Vicende storiche e artistiche della basilica di San Siro a Sanremo: il racconto dello storico Andrea Gandolfo

28 maggio 2022 | 06:19
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Vicende storiche e artistiche della basilica di San Siro a Sanremo: il racconto dello storico Andrea Gandolfo

La chiesa affonda le sue radici nel periodo medioevale

Sanremo. Il tradizionale appuntamento con la storia matuziana a cura dello storico Andrea Gandolfo questa settimana è dedicato alle vicende storiche e artistiche della basilica di San Siro di Sanremo, che affonda le sue radici nel periodo medioevale per subire un totale rifacimento all’alba del XX secolo.

Ecco dunque il racconto dello storico Andrea Gandolfo sull’affascinante storia della più antica chiesa di Sanremo: «Le origini più remote della chiesa di San Siro sono probabilmente ricollegabili alle fasi iniziali del popolamento e della successiva diffusione del cristianesimo nell’estremo Ponente ligure. Appare dunque plausibile che il primitivo edificio sacro svolgesse la funzione di amministrare i sacramenti, configurandosi come una vera e propria pieve battesimale. Una serie di scavi archeologici effettuati nel 1948 ha portato alla luce i resti dell’abside centrale e di quella sinistra della chiesa protoromanica a tre navate, risultati allineati con l’asse della Canonica, databili almeno al secolo XI e situati a tre metri di profondità dall’attuale pavimento, oltre ad alcune semicolonne romaniche rivestite di intonaco a stucco e alcuni avanzi di pavimentazione in coccio pesto, tegoli e tavelloni rinvenuti appena fuori della costruzione e appartenenti presumibilmente anch’essi alla chiesa protoromanica».

«Nella cripta di tale edificio primitivo erano probabilmente conservate le reliquie di san Romolo prima del loro trasferimento a Genova verso la fine del IX secolo su iniziativa del vescovo Sabatino. La chiesa odierna è in realtà il frutto di una lunga ricostruzione della struttura protoromanica, che venne ultimata nel terzo quarto del XIII secolo, secondo un impianto generale e una tecnica esecutiva assimilabili a quelli che caratterizzano in particolare la cattedrale di Albenga e la chiesa dei Santi Giacomo e Filippo a Andora. Alla riedificazione della chiesa parteciparono tra gli altri gruppi di maestri antelamici e muratori lombardi o ticinesi, allora impiegati in numerosi cantieri sparsi in tutta la Liguria. La chiesa si presentava a tre navate suddivise da colonne sormontate da archi a sesto acuto e terminava a levante con absidi circolari, non più esistenti, con la zona presbiteriale ubicata al di sotto della crociera, ancor oggi visibile in corrispondenza delle balaustre dell’altare maggiore. L’intero edificio venne costruito utilizzando una pietra calcarea particolarmente compatta proveniente dalla cava di Verezzo, mentre la copertura in ardesia delle navate era retta da un’armatura in legno durissimo, decorato con figure sacre. Le linee stabili e rigide dell’edificio medievale furono poi sostanzialmente modificate in base alla nuova sensibilità emersa dalle decisioni del Concilio di Trento e alle esigenze legate ad una riforma delle pratiche liturgiche, tramite una fase di ristrutturazione della chiesa che si protrasse dal XVII al XVIII secolo. Il primo intervento significativo si ebbe già nel 1594 con la sistemazione del nuovo tabernacolo a tempietto sull’altare maggiore» – fa sapere lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Nel 1620 nacque il progetto di realizzare un nuovo coro, ma fu soltanto nel 1660 che si procedette al riassetto della zona absidale sotto la direzione di Gio Batta Aicardi, che mise mano alla demolizione delle tre absidi di epoca medievale e alla costruzione di due cappelle quadrangolari affiancate alla nuova area presbiteriale, che venne sensibilmente prolungata. Intorno al 1680 venne pure condotta a termine la ricca decorazione a stucco dell’abside, alla quale contribuì il ticinese Gerolamo Comanedi. Tra il 1718 e il 1721 anche le navate furono ridecorate secondo il gusto tipico dell’età barocca, mentre le arcate venivano trasformate da ogivali a tutto sesto, e sopra di esse realizzata una trabeazione in stucco che rappresentava l’avvio della nuova copertura a volta lunettata della navata centrale. Pure nelle navate laterali fu sostituita con volte l’originaria copertura lignea della struttura, di cui è rimasta una tavoletta dipinta raffigurante un busto di Angelo, databile al periodo di costruzione della chiesa protoromanica, anche se chiaramente ricollegabile alle soluzioni della pittura piemontese dell’XI-XII secolo, poi trasferita nel 1898 nel Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, dove è attualmente custodita. Il cambiamento più accentuato, dovuto soprattutto al bombardamento navale del 1745 che causò il crollo di una parte del tetto e della fronte, è legato proprio alla facciata, realizzata intorno al 1769, quando venne completamente ridisegnata con l’innesto di una serie di apparati decorativi costituiti da una parte centrale rettilinea affiancata da due ali concave, secondo un’impostazione barocca evidente soprattutto nelle trine della decorazione a stucco. La struttura barocca dell’edificio rimase sostanzialmente inalterata sino alla fine dell’Ottocento, quando furono intrapresi numerosi interventi atti a restituire alla chiesa la sua originaria fisionomia medievale, in conformità alla sensibilità dell’epoca che non apprezzava lo stile barocco, mentre vedeva di buon occhio il ritorno alle forme originali degli edifici. I lavori vennero condotti secondo i piani predisposti dall’ingegnere Antonio Capponi, stilati nel 1898 e presentati da quest’ultimo nell’aprile dello stesso anno all’esposizione di Torino. Il progetto completo dei restauri fu esaminato e approvato dal Consiglio comunale il 21 febbraio 1901, ratificato dalla Soprintendenza ai Monumenti il 16 luglio successivo, mentre otto giorni dopo la Fabbriceria ne deliberava l’avvio della fase esecutiva. Gli interventi di ristrutturazione, portati avanti fino agli anni Trenta del secolo scorso, interessarono in particolare l’interno, le navate e la facciata, dove venne addirittura realizzato un falso protiro, sia pure utilizzando sempre la pietra delle cave di Verezzo, già usata per la costruzione dell’edificio romanico nel XIII secolo» – racconta lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Nel corso dei lavori eseguiti tra il 1926 e il 1932 furono distrutte le volte, eliminati gli stucchi e gli altari del Sei-Settecento e ridotte a monofore le finestre quadre del lucernario a vetrata verticale. Nel 1947 fu nominata invece un’apposita commissione di tecnici, che affidò alla ditta Giovanni Repetto di Sanremo l’incarico, portato a termine nel corso dell’anno successivo, di scrostare l’intonaco e i gessi dei muri, demolire le tribune dell’organo e il voluminoso cornicione, chiudere due finestre del catino dell’abside e rivestire le tre absidi con un intonaco terranova grigio in modo tale da rimanere in sintonia con gli altri colori nell’interno della chiesa. La concattedrale risulta attualmente delimitata da murature lineari con elementi a vista e presenta tre accessi, di cui uno anteriore e due laterali. L’interno è a tre navate e riceve l’illuminazione dal grande oculo anteriore e da una serie di strette finestre laterali. Le navate sono intervallate da sei campate di colonne a sezione circolare o pilastri a sezione poligonale, a cui si raccordano arcate di forma ogivale. L’ultima campata prima dell’altare maggiore è coperta da un’alta volta a crociera. L’avvicendamento di colonne e pilastri è stata determinata dalle scelte dei vari gruppi di maestranze che hanno via via lavorato nel cantiere della chiesa. Nonostante l’interno appaia chiaramente di impostazione romanica, risulta altresì evidente una tendenza generale dell’insieme orientata verso il gotico, che si manifesta in modo esplicito nella forma dei capitelli e nell’adozione di arcate ogivali, accompagnata dall’impiego parziale di blocchi non perfettamente squadrati in pietra nera, tanto da mantenere fino al 1250 circa le cornici a raso muro delle bifore e trifore romaniche con colonnine marmoree, poi sostituite da cornici in aggetto dopo il 1300» –dice lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Nella caratteristica facciata si segnalano in particolare il grande oculo e parte di due bifore ricollegabili ancora alla struttura iniziale dell’edificio risalente al XIII secolo, e non conseguentemente al rifacimento effettuato nel 1902, mentre rappresenta un’aggiunta evidentemente posteriore alla struttura originaria il grande portale ogivale ad avancorpo strombato, molto simile a quello esistente all’ingresso della cattedrale di Ventimiglia. Lungo i contorni della facciata si sviluppano ghiere di piccoli archi pensili, retti da mensole dove sono ottenuti a rilievo elementi decorativi geometrici, teste di animali e specialmente visi umani con valore apotropaico, ovvero di protezione della chiesa dalle forze del male. La lunetta sovrastante il portale d’ingresso risulta decorata con un artistico mosaico dedicato al santo titolare e sormontato da un rosone in pietra e da una finestrella crociata. Sul lato sinistro dell’edificio si erge lo slanciato campanile, nel quale si possono notare tre distinte fasi edilizie: una di base, del XIII secolo, una quattrocentesca in pietre appena sgrossate ed una riconducibile all’età barocca, che è il risultato del rifacimento della torre campanaria, parzialmente abbattuta dai Genovesi sino alla «camera dell’orologio» a punizione della città dopo la rivoluzione del 1753. Danneggiato nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, venne rifatto nella parte terminale, secondo le originarie linee barocche, con una serie di lavori conclusi nel marzo 1948; nello stesso anno il grande campanone, fuso nel 1879 e pesante circa duemila chili, è stato collocato nella cella campanaria del primo piano, dove viene suonato sia a martello che a distesa» – afferma lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Il portale laterale destro, detto anche “del cappero” per la pianta che vi cresceva, è caratterizzato in particolare da un rilievo raffigurante la Vergine con Gesù Bambino e i santi Siro e Romolo, risalente al Cinquecento e proveniente dalla chiesa distrutta di San Mauro a Pian di Nave, mentre l’accesso a sinistra è sormontato da un elemento riutilizzato dall’edificio protoromanico, costituito da un cerchio, costituito da una ruota ad otto raggi, rappresentante il segno liturgico ambrosiano del Chrismon affiancato da due volatili, databile orientativamente all’XI secolo. L’architrave è invece di epoca duecentesca e presenta un grezzo Agnus Dei crocifero, ai cui lati si stagliano delle palme dattilifere, già antico emblema della città. Entrambi i manufatti sono attribuibili a maestranze antelamiche, che hanno realizzato pure i peducci nelle fasce di archetti pensili sui fianchi verso la metà del XIII secolo. Le numerose opere che decorano l’interno sono legate alle diverse fasi ornamentali dell’edificio. Sopra l’ingresso laterale sinistro si trova il busto marmoreo con lapide dedicati al benefattore Giuseppe Morardo e risalenti al 1784. Nell’abside della navata sinistra è collocata invece la statua lignea della Madonna del Rosario, scolpita tra Sei e Settecento sotto l’influenza delle grandi opere in legno del Maragliano, e che sostituisce una tela tardocinquecentesca di Luca Cambiaso. Sulla parete destra è murato un rilievo marmoreo con la Vergine affiancata dai patroni della città san Siro e san Romolo, effigiati secondo una sensibilità compositiva di ispirazione tardogotica espressa con una particolare maestosità. Al di sopra dell’altare maggiore settecentesco si staglia poi il grande Crocifisso ligneo attribuito ad Anton Maria Maragliano (1664-1739), il più celebre scultore del legno attivo a Genova tra Seicento e Settecento» – dichiara lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«La pala del coro, datata al 1548, è stata invece realizzata dal fiorentino Raffaele de Rossi, di cui si hanno notizie in un periodo compreso tra dopo il 1494 e il 1572/73, e che fu uno dei maggiori protagonisti della pittura ligure del primo Cinquecento, dando avvio a una dinastia familiare di pittori residenti tutti a Diano Castello e meglio noti come i “Pancalino”. L’opera, nella quale è rappresentata al centro la figura di san Siro, affiancata a sinistra da quelle dei santi Pietro e Paolo, e a destra dai santi Giovanni Battista e Romolo, è stata interpretata come un espresso attestato di rigorosa osservanza del dogma cattolico contro le spinte disgregatrici del movimento riformatore luterano. In particolare, l’iniziativa di far eseguire il dipinto era partita dal prevosto Stefano Gioffredo e dai canonici Girolamo Gaudo e Giuliano Ballestrero, che il 2 agosto 1534 si erano presentati al Consiglio comunale per proporre all’assemblea di dotare la collegiata di un’ancona degna della chiesa più importante della città. Il 9 luglio di quattro anni dopo il Consiglio affidò quindi ai suoi membri Gio Antonio Rosso, Siretto Nicola, Pantaleone Fabiano e Raimondo Sapia l’incarico di affiancare il preposito di San Siro e i canonici Gaudo e Ballestrero nella conduzione delle trattative con Raffaele de Rossi, che tuttavia avrebbe portato a termine l’opera soltanto dieci anni più tardi. La pala è stata recentemente sottoposta ad un accurato restauro dal laboratorio Nicola Restauri di Aramengo d’Asti sotto la direzione della dottoressa Paola Traversone della Soprintendenza per il Patrimonio Storico e Artistico della Liguria e dello storico dell’arte Antonio Rolandi Ricci, che hanno presentato i risultati del restauro il 13 marzo 2005» – narra lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Nell’abside destra è murato il tabernacolo in marmo con figure a rilievo dell’Angelo, della Vergine, di san Giovanni Battista e di santo Stefano; contrassegnato da elementi decorativi di epoca rinascimentale ricollegabili alla maniera della bottega dei Gagini, il manufatto è databile alla fine del XV secolo. Nella zona absidale è ubicata inoltre una tela risalente al Settecento e raffigurante la Santissima Trinità. L’altare oggi dedicato al Sacro Cuore è contraddistinto da decorazioni di età barocca tipiche del titolo al Santissimo Sacramento. Lungo la navata destra è collocato invece un grande Crocifisso, detto comunemente il “Cristo Nero” e già custodito nell’attiguo oratorio (poi demolito) di San Germano sopra un altare appositamente costruito su progetto del pittore Lorenzo Martini. Il prezioso manufatto, risalente al primo Cinquecento e legato alla Confraternita di San Germano, è stata sempre particolarmente venerato dai fedeli matuziani, che gli hanno da sempre attribuito il potere di salvare la città da tempeste e siccità. All’interno si conserva anche un dipinto del 1651 raffigurante San Bernardo dinanzi alla Madonna, già collocato nel battistero di San Giovanni Battista, assai significativo per il fatto di includere sullo sfondo la più antica rappresentazione di Sanremo. Il 30 marzo 1952 furono solennemente benedetti le nuove balaustre e il nuovo ambone della basilica, realizzati dallo scultore Dante Ruffini di Cremona. L’ambone, ricavato da un blocco unico di marmo durissimo, a forma di parallelepipedo e dal colore avorio antico in modo da non contrastare con il materiale usato per l’erezione della chiesa, risulta scolpito sulle tre facce, in cui sono raffigurati vari episodi evangelici, nei quali predomina sempre la figura di Gesù. Nel 1960 lo stesso Ruffini ultimò le tre acquasantiere marmoree, rappresentanti vicende tratte dalla Bibbia, che furono collocate ai lati del portale principale e delle porte laterali all’ingresso della concattedrale. Nel 1942 era stata invece collocata, lungo le pareti delle due navate laterali, l’artistica Via Crucis, scolpita in legno di tiglio dall’intagliatore livornese Cesare Tarrini, mentre sei anni dopo il pittore cremonese Giovanni Misani realizzò il grande affresco, sovrastante il coro e rappresentante la scena del Discorso della montagna» – comunica lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Una porta di accesso dalla cappella laterale sinistra consente di entrare nell’ampio vano della sacrestia, cui sono collegate le case canoniche dove sono attualmente ospitati gli uffici parrocchiali. Il locale presenta una decorazione dipinta coperta da un intonaco successivo, nella quale si possono tuttavia riconoscere le figure di san Romolo e dei santi Pietro e Paolo, mentre agli angoli si notano gli evangelisti Luca e Marco; gli altri angoli della volta dovevano quindi essere occupati dagli altri due evangelisti Matteo e Giovanni. La decorazione dell’ambiente è stata recentemente attribuita a Maurizio Carrega (1737 – dopo il 1819), mentre la sistemazione definitiva della sacrestia, situata proprio nel punto di collegamento tra le canoniche e le absidi della chiesa, risale probabilmente al 1667, quando fu allungato anche il coro della basilica. Nel corso della sua lunga storia la chiesa di San Siro venne via via insignita di vari titoli testimoni della sua rilevante importanza e del suo cospicuo valore storico e artistico: insigne collegiata nel 1530 (o nel 1584 in base ai documenti dell’archivio parrocchiale), prima collegiata della Diocesi, dopo la cattedrale di Albenga, nel 1731, basilica minore secondo quanto disposto dal breve apostolico emesso da papa Pio XII il 7 ottobre 1947, e infine concattedrale della Diocesi di Ventimiglia-Sanremo per decreto della Sacra Congregazione per i Vescovi del 3 luglio 1975. Il Tesoro di San Siro comprende infine una serie di preziosi oggetti in argento di scuola genovese, quali messali, catini, ostensori e calici, dei secoli XVI-XIX e numerosi paramenti sacri, di notevole rilevanza storica e artistica, mentre l’archivio parrocchiale contiene anche moltissimi appunti relativi alle vicende storiche della città» – espone lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«Di fianco alla concattedrale si ergeva fino al secondo dopoguerra il caratteristico oratorio di San Germano, un edificio legato allo sviluppo dei sodalizi laici con finalità religiose e di mutua assistenza noti come confraternite, che iniziarono a diffondersi anche nell’estremo Ponente ligure a partire dagli ultimi secoli del Medioevo. L’oratorio di San Germano, che originariamente doveva essere un modesto edificio a navata unica destinato alle riunioni e di aspetto tardomedievale, venne completamente ricostruito nel 1636, quando furono anche rinvenuti resti di muri e monete antiche, che attestano la frequentazione della zona già in età romana. Nella seconda metà del Seicento venne poi realizzata una facciata monumentale caratterizzata da un’abbondante decorazione a stucco. Tipici elementi di questa fronte erano in particolare la finestra serliana a tre luci al centro e i pinnacoli ai lati, che contribuivano a rendere ancora più slanciata la struttura» – rivela lo storico sanremese Andrea Gandolfo.

«L’interno dell’oratorio era formato da una sola navata, le cui pareti accoglievano le panche destinate ad essere occupate dai confratelli. Nel giugno 1753 vi si riunì il Parlamento della comunità nel corso della rivoluzione contro Genova; durante tale riunione fu deciso di chiedere l’annessione di Sanremo al Regno di Sardegna, anche se la deliberazione non ebbe seguito per via dell’immediata e drastica reazione da parte delle autorità genovesi. L’edificio subì leggeri danni nel corso dei bombardamenti del 1944, che invece lesionarono la canonica e la cupola del battistero. Nonostante la lieve entità dei danni, fu stabilito di demolire la costruzione, sostituita dall’edificio delle attuali opere parrocchiali, eretto a partire dal 1953 e poi inaugurato nel 1957. All’interno dell’oratorio era conservato un celebre e venerato Crocifisso, portato in processione dai patroni delle navi per invocare la divina protezione contro le tempeste di mare, e, in un’occasione, anche per implorare la pioggia sulle campagne sanremesi afflitte dalla siccità, oltre ad alcune tele raffiguranti soggetti legati a vari episodi della vita di san Germano, poi trasferite, dopo la demolizione dell’edificio, nell’attiguo battistero di San Giovanni Battista» – conclude lo storico sanremese Andrea Gandolfo.