Taggia, il convento dei domenicani accoglie i primi profughi: «In Ucraina abbiamo lasciato una situazione spaventosa»
Quarantanove posti letto per le famiglie fuggite dalla guerra. Organizzazione impeccabile basata sul volontariato
Taggia. «Parlare di quello che succede è troppo difficile. La situazione che abbiamo lasciato? E’ spaventosa». Hanno ancora negli occhi l’orrore dal quale sono fuggiti, i primi profughi arrivati al convento dei domenicani di Taggia. Sono due donne con i loro figli, giunte in auto da Kiev, capitale dell’Ucraina invasa dai russi. Stanno bene, ma hanno un solo desiderio: «Tornare nel nostro Paese, lì c’è la nostra casa». Qui, in Italia, non erano mai venute prima d’ora e non hanno parenti né amici: a 2 mila chilometri di distanza le bombe che le hanno messe in fuga stanno devastando la loro patria.
«Guardate – dice una donna mostrandoci il suo telefonino – Queste sono le sirene, gli allarmi che avvisano la popolazione di possibili bombardamenti su Kiev». Almeno una volta all’ora arriva una segnalazione e chi è rimasto a casa corre a nascondersi dove può. Al convento dei domenicani di Taggia ci sono don Alessandro e Francesco ad organizzare l’accoglienza. Quarantanove i posti letto totali allestiti per le famiglie in fuga dalla guerra. Al momento i profughi sono solo sei ma entro la serata il numero salirà a venti. Nei prossimi giorni la struttura sarà al completo.
«Attendiamo una famiglia che è guarita dalla tubercolosi e che ha già fatto tutta la prassi per essere ospitata qui – spiega don Alessandro -. Le famiglie sono composte da donne con bambini, a parte un uomo molto anziano che sta per arrivare». Gli uomini maggiorenni e in salute non possono lasciare l’Ucraina: devono combattere contro l’invasione russa. Sulle differenti stanze del convento, a pochi passi dal centro storico tabiese, ci sono indicazioni in lingua ucraina: «Servono per far orientare le persone», spiegano gli organizzatori. La cucina, il refettorio. Tutto è ordinato e funzionale. In una stanza sono raccolti gli indumenti, divisi per età e taglia. In un’altra gli alimenti a lunga conservazione.
A lavorare, incessantemente, un esercito di volontari: «La Provvidenza ci ha mandato qui tanti angeli che servono il prossimo», dice il sacerdote. Ci sono medici volontari, persone che cucinano, mediatrici linguistiche e persino un elettricista che ha risposto alla richiesta degli organizzatori formulata sulla chat whatsapp creata per l’accoglienza. Nel chiostro del convento ci sono giochi per i più piccoli: tricicli, bici, palloni e pennarelli. Un luogo di pace e di svago per allontanare i bambini dalle immagini terribili che hanno visto in Ucraina.
«Le notizie che diffondono i russi sono false – dice un’altra mamma -. Io ho assistito a scene con i miei occhi, sono cose che ho visto proprio io. Poi ho letto la notizia russa ed era falsa, era un’altra cosa». Come in tutte le guerre, le informazioni divulgate fanno parte della strategia utilizzata dai governi per imbonire il proprio popolo. Per Putin, è risaputo, non c’è nessuna guerra in Ucraina: si tratta di un’operazione militare. E chi dice (o scrive) il contrario, finisce in carcere.
Le foto scattate dai profughi prima di partire raccontano un’altra storia: le bombe colpiscono i civili e mietono vittime. Chi può scappa, nella speranza che l’incubo finisca presto e si possa tornare a casa. Nel frattempo la provincia di Imperia si è mobilitata per aiutare il più possibile i profughi. A Taggia, al momento, c’è il centro di accoglienza più grande: quello del convento dei domenicani, appunto. Trattandosi di un’accoglienza organizzata dalla chiesa, non manca l’attenzione all’aspetto spirituale: «Due sacerdoti ucraini, uno cattolico-romano e l’altro greco-cattolico, verranno qui a celebrare la messa», spiega don Alessandro. Nei prossimi giorni, agli ospiti verrà data la possibilità di vivere una vita “quasi” normale: potranno cucinarsi i pasti, inserirsi nella società e mandare i loro bimbi a scuola. Un modo per ricominciare a sperare lontano dalle sirene, dagli spari, dalle bombe e dalla morte.