I moti sanremesi del 1848 e la cacciata dei gesuiti: il racconto dello storico Andrea Gandolfo

15 maggio 2022 | 14:53
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I moti sanremesi del 1848 e la cacciata dei gesuiti: il racconto dello storico Andrea Gandolfo

Uno spaccato di Sanremo durante il Risorgimento

Sanremo. Il tradizionale appuntamento con la puntata di storia locale di questa settimana del dottor Gandrea Gandolfo ci porta in uno spaccato della storia di Sanremo, durante il Risorgimento: i moti accaduti del 1848 e la cacciata dei gesuiti dalla città nella stessa occasione.
Ecco dunque il racconto dello storico sanremese

La notizia della promulgazione dello Statuto aveva scatenato intanto una serie di sommovimenti popolari, e anche nel circondario di Sanremo si verificano alcuni tumulti. Il 12 marzo 1848 si ebbero dei disordini a Badalucco. In una relazione della Sottoprefettura si legge: “Una moltitudine di uomini, ieri sera, si portarono a cantare sulla porta di questo signor Parroco: ‘Sorgete italiani! E gridando: ‘Abbasso i gesuiti!’. Il popolo chiede anche la destituzione del detto parroco”. Quest’ultimo, ritenendo istigatore della sommossa il segretario comunale, fece sottoscrivere ad alcuni contadini una petizione affinché questi venisse privato dell’impiego. All’intendente di Sanremo giunsero da ogni parte lettere di spiegazioni e di accuse. Intervenne anche il vescovo di Ventimiglia Lorenzo Biale, di idee retrive e simili a quelle del suo collaboratore. “Lo conosco per soggetto savio e prudente – scrisse in favore del parroco – e l’unica cosa non lodevole in esso sarebbe la firma apposta per l’amozione del segretario, che si portò per primo a minacciarlo alla porta della canonica e diè principio all’istigazione”. L’intervento della forza pubblica fece rientrare senza problemi l’agitazione di Badalucco. Anche nel comune di Taggia, a qualche giorno di distanza, i cittadini inscenarono una manifestazione e, al canto degli inni nazionali, si presentarono al sindaco per chiedere la destituzione del “postiere” Vivaldi, il quale “non voleva che nel di lui ufficio si fermassero a sentir leggere i pubblici fogli, mentre di questi tempi tutti desiderano sentire le notizie”. Nella vicina Ventimiglia, il 17 marzo, avvenne una sollevazione popolare con ingiurie al vescovo Biale. Il sindaco – sollecitato dall’intendente di Sanremo – minimizzò peraltro i fatti, scrivendo che “la popolazione è solamente indignata contro il comandante della Compagnia perché ha intimato silenzio a dei ragazzi” e precisò che la voce malignamente sparsa… a pregiudizio della città”, dipendeva probabilmente dal fatto che l’agitazione si era verificata proprio di fronte all’episcopio.

Dopo la nomina del primo ministero costituzionale, presieduto da Cesare Balbo, venne varata la nuova legge elettorale il 17 marzo 1848 ed emanata un’amnistia politica e una legge sulla stampa che aboliva la censura preventiva. Il 24 marzo il governatore di Nizza informava l’intendente di Sanremo che, con decreto del 18 marzo, era stata concessa piena amnistia e riabilitazione a tutti i sudditi condannati per motivi politici prima della pubblicazione dello Statuto, invitando nello stesso tempo il funzionario a favorire il rimpatrio di tali soggetti. Intanto, il 2 marzo, il governo aveva deciso l’espulsione dal territorio del Regno di tutti i gesuiti, anche in seguito a una violenta campagna propagandistica antigesuitica orchestrata, tra gli altri, dall’abate Vincenzo Gioberti, che, tra il 1846 e 1847, aveva pubblicato un’opera in cinque volumi, Il Gesuita moderno, dai toni accesamente polemici verso la Compagnia. Secondo lo storico sanremese Michele Costanzo Astraldi, i gesuiti non erano benvisti dalla popolazione perché “con ogni sollecitudine si adoperavano in sul bel principio a ridurre nelle loro mani la educazione della gioventù, e così trasfondere nei teneri cuori idee di superstizione, di egoismo, di servitù”. Fino a un certo punto, però, i rapporti tra i gesuiti e le autorità locali si mantennero buoni, tanto che, in occasione dei festeggiamenti per il Capodanno del 1847, i consiglieri comunali di Sanremo presenziarono numerosi alle sacre funzioni che si tennero presso la chiesa di Santo Stefano. Ben presto i sentimenti popolari si tramutarono anche a Sanremo in un’aperta ostilità nei confronti della Compagnia di Gesù, soprattutto dopo i moti antigesuitici che si erano verificati a Torino e a Genova. Sintomi di freddezza tra i gesuiti e l’amministrazione comunale apparvero già nel giorno di Capodanno del 1848, quando i consiglieri, a differenza del solito, non vollero recarsi alle funzioni religiose celebrate dai gesuiti in Santo Stefano, suscitando le vibrate proteste dell’intendente di Nizza. La situazione sarebbe precipitata tra il 1° e il 2 marzo, quando alcuni sanremesi, capeggiati da un genovese di nome Vignolo, impiegato negli uffici della locale dogana, si radunarono presso l’albergo della Palma e inscenarono una dimostrazione antigesuitica. Ma le autorità di pubblica sicurezza, conoscendo i sentimenti filogesuiti del governatore di Nizza Gerbaix de Sonnaz, decretarono l’immediato allontanamento del Vignolo il 3 marzo; dopo la partenza del capo della rivolta, sembrò che la situazione fosse tornata calma, anche perché i gesuiti avevano manifestato l’intenzione di abbandonare volontariamente la città. Ma il 4 marzo, quando si diffuse la notizia che quest’ultimi avevano deciso di rimanere, si acuì improvvisamente il malcontento della gente, già irritata per l’allontanamento di Vignolo. Il sindaco Roverizio adottò allora una serie di misure di sicurezza facendo raddoppiare la guardia e disponendo che i soldati del presidio militare rimanessero in caserma pronti ad intervenire in qualsiasi momento. Nella notte del 5 marzo accadde però un fatto che fece precipitare la situazione: alcuni cittadini affissero all’albo pretorio comunale un proclama contro i gesuiti, accusati di fare propaganda, soprattutto tramite la confessione. Il proclama, che faceva allusione alla liberalità di Pio IX, si chiudeva con queste parole: “Sanremesi, gridiamo col Nono Pio, muojano i gesuiti: con Noi è Dio”.

Dopo questa ennesima azione intimidatoria, alcuni padri decisero di andarsene volontariamente, mentre altri vollero restare ancora, mentre le autorità, non potendo impedire qualche chiassata proprio davanti alla chiesa di Santo Stefano, ordinavano lo stesso 5 marzo lo sgombero degli ultimi padri rimasti in sede. Le chiavi del convento vennero consegnate al sindaco, mentre quelle della chiesa furono affidate al canonico Angelo Rodi. Ma la popolazione non cessava di inveire contro gli odiati membri della Compagnia: il divieto imposto dalle autorità di portare maschere per il carnevale rappresentò un’occasione per inscenare nuove manifestazioni contro i gesuiti. Sotto le finestre delle case dove erano ospitati dei gesuiti, ad esempio quella del negoziante Bottino, si verificarono dei tumulti. Per tutto il 1848 e il 1849 sarebbe stata molto viva la preoccupazione da parte degli amministratori comunali di conoscere la residenza degli appartenenti della Compagnia: alcuni risultavano misteriosamente assenti dalle loro abitazioni. Nel mese di giugno creò una certa apprensione la presenza in città di padre Luigi Mattioli, un gesuita della residenza sanremese che venne subito espulso per evitare disordini. Il 12 giugno lo stesso padre Mattioli così avrebbe descritto le tristi giornate della cacciata dei gesuiti da Sanremo al superiore generale dell’Ordine: “Nella domenica di quinquagesima, 5 dello scorso marzo, circa l’ora di vespro, uscimmo dalla Casa di S. Stefano, ed io fui il primo a partire; gli altri dopo di me, e usciti non fu più possibile di rivederci. Io fui accolto nella casa di un mio buon penitente, ma vi stetti tre soli giorni, a motivo del gran rumore che la notte dell’ultimo giorno di carnevale si fece alla porta di questo signore. La sera poi del mercoledì delle ceneri, verso le 10 della sera, venni trasportato all’ospedale di questo luogo e racchiuso con chiave in una stanza miserabilissima come prigione. Vi passai cinque giorni, interdetta qualsiasi comunicazione. In quei giorni mi andavo consolando parte col divino uffizio, parte colla meditazione. Finalmente piacque a Dio di liberarmi, e fui di notte tempo trasportato da due canonici di questa collegiata nella casa di Francesco Parodi… Mai potei uscir di casa, mai entrar più in S. Stefano. Ebbi la gran sorte di celebrare la santa messa il 24 aprile, giorno secondo della santa Pasqua”.

Al momento della cacciata dei gesuiti, la residenza sanremese contava tredici padri, tra cui i due fratelli Domenico e Benedetto Arnaldi, che tornarono a Castellaro e Gio Antonio Cassini, che rientrò a Perinaldo, dove era nato. Richiesero la secolarizzazione solo Francesco Saverio Gastaldi di Penna e Giovanni Battista Lombardi di Terzorio; la rifiutarono invece i sanremesi Giovanni Carli, i fratelli Antonio e Giuseppe Carli e Stefano Ghersi. Vi erano poi alcuni chierici e confratelli, uno dei quali, vecchio e cieco, fu ricoverato nell’ospedale di Sanremo. In tutto sarebbero rimasti nelle proprie case sette padri e due fratelli, ad eccezione di padre Mattioli e il fratello degente all’ospedale. Dovevano tutti usare sempre molta precauzione e appena riuscivano a farsi visita a vicenda. Quando, a metà maggio, giunse da Torino un altro fratello, “per sospetto che si ordiscano congiure da noi contro lo Stato – riferiva padre Carli il 12 giugno – ci si aprono le lettere a noi dirette, si spiano i nostri passi, ci vietano di visitarci l’un l’altro, ed io perché un dì mi recai a restituire la visita all’ottimo Cav. Luigi Stella, poco mancò che non si mettesse a rumore il vicinato e fossi condotto in arresto al corpo di guardia. Qui, grazie al Cielo, tutti sono più che mai lieti e contenti di aver dato a Dio questa piccola prova di fedeltà alla loro vocazione, nonostante che tutti, chi più chi meno, siano per questo costretti a soffrire molti disagi e privazioni. Alcuni, in ispecie, scarseggiano tanto di mezzi per sopperire ai loro bisogni, che non hanno il necessario a provvedere vesti da inverno”. Intanto, il 21 giugno, il generale Gerbaix de Sonnaz si vide costretto ad emanare l’ordine “di avvertire i vari soggetti appartenenti all’Ordine Gesuitico che trovansi in cotesta Città loro patria, che le congreghe sono proibite, che Essi non debbano tenere corrispondenza coi loro correligionari di Estero Dominio, né conferire tra di Essi, che non devono mostrarsi in pubblico che per il puro bisogno e vestire l’abito del Prete. Fu anche interdetto ai gesuiti di impartire il sacramento della confessione. In seguito alla loro cacciata da Sanremo, il governo piemontese provvide anche all’incameramento dei beni mobili e immobili della Compagnia con un decreto emanato il 25 agosto 1848. Dopo l’abolizione delle leggi antigesuitiche volute da Carlo Alberto, i gesuiti sarebbero tornati a Sanremo nel 1879, mentre avrebbero ripreso possesso della loro storica residenza di Santo Stefano soltanto nel 1907.

Dopo la cacciata dei gesuiti nel 1848, l’abate Antonio Amoretti, che, a causa delle sue idee liberali, aveva dovuto subire la persecuzione dei gesuiti, che lo avevano destituito dalla carica di docente presso il Collegio civico di Sanremo nel 1839 in quanto “sospetto di non presentare sufficienti guarentigie per l’istruzione della gioventù”, fu riabilitato e promosso, nel mese di marzo, prefetto degli studi e professore di belle lettere al Collegio di Nizza. Il 4 ottobre 1848 venne nominato regio visitatore nelle scuole secondarie della Liguria e, quindi, con decreto del 2 gennaio 1849, regio provveditore agli studi per la Provincia di Sanremo. Negli anni successivi si impegnò attivamente per favorire l’istituzione a Sanremo di un asilo infantile, caldeggiato anche dal sindaco Pietro Rambaldi Merani, che sarebbe stato inaugurato nel 1853 con un discorso dello stesso Amoretti. Nello stesso tempo si battè anche per la regificazione delle scuole classiche esistenti in città. Nel 1854 gli venne offerta la cattedra di Eloquenza italiana e latina all’Università di Genova, ma egli rifiutò la proposta per non dover lasciare la sua città natale. Colpito da una grave malattia agli occhi che in breve lo avrebbe portato alla completa cecità, nel febbraio 1857 fece domanda di potersi ritirare a vita privata. Il governo accolse la domanda e lo insignì del titolo di cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Antonio Amoretti si spense a Sanremo, all’età di 78 anni, il 18 febbraio 1870.