Omicidio Amoretti, l’ex gioielliere ucciso da dodici colpi di mazzetta: la ricostruzione del delitto in aula

16 dicembre 2021 | 11:42
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Omicidio Amoretti, l’ex gioielliere ucciso da dodici colpi di mazzetta: la ricostruzione del delitto in aula

Ricostruito davanti alla Corte di Assise l’assassinio del 76enne

Imperia. «Ho potuto ipotizzare che fossero stati sferrati almeno dodici colpi, di cui cinque dotati di particolare energia, tale da andare in profondità e provocare lesioni interne. Il tempo necessario per arrivare al decesso è stimabile tra i 5 e i 10 minuti dall’inizio dell’azione lesiva». E’ quanto dichiarato dal dottor Andrea Leoncini, medico legale che il 6 agosto del 2020 eseguì l’esame autoptico sulla salma di Luciano Amoretti, ex gioielliere 76enne di Sanremo ucciso nella sua abitazione in via Garibaldi il primo agosto del 2020.

Il medico legale è uno dei tre testi sfilati stamani davanti alla Corte d’Assise e al pubblico ministero Francesca Bugané Pedretti per il processo che vede imputato Mario Bonturi, 64 anni, accusato di aver ucciso a colpi di “mazzetta” il gioielliere.

A ricostruire l’attività investigativa che ha portato all’arresto di Bonturi, è stato il vice ispettore del commissariato di Sanremo Fabio Di Flumeri. Il poliziotto ha raccontato raccontato di quanto accaduto a partire dal 2 agosto 2020, quando la pattuglia della squadra volante del commissariato di Sanremo è intervenuta in via Garibaldi, dove era stata inviata per la presenza di un cadavere. A chiamare la polizia era stata la figlia della vittima, che poco prima aveva trovato il padre morto nel soggiorno-cucina dell’appartamento. Viene raccolta la testimonianza della figlia di Luciano Amoretti e dei vicini di casa. A quel punto si passa alla visione delle telecamere, iniziando da quelle private dell’hotel Alexander, nei pressi del condominio dove abitava Amoretti. «Dalle immagini dell’hotel – dice il testimone – Vediamo che alle 21 del 1 agosto, attraverso il cancello pedonale che porta al condominio, il signor Amoretti entra in compagnia di un altro individuo». Un uomo che inizialmente è sconosciuto agli inquirenti, ma che si rivelerà poi essere Bonturi. «Ha circa 65 anni, i capelli bianchi, una maglietta nera con la scritta Influencer sul dorso, pantaloni senape e infradito – dice Di Flumeri – Notiamo che guardando in direzione dell’albergo, vedendo le telecamere, mette una mano davanti al volto». Dopo alcuni minuti, alle 21,30 circa, l’uomo esce dal cancello, coprendosi nuovamente il viso, questa volta, spiega il vice ispettore, «con un porta documenti in plastica che poi noi abbiamo rinvenuto nella sua macchina in seguito alla perquisizione».

Le indagini proseguono con l’acquisizione del numero di telefono di Luciamo Amoretti. Dai tabulati telefonici emerge che poco prima delle 21, Amoretti era stato chiamato da un numero di telefono che si scopre essere in uso a Mario Bonturi. Contemporaneamente, con un accertamento presso la Motorizzazione Civile, gli agenti acquisiscono la foto della patente dell’uomo: «La somiglianza tra il soggetto che entrava e usciva dalla casa di Amoretti e Mario Bonturi era evidente», dice Di Flumeri.

I movimenti di Bonturi, giunto a Sanremo da Nizza Monferrato, vengono ricostruiti in modo minuzioso attraverso le telecamere cittadine. Le immagini della videosorveglianza mostrano Bonturi a Sanremo alle 19,40. E’ alla guida di una Volvo nera in compagnia di un altro uomo (Giuseppe Diotti). Lo si vede in via San Francesco, in via Roma, poi nei pressi della vecchia stazione, dove parcheggia. A piedi, i due, raggiungono e percorrono via Matteotti e poi si fermano al bar Astra per diversi minuti. Poi tornano, a piedi, dalla vecchia stazione. «Camminano avanti e indietro come fossero in attesa – ricorda il vice ispettore -. In quei momenti Bonturi è al telefono. Questa telefonata è compatibile con la chiamata che Amoretti riceve alle 20,50. Dopo qualche minuto arriva Amoretti con la sua Mercedes e Bonturi sale in auto con lui. Li riusciamo a seguire con le telecamere fino a via Garibaldi».

La busta di plastica trasparente con la quale il presunto killer dell’orefice si era coperto il volto per nasconderlo dalle telecamere, viene trovata poi nell’auto di Bonturi. Sulla busta, contenente alcune pietre preziose (rubini), gli inquirenti trovano tracce ematiche che, come appurato dalle indagini forensi, risultano essere di Amoretti.

Nel corso dell’udienza, è stato ascoltato anche il sostituto commissario Maurizio Toso, in servizio presso squadra mobile di Sanremo, che ha ricostruito l’attività investigativa che ha portato all’identificazione di Mario Bonturi. Il racconto è molto simile a quello del suo collega, ma si arricchisce di alcuni dettagli: «Prima di lasciare Sanremo, Bonturi si era cambiato – racconta Toso – Infatti dalle telecamere si vede un abbigliamento diverso dell’uomo, che prima indossava indumenti particolari, come i pantaloni lunghi color senape, e poi una maglia grigia e un pantalone scuro. Probabilmente si era anche parzialmente lavato in una fontana. Ma dagli accertamenti forensi, è emerso che anche su questi nuovi capi di abbigliamento, c’erano tracce di dna riconducibili alla vittima».

Poi l’arma del delitto: una mazzetta lanciata dal presunto killer in un fiume, esposta alle intemperie. Un oggetto molto simile ad altri da lavoro trovati nell’abitazione di Amoretti.
Subito dopo l’omicidio, inoltre, Bonturi inizia a fare ricerche su internet su eventi delittuosi o omicidi «prima ancora che la notizia venisse riportata dagli organi di stampa», racconta Toso, che aggiunge: «Quando poi, intorno alle 11, esce la prima notizia sull’omicidio a Sanremo, Bonturi stacca uno dei suoi telefoni, probabilmente per eludere le intercettazioni». Il solo nome di battesimo dell’assassino, viene sentito da alcuni vicini: nel corso della lite tra i due uomini, prima del delitto, si sente Amoretti gridare “Mario”.

Ultimo testimone a sfilare in aula è stato il medico legale Andrea Leoncini, che nel corso dell’autopsia eseguita il 6 agosto 2020 presso l’obitorio dell’ospedale di Sanremo, ha rilevato che «la salma aveva lesioni su capo, lacerazioni al cuoio capelluto, fratture multiple della teca cranica e lesioni interne. Lesioni che possono essere identificate come causa del decesso. Accanto a queste lesioni, ho rilevato anche traumi più lievi: contusioni ed ecchimosi a livello della spalla destra, del polso destro e della mano sinistra. Anche ferite su mano destra, indice di trauma di schiacciamento». Lesioni, queste ultime, che «sono compatibili con traumatismi derivati da una colluttazione». «Per quanto riguarda le lesioni – ha aggiunto il medico legale – Ho potuto evidenziare che avevano caratteristiche tali da essere prodotte da un corpo contundente ed erano traumi di energia molto elevata. Mi sono potuto esprimere sul tipo di mezzo (la mazzetta, ndr) in termini di compatibilità, sia per il tipo di lesioni che per la sede dove sono state individuate: era state provocate da un corpo contundente di forma quadrata, perché le linee erano tutte regolari, e con un lato di circa 3 o 4 centimetri, perché alcune lesioni avevano forma che poteva portare a questo tipo di conclusione. Ho potuto ipotizzare che fossero stati sferrati almeno dodici colpi, di cui cinque dotati di particolare energia da andare in profondità e provocare lesioni interne». Una furia omicida, quella che ha ucciso il gioielliere, morto in una decina di minuti dal momento dell’aggressione.

Terminata l’istruttoria dibattimentale, il processo è stato rinviato al 13 gennaio 2022 per la discussione. Il 27 dello stesso mese è attesa la sentenza.