cui due funzionanti. Molto diffusa è anche la floricoltura, praticata soprattutto lungo il fondovalle in serra e in pien’aria con produzione di fiori recisi, fronde ornamentali, rose e garofani.
Il settore secondario riveste invece un’importanza piuttosto limitata con un’azienda dalle mede dimensioni che produce prefabbricati o parti di edifici in resine, mentre le rimanenti aziende sono impegnate nella lavorazione del legno e alla costruzione di mobili, nelle costruzioni edili, nella lavorazione del ferro e nella riparazione di motoveicoli. Notevole rilevanza assume infine il comparto terziario, e in particolare il settore turistico, che può contare su una discreta ricezione turistica con due alberghi e nove ristoranti, che offrono piatti tipici della cucina italiana e francese, mentre il movimento turistico è di carattere quasi esclusivamente escursionistico, cioè con brevi spostamenti diurni e sosta limitata a poche ore che comprende generalmente la visita al castello dei Doria da parte di turisti che giungono in massima parte durante la stagione estiva attirati anche dalle numerose manifestazioni organizzate dalla Pro Loco, tra i quali molto numerosi sono i Piemontesi e i Lombardi che possiedono una seconda casa nel centro storico del borgo”.