L’archeologo Carlo Fea era originario di Buggio: il racconto dello storico Andrea Gandolfo

19 marzo 2022 | 07:02
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L’archeologo Carlo Fea era originario di Buggio: il racconto dello storico Andrea Gandolfo

Il collezionista d’arte che operò soprattutto a Roma nacque nella frazione di Pigna

Sanremo. Il tradizionale appuntamento con la storia a cura dello storico sanremese Andrea Gandolfo questa settimana è dedicato alla figura di Carlo Fea, un archeologo e collezionista d’arte originario di Buggio, frazione di Pigna, che operò soprattutto a Roma.

Ecco dunque il racconto dello storico Andrea Gandolfo sulla vita di Carlo Fea: «Carlo Domenico Francesco Ignazio Fea nacque a Pigna, allora appartenente alla contea di Nizza, il 4 giugno 1753, da Giuseppe e da Margherita Guarini. Compì i suoi primi studi a Nizza, dove frequentò il ginnasio e il liceo. Proseguì quindi gli studi universitari a Roma presso il Collegio Romano e la Sapienza, ove frequentò assiduamente le lezioni di storia romana del vallombrosano Rodesino Andosilla. Laureatosi in legge nel 1776 e proseguiti gli studi di diritto con Francesco Mazzei, fu annoverato tra gli avvocati della Curia romana, ma, essendo ben presto attirato dalla passione per le antichità, non esercitò a lungo l’avvocatura. Nel 1781 fu ordinato sacerdote. Una svolta decisiva nella sua carriera avvenne nel 1783, quando il principe Sigismondo Chigi lo nominò assistente del suo bibliotecario Ennio Quirino Visconti, per consentire a quest’ultimo di dedicarsi ai propri studi. Ciò rappresentò la fortuna di Fea, che ottenne così, al tempo stesso, un impiego intellettuale con enormi mezzi a disposizione e un potente mecenate».

«Nel 1781 Fea aveva scoperto a Roma, sull’Esquilino, la statua del Discobolo, che ricorda la celeberrima statua bronzea di Mirone, perduta. Curò l’edizione e il commento della traduzione italiana della Storia dell’arte nell’antichità di Johann Joachim Winckelmann, e di alcuni lavori postumi dell’erudito e antiquario Giovanni Lodovico Bianconi (Descrizione dei circhi, particolarmente di quello di Caracalla e dei giochi in esso celebrati, 1789). Tra le sue opere originali, Miscellanea filologica, critica e antiquaria e Descrizione di Roma. Per motivi politici dovette rifugiarsi a Firenze: di ritorno a Roma nel 1799, fu imprigionato con l’accusa di giacobinismo dall’esercito dei Borbone di Napoli, che aveva occupato Roma mettendo fine alla Repubblica. Nominato nel maggio 1801 direttore del Museo Capitolino e commissario delle Antichità di Roma, sotto il dominio napoleonico venne subito liberato e nominato nuovamente commissario delle Antichità e inoltre bibliotecario presso il principe Chigi. Continuò il lavoro di commissario anche nel periodo successivo, nel corso del pontificato di Pio VII e poi fino alla morte nel 1836. Si occupò di razionalizzare la legislazione sul commercio in antichità e sugli scavi archeologici, e intraprese opere di scavo al Pantheon e al Foro romano. Fu uno dei protagonisti dell’opera di rientro a Roma, a partire dal 1809, delle opere sequestrate dai francesi durante il periodo precedente: in particolare, propugnò la ricollocazione delle opere nei loro contesti originali, all’interno di chiese e monumenti, anziché il loro utilizzo in musei pubblici d’ispirazione europea, sul modello di quelli francesi o inglesi dell’epoca. Carlo Fea si spense a Roma il 18 marzo 1836. A Roma gli è stata intitolata una via, mentre a Pigna gli è stata dedicata la piazzetta dove è situata la sua casa natale, ricordata con una lapide apposta dal Comune» – racconta Andrea Gandolfo.