Sotto il ponte di Roverino, dove le porte dell’Europa sono quelle dell’inferno

31 marzo 2022 | 17:32
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Il centro di prima accoglienza rimane un miraggio. Scullino: «Siamo in attesa di una risposta del Ministero»

Ventimiglia. C’è chi dorme avviluppato dentro un sacco a pelo trovato chissà dove; chi prega inginocchiato su un tappeto e chi si scalda davanti a un braciere acceso contro il freddo tornato prepotente negli ultimi giorni. Sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia, sul greto del fiume Roja dove i cittadini portano i propri cani a fare i bisogni, vive un gruppo di persone fuggite da paesi lontani in cerca di una vita migliore in Europa. Un sogno, il loro, che si è scontrato contro la dura realtà di un’Europa capace di dare accoglienza, assicurare dignità e decoro solo sulla carta.

«Sono qui da una settimana – racconta un ragazzo eritreo – Se ho provato ad andare in Francia? No, non ancora, ho paura». Ieri, dice, «qui è venuta la polizia. In tanti sono scappati, tutti gli altri sono stati portati in caserma. Ci hanno preso le impronte e ci hanno dato un decreto di espulsione». Non vuole apparire in video e nemmeno parlare al microfono: racconta tutto, ma con la promessa di non essere ripreso. Così come lui, sono i compagni di viaggio approdati sulle sponde di un fiume di cui, probabilmente, non conoscevano neppure il nome. Un confine invalicabile, quello con la Francia, ormai da sei anni, da quando il trattato di Schengen è stato sospeso dai francesi.

«Rispetto al mese di febbraio e alla prima metà di marzo sono aumentati i flussi – dichiara Jacopo Colomba (We World) -. Se prima avevamo circa 40 respingimenti al giorno oggi ne abbiamo il doppio, un’ottantina. I flussi sono ripartiti, come era facilmente prevedibile, con l’arrivo della primavera. Incontriamo nazionalità piuttosto varie: sudanesi, eritrei, pachistani, afgani, ma anche siriani e curdi». Nelle ultime due settimane, in particolare, la casa di accoglienza fornita da Caritas e Diocesi ha accolto diverse famiglie siriane: «Era tanto che non ne vedevamo», sottolinea Colomba.

Due gli accampamenti che si sono formati in città: una tendopoli davanti alla Caritas e una sotto il cavalcavia di Roverino.

«Le condizioni igieniche sono devastanti e non c’è nessuna presa in carico istituzionale – aggiunge Jacopo Colomba -. Anche quei pochissimi che decidono di chiedere asilo in Italia devono aspettare circa un mese e mezzo per avere un appuntamento e poter formalizzare la propria domanda, per essere quindi inseriti nel sistema di accoglienza». In quel periodo devono vivere per strada, alla mercé di passeur e altri stranieri spregiudicati.

Le cose si sono complicate con la guerra scoppiata in Ucraina. «L’accesso alla protezione internazionale è diventato più lento perché l’ufficio immigrazione della questura è sotto organico e ha dovuto impiegare degli operatori specifici per garantire canali preferenziali veloci agli ucraini che domandano protezione», spiega Colomba. E non è tutto: da febbraio sono circa settanta le persone in fuga dall’Ucraina respinte dalla Francia: si tratta di stranieri che si trovavano nel paese attaccato da Putin e avevano un permesso di soggiorno per lavoro o per studio. Per loro le frontiere della Francia restano irrimediabilmente chiuse. «I cittadini ucraini passano tranquillamente, mentre gli stranieri in fuga dall’Ucraina sono trattati alla stregua degli altri migranti da parte della polizia francese – dice l’attivista di We World -. In particolare modo abbiamo incontrato studenti marocchini, studenti bengalesi, e famiglie di nigeriani che erano in Ucraina con permessi di lavoro o studio e che sono stati respinti perché la Francia ha deciso di non equiparare la situazione dei cittadini ucraini a quella degli stranieri in fuga dall’Ucraina con permessi di soggiorno per lavoro o studio».

Ma che fine ha fatto la promessa di realizzare un centro di accoglienza, un punto di ristoro, per assicurare dignità ai migranti? «Siamo in attesa di una risposta del Ministero», spiega il sindaco Gaetano Scullino. Il Comune ha mandato il progetto per un campo alla Prefettura di Imperia, che a sua volta l’ha inviato a Roma. Da quel momento il nulla. «Gli arrivi stanno aumentando – aggiunge Scullino – E questa povera gente vive sotto un ponte, è inaccettabile».

Sotto il ponte incontriamo anche un ragazzo somalo di circa vent’anni. «Non voglio andare in Francia – ci racconta – Ho fatto richiesta d’asilo in Italia». E ce lo dimostra, facendoci vedere la copia di un documento. C’è scritto che vive a Triora. Allora gli chiediamo come mai viva per strada: «Bevo troppo, mi hanno mandato via. Ma se non bevo sto male». E allora beve, il ragazzo, beve seduto su un letto di stracci in mezzo alla sporcizia. «Perso per l’inferno», dice alzando la bottiglia di birra. Il suo inferno di emarginazione e solitudine.