“La musica che unisce”, a Sanremo il concerto per la pace della coppia di violinisti russo-ucraina

Sulla damnatio memoriae nei confronti della Russia: «E’ come se per protestare contro la Germania di Hitler non dovessimo più suonare Schubert, Brahms o Bach oppure leggere Nietzsche»
Sanremo. Lei, Ksenia Milas, è russa: nata a Volgograd e cresciuta a San Pietroburgo. Lui, Oleksandr Semchuk, è ucraino di Ivano-Frankivs’k, la città dal cui aeroporto è partita la rappresaglia russa. Sono i due violinisti, marito e moglie, che sabato si esibiranno al teatro del Casinò di Sanremo nel concerto “La musica che unisce“: titolo di una campagna per la pace, che parte proprio da Sanremo.
«Viviamo a Imola, ma siamo spesso in giro per l’Italia e per l’Europa. Insegniamo anche in diverse accademie», ha dichiarato Milas all’agenzia Ansa.
Parlando della guerra, la coppia spiega: «Le tensioni c’erano da anni ed era difficile dare torto o ragione a qualcuno. Come in Italia ci sono destra e sinistra, da noi ci sono filo russi e filo ucraini».
L’annuncio di Putin che annunciava “un’operazione militare” (come l’ha definita) in Ucraina «ha creato molta preoccupazione – afferma Ksenia – soprattutto in mio marito che ha parenti in diverse parti dell’Ucraina. Senza contare che il primo bombardamento ha coinvolto l’aeroporto della sua città natale». «É stato tutto così improvviso – aggiunge Oleksandr -. Il primo bombardamento, la notte del 24 febbraio, è avvenuto vicino casa della mia sorellastra, che ha visto bombardare l’aeroporto dalla finestra e mi ha subito chiamato. É una situazione difficile dal punto di vista umano. Entrambe le nostre famiglie hanno subito la repressione durante il regime sovietico. I miei nonni sono stati da una parte fucilati e dall’altra deportati in Siberia. Stesso discorso per mia moglie».
E’, dunque, difficile prendere posizione? «E’ una tragedia da entrambe le parti – prosegue Ksenia -. La guerra porta via tante vite e la tranquillità. In Ucraina la situazione è tragica: muoiono i civili e abbattono i monumenti, che testimoniano la loro storia e la loro cultura. Parliamo di due popoli fratelli: molti russi, infatti, hanno parenti in Ucraina e viceversa. I miei nonni, ad esempio, erano di Odessa e di Kyiv, ma io sono russa».
Un messaggio a Putin e Zelensky? «La guerra è il mezzo sbagliato – afferma Ksenia -. L’odio produce altro odio ed è necessario trovare un accordo di pace». Per Oleksandr: «Noi siamo un esempio di amore, ma tra due Stati è fondamentale il dialogo e ciò doveva avvenire in modo civile».
Putin e il suo esercito, tra l’altro, non rappresentano la volontà di tutto il popolo russo. «Alcuni miei amici di San Pietroburgo sono usciti per pochi minuti in strada, mostrando un cartello per la pace e sono stati arrestati – spiega Ksenia -. La maggior parte dei russi è contro la guerra. Come anche tanti soldati che stanno morendo e le loro famiglie, mogli e madri, che riceveranno dal governo, la lettera che annuncia la morte dei loro mariti o figli». E aggiunge: «Molti di loro sono stati mandati al fronte, pensando che si trattasse di una esercitazione e neppure sapevano di trovarsi in Ucraina. Si vede da alcuni filmati, che sono confusi e spaesati. Molti hanno abbandonato le armi, perché non vogliono sparare agli ucraini. Nessun popolo e nessun Paese può essere diviso o invaso dall’altro: la Russia è già talmente grande, andrebbe gestita meglio, anziché ingrandita». Ksenia e Oleksandr si recheranno, a breve, al confine con la Polonia per accogliere alcuni familiari in fuga. «Alcuni parenti di mio marito saranno ospitati in Polonia, altri li porteremo a casa con noi».
Nel mondo si sta propagandando un sentimento anti-russo, che porta a boicottare la storia e la cultura di tutto il Paese. «Chi insulta il popolo russo o cerca di cancellare tutto ciò che è stato creato in passato, ritengo sia fuori di testa, oltre che ignorante. Non è questa la soluzione», afferma Ksenia. Per Oleksandr: «Sì alle posizioni forti contro quei pochi intellettuali, che si sono schierati con Putin, ma nei confronti di tutti gli altri è sbagliato. E’ come se per protestare contro la Germania di Hitler non dovessimo più suonare Schubert, Brahms o Bach oppure leggere Nietzsche».