La storia del borgo di San Biagio della Cima ricostruita da Andrea Gandolfo

San Biagio della Cima. Il nuovo appuntamento con gli approfondimenti della storia locale, a cura dello storico matuziano Andrea Gandolfo, è dedicato alla storia del borgo di San Biagio della Cima, noto, tra le altre cose, per essere la “patria” del celebre scrittore ligure Francesco Biamonti. Una storia che merita di essere ripercorsa per le sue vicende millenarie. Ecco la storia del paese di San Biagio della Cima raccontata dal dottor Gandolfo.
L’abitato di San Biagio della Cima si distende lungo un pendio sul fianco destro della valle del torrente di Vallecrosia, circa trenta metri più in alto dell’alveo del corso d’acqua. La valle presenta un bacino imbrifero di limitate dimensioni, pari a circa 22 chilometri quadrati, racchiuso a levante dalla dorsale che dal Monte Caggio scende fino ai Piani di Borghetto. In corrispondenza dell’abitato di Vallecrosia Alta la vallata assume poi una forma particolarmente angusta e presenta un aspetto severo per via dei rilievi che la sovrastano e in particolare, sul versante destro, del Monte Santa Croce (356 metri) dai fianchi in parte dirupati in cui risaltano banchi conglomeratici risalenti al Pliocene fortemente inclinati, e, sul lato opposto, del Monte Bauso (224 metri), dalle caratteristiche morfologiche simili, dove la ripidità dei pendii e la scarsa potenza del suolo vegetale hanno determinato la fioritura di una macchia bassa, la cosiddetta gariga, particolarmente ricca di colori, soprattutto durante la stagione primaverile, quando vi nascono quasi simultaneamente cisti, valeriane e ginestre.
Il paese si presenta come un centro compatto, dal tipico aspetto ligure, con uno spiccato interesse ambientale per le medie dimensioni e la notevole compattezza del tessuto abitativo. Il borgo è disposto lungo la linea del crinale che discende verso la piana del torrente di Vallecrosia, con un più marcato sviluppo del tessuto edilizio in corrispondenza dell’incrocio con la via di valle, nodo segnalato tra l’altro dall’ubicazione della parrocchiale.
La disposizione della struttura urbana prevede poi una serie di anelli semicircolari di case, allungate verso ponente sull’antica direttrice viaria diretta a Camporosso e a Perinaldo, mentre, alla destra del torrente, un’altra mulattiera conduce a Vallebona in un paesaggio naturale contrassegnato dalle coltivazioni floricole e dalle vigne. Il toponimo è chiaramente ricollegabile al culto dell’omonimo Santo martire, attestato fin dal 1260 (apud Sanctum Blasium), mentre il determinativo, puramente letterario, venne aggiunto nel 1862, per distinguere la località da altre omonime situate sul territorio italiano, con allusione alla forma e al nome del Monte Cima, come è chiamato dagli abitanti del luogo il Monte Santa Croce, detto anche collina di Crovairola (ossia dei corvi), che sovrasta da sud il centro abitato. L’insediamento umano nella zona dell’odierna San Biagio della Cima ha una serie di testimonianze particolarmente antiche, che farebbero presupporre una presenza dell’uomo nel comprensorio risalente ad un periodo antecedente all’età romana, quando il primitivo villaggio era denominato Villa Martis e si era sviluppato in qualità di suburbio di Albintimilium. Gli antichissimi Liguri dovettero comunque frequentare il territorio sambiagino, dove le tribù delle genti liguri si impegnarono con notevole costanza e abnegazione a difendere la zona dagli attacchi esterni, tramite in particolare la costruzione di apposite strutture fortificate, i castellari, costruiti in aree significanti come i vertici montani e aventi funzioni difensive e protettive di piccoli abitati rurali, dove la popolazione si rifugiava in caso di emergenza.
Il potente ed efficiente sistema difensivo costituito dai castellari eretti dai Liguri Intemeli in questa zona di frontiera rappresentò un valido baluardo prima contro i tentativi di invasione da parte dei Greci Massalioti e poi dei Romani, che dovettero impegnarsi a lungo per avere ragione dei combattenti liguri, capaci di mimetizzarsi tra le rocce, colpire e fuggire. Roma dovette quindi vincere sotto il profilo militare ma soprattutto politicamente per sconfiggere questa forma di arcaica guerriglia, particolarmente dispendiosa, che i Liguri riuscirono a condurre usufruendo di una notevole organizzazione strategica e controbilanciando l’evidente inferiorità tattica e tecnica con una profonda conoscenza dei luoghi.
La frequentazione del territorio sambiagino in età romana è ulteriormente confermata dalla presenza sul Monte Santa Croce, tra Vallecrosia e San Biagio della Cima, di resti di strutture murarie anulari a duplice cinta, tracce di ceramica protocampana, frammenti di laterizi, resti di un pozzo, una cinta anulare in muro a secco di notevoli dimensioni, vario materiale laterizio e edilizio, oltre ad una strada lastricata poi ricoperta nell’ambito di lavori agricoli in un fondo privato. Altre tracce della romanità sono costituite da varie tombe, tegole e monete rinvenute nella campagna ai piedi della parete settentrionale del rilievo, mentre resti murari non meglio identificati sono ubicati anche sul Monte Bellavista (378 metri), che domina l’abitato di Vallecrosia a mezzogiorno. La notevole abbondanza dei ritrovamenti e la qualità del materiale potrebbero quindi far supporre l’esistenza di un villaggio o di un organismo rurale frequentato da una comunità umana in un periodo compreso tra il VI secolo a.C. e il II-III secolo d.C. ai fianchi del Santa Croce, ad un’altitudine sul livello del mare leggermente superiore a quella dell’attuale nucleo di San Biagio (circa 100 metri).
La lontana genesi dell’odierno paese dal castellaro preromano di Santa Croce sembra dunque abbastanza plausibile, soprattutto se si considerano la buona qualità dell’habitat ruotante intorno al grande colle e la fruibilità agricola del terreno, molto ricco di acqua, la vicinanza alla costa, in particolare all’antica Albintimilium, e nello stesso tempo l’esistenza della grande e trafficata arteria stradale rappresentata dalla via Giulia Augusta. Per quanto concerne il periodo romano nel territorio sambiagino è da segnalare inoltre la notizia, diffusa nella prima metà del Cinquecento da Agostino Giustiniani in un passo dell’opera Descrittione della Lyguria, sulla base di una tradizione leggendaria priva di qualsiasi fondamento, che a San Biagio, e precisamente in località Villa di Marte, il presunto nome romano del borgo, fosse nato l’imperatore romano Publio Elvio Pertinace, che regnò per soli tre mesi dal 31 dicembre 192 al 28 marzo 193. A parte il fatto che il toponimo Villa di Marte è presente, oltreché a San Biagio, anche in vari altri centri della Liguria, tanto che per boria municipalistica pure Albenga avrebbe rivendicato di essere stata la patria di tale imperatore, è storicamente provato che Publio Elvio Pertinace, figlio di Elvio Successo, nacque ad Alba Pompeia (l’attuale cittadina piemontese di Alba) nell’agosto del 126 d.C. È dunque categoricamente da escludere che vi possa essere la minima possibilità di una sua nascita in territorio ligure, come sostenuto peraltro da svariati autori sulla scorta di quanto erroneamente riferito nella sua opera da Giustiniani, la cui influenza sarebbe stata peraltro all’origine di numerose altre inesattezze da parte di molti estensori di antologie storico-letterarie sulla Liguria.
Dopo la caduta dell’Impero romano, la zona dell’odierna San Biagio della Cima subì le incursioni di orde barbariche, in particolare di Vandali, che devastarono selvaggiamente numerosi villaggi della fascia costiera e dell’entroterra. Nel corso del VI secolo subentrò la dominazione bizantina, che inserì il territorio dell’estrema Liguria occidentale nella Provincia Maritima Italorum, erigendo una serie di strutture fortificate nella zona di frontiera a scopo difensivo. Nel 643 la zona fu occupata dai Longobardi di Rotari, che devastarono varie località della costa e dell’interno, stabilendosi sul territorio fino all’arrivo dei Franchi di Carlo Magno nel 773, quando il paese di San Biagio entrò a far del Comitato di Ventimiglia, una nuova entità amministrativa che ricalcava sostanzialmente la relativa circoscrizione ecclesiastica. Nel corso del IX e X secolo il territorio venne poi interessato dalle incursioni dei Saraceni, che effettuarono numerose scorrerie sulle coste del Ponente ligure, costringendo i pochi abitanti del comprensorio a fuggire ed abbandonare le loro coltivazioni, fino a quando la minaccia saracena non fu definitivamente soffocata grazie al decisivo intervento di una coalizione di signori feudali capeggiati dal conte Guglielmo di Arles, e di cui faceva parte anche il conte di Ventimiglia Guido Guerra, che verso il 980 riuscì ad espugnare e distruggere il covo dei pirati a Frassineto.
Intorno all’anno Mille si verificò una generale e diffusa rinascita della vita e delle attività economiche e sociali, mentre il comprensorio della Valle del Crosia risultava sempre inserito amministrativamente nel Comitato di Ventimiglia, che faceva parte, insieme a quello di Albenga, della Marca Arduinica comprendente il territorio delimitato a ponente dal Monte Agel presso la Turbia e a levante dal corso del torrente Armea includendo anche tutto il bacino del Roia dal Colle di Tenda fino al mare. A partire dal XII secolo tutta la zona da Monaco al torrente Armea entrò quindi stabilmente a far parte dei possedimenti della potente famiglia feudale dei Conti di Ventimiglia, che iniziarono a costruire numerosi castelli in vari centri delle vallate, come quelli di Apricale, Isolabona e Dolceacqua in Val Nervia e quelli di Badalucco e Carpasio in Valle Argentina.
La presenza di un centro abitato, seppur molto limitato, nella zona dell’attuale San Biagio della Cima è documentata per la prima volta, con un sufficiente grado di attendibilità, in una serie di rogiti notarili redatti da Giovanni di Amandolesio intorno alla metà del Duecento. Da tali atti risulta in particolare l’esistenza in loco di un’area abbastanza frazionata tra piccoli proprietari, come una certa Flandina Gapeana che vendette a tal Giovanni Curto un appezzamento di terreno al prezzo di dieci lire genovesi. Tra i numerosi proprietari dell’epoca nel territorio assumono particolare rilievo la chiesa di San Biagio, il vescovo di Ventimiglia, e specialmente un certo Rainaldo Bulferio, che, acquistando svariati lotti, finì col diventare un piccolo latifondista del paese nel corso del XIII secolo, quando San Biagio era una piccola villa dipendente dal Comune di Ventimiglia. L’importanza economica raggiunta da numerosi abitanti del borgo, la presenza di una chiesa potente e autorevole e i ripetuti riferimenti ad un’intensa attività agricola, legata in particolare alla coltura della vite, dei fichi e degli alberi da frutta ma anche, seppure in misura minore, della cerealicoltura, testimoniano in modo inconfutabile la notevole vitalità del piccolo borgo in età tardomedievale non soltanto sotto il profilo economico, ma anche dal punto di vista demografico, come attestato dalla particolare consistenza assunta da San Biagio quale sempre più solida e popolata entità residenziale.
Nel corso del XIII secolo i Conti di Ventimiglia avevano intanto cominciato a perdere gradualmente potere e autorità nel loro contado dell’estrema Liguria occidentale, dove subentrarono loro nella gestione amministrativa del territorio nobili signori feudali provenienti perlopiù da Genova, come i Doria a Dolceacqua e Perinaldo, che completarono il disfacimento dell’influenza politica dei conti nel distretto intemelio. Trascorsi gli ultimi secoli del Medioevo e i primi dell’età moderna senza che si fossero registrati sostanziali mutamenti sul piano politico e sociale, a partire dagli ultimi decenni del Seicento si consumò definitivamente il distacco di San Biagio e delle altre sette Ville limitrofe dalla Comunità di Ventimiglia, che aveva determinato con la sua linea politica ed economica una situazione di forte disagio e insofferenza tra la popolazione delle Ville dipendenti, la quale chiese formalmente al Senato genovese l’autorizzazione a staccarsi dal capoluogo sotto l’aspetto economico a causa della gravosa e ormai inaccettabile pressione fiscale esercitata su di essa dalle autorità intemelie. L’11 febbraio 1683 il Senato della Repubblica emanò quindi un primo decreto con cui accordava alle otto Ville il permesso di separarsi da Ventimiglia sotto il profilo della tassazione, al quale seguì una richiesta formale di separazione vera e propria, avanzata dai rappresentanti della Comunità di Bordighera il 4 marzo successivo, mentre i delegati degli otto paesi e non più Ville dipendenti, stabilivano di associarsi in una confederazione che assunse il nome di «Magnifica Comunità degli Otto Luoghi».
Il 21 aprile 1686 i deputati eletti dagli otto paesi convennero allora nell’Oratorio di San Bartolomeo a Bordighera, dove sottoscrissero solennemente, alla presenza del commissario della Repubblica Gerolamo Invrea, l’atto di Convegno degli Otto Luoghi, con cui veniva proclamata l’istituzione della nuova Comunità e veniva contestualmente ratificato uno statuto che avrebbe dovuto regolamentarne l’attività, ossia i Capitoli per il buon governo della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi. Una serie di successivi provvedimenti approvati dalle due parti sancì quindi i confini tra le due entità amministrative della Comunità e di Ventimiglia, poi fissati definitivamente dal giudice arbitro Bartolomeo De Rustici con sentenza emessa il 14 aprile 1695. La nuova Comunità si era frattanto data delle autonome istituzioni, rappresentate da quattro sindaci e da un Parlamento, composto da venti delegati, a cui era affidato il mandato di amministrare il territorio della Comunità suddiviso nelle zone di Camporosso, di Vallecrosia, che comprendeva i paesi di San Biagio, Vallecrosia e Soldano, di Vallebona, che includeva i paesi di Vallebona, Borghetto San Nicolò e Sasso, e di Bordighera.
Trascorso gran parte del Settecento senza modifiche rilevanti all’assetto istituzionale del paese e della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi in generale, la situazione iniziò a cambiare profondamente in seguito all’invasione dell’estremo Ponente da parte delle truppe rivoluzionarie francesi al comando del generale Massena nell’aprile del 1794, quando cominciò il periodo di occupazione francese anche per i borghi appartenenti alla Repubblica di Genova come San Biagio, che, nonostante si fossero proclamati neutrali, vennero ugualmente occupati con i loro abitanti costretti a fornire fave, fieno e bestie da soma ai soldati francesi, che si resero responsabili di violenze e soprusi insieme ai famigerati barbetti, feroci briganti controrivoluzionari che si macchiarono di svariati assassinii ai danni di abitanti del comprensorio, oltre ad alcuni atti intimidatori verso alcuni nobili della zona. Durante il regime di occupazione francese si esaurì infine la parabola della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi, ufficialmente sancita in seguito all’abolizione delle istituzioni locali stabilita dal governo provvisorio della giacobina Repubblica Ligure nel 1797. Dopo la suddivisione del territorio ligure in ventotto distretti, San Biagio fu inserito in quello del Roia, con capoluogo Ventimiglia, ma vi rimase solo per pochi mesi, in quanto nel 1798 la Repubblica fu nuovamente divisa in venti distretti, quello del Roia fu abolito e i paesi che ne facevano parte furono inclusi nel nuovo Distretto delle Palme, con capoluogo Sanremo.
Due anni dopo, tuttavia, dopo la temporanea rioccupazione del territorio ligure da parte delle truppe austro-sarde, i nobili ventimigliesi convinsero il generale Elnitz a ripristinare con un proclama l’antico regime e la dipendenza degli Otto Luoghi da Ventimiglia, ma tale sistemazione durò assai poco in quanto, dopo la definitiva sconfitta degli Austriaci a Marengo nel giugno del 1800, la Repubblica Ligure subì un terzo riordinamento amministrativo nel 1802 attraverso l’istituzione di sei distretti, con il territorio di San Biagio compreso in quello degli Ulivi. Dopo la creazione dell’Impero napoleonico, tutta la Liguria venne annessa alla Francia e divisa in quattro dipartimenti con San Biagio incluso in quello delle Alpi Marittime, con capoluogo Nizza, da cui sarebbe dipeso fino al 1815, quando passò con il resto del territorio ligure al Regno di Sardegna. Ceduto il Nizzardo alla Francia nel 1860, San Biagio della Cima entrò quindi a far parte della neocostituita provincia di Porto Maurizio, subendo soltanto lievi danni nel corso del terremoto del febbraio 1887, dopo il quale nove Sambiagini ottennero un mutuo di 17.500 lire per riparare i danni causati dal sisma, mentre altre 3555 lire furono erogate dallo Stato per il riattamento delle strade e 6445 per la riparazione di chiese, oratori, case canoniche ed altri edifici religiosi. Dopo gli anni della prima guerra mondiale, in cui caddero diversi militari originari di San Biagio, con l’avvento del fascismo si verificarono alcuni cambiamenti nell’assetto territoriale locale, iniziati nel 1923 con la soppressione dei Comuni di San Biagio della Cima e Soldano e la loro assegnazione al Comune di Vallecrosia, mentre il 7 agosto di due anni dopo si sarebbe tornati alla situazione iniziale; il 15 aprile 1928 venne poi decretata l’unione di San Biagio e Soldano in un unico Comune, che sarebbe rimasto in vigore fino al secondo dopoguerra, quando, il 22 novembre 1946, San Biagio della Cima e Soldano furono nuovamente scissi per tornare alle loro antiche circoscrizioni comunali.
Nel corso della guerra del 1940-45 il paese rimase occupato da un presidio tedesco dalla metà di settembre del 1944 alla Liberazione, quando gli uomini dai 18 ai 60 anni, rastrellati, furono adibiti alla costruzione di bunker, mentre la popolazione dovette subire angherie e soprusi da parte di bande di brigatisti neri che fecero numerose puntate sul borgo. Dopo la fine della guerra si è registrato una notevole ripresa produttiva delle tradizionali attività economiche legate all’olivicoltura, alla viticoltura con buona produzione di «Rossese di San Biagio», vino rosso da pasto adatto all’invecchiamento, di «Rossese bianco di San Biagio» e di Massarda, e, in tempi più recenti, alla floricoltura, con coltivazione soprattutto di rose, che rappresenta ormai una delle principali risorse economiche del paese, mentre parecchi Sambiagini alimentano il diffuso fenomeno del pendolarismo recandosi giornalmente a lavorare nelle vicine città del Dipartimento francese delle Alpi Marittime e nel Principato di Monaco. Negli ultimi tempi ha assunto particolare rilevanza pure il comparto turistico, basato su una ricezione in grado di offrire alla clientela i piatti tipici della cucina locale, mentre molti turisti raggiungono San Biagio della Cima durante la stagione estiva per partecipare alle varie manifestazioni organizzate dall’Amministrazione comunale e dalla Pro Loco per vivacizzare l’estate e offrire ai turisti occasioni di svago e divertimento.