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La ricercatrice Eleonora Lugarà, da Villa Viani a Londra per migliorare la vita dei pazienti epilettici

21 novembre 2021 | 09:14
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La ricercatrice Eleonora Lugarà, da Villa Viani a Londra per migliorare la vita dei pazienti epilettici

«Penso che ci voglia anche tanto coraggio a restare, a continuare con le tradizioni familiari e possibilmente a reinventarsi o cominciare un nuovo business in una realtà più provinciale che non offre cosi tante occasioni in determinati ambiti».

Pontedassio.Eleonora Lugarà da Villa Viani ai massimi livelli da ricercatrice nel campo scientifico per migliorare la vita e le terapie dei pazienti epilettici. Il lavoro di Eleonora è mirato ad individuare nuove terapie per le persone che non riescono a controllare la malattia, il che aumenta il rischio di incidenti e depressione. Il suo consiglio a chi vuole inseguire una meta? Essere gentili con il prossimo, a prescindere da quanto le persone davanti a loro siano diverse e divertirsi ma soprattutto restare desiderosi di sapere. Ecco la sua intervista.

Ricercatrice fra Belgio e Inghilterra per migliorare la vita dei malati epilettici
«Alla UCB, azienda Belga molto conosciuta nel campo della neurologia, il mio lavoro è mirato a trovare nuove terapie per quelle persone che non riescono a controllare i loro episodi epilettici con i medicinali standard a disposizione al giorno d’oggi. Il fatto che non abbiano medicinali appropriati porta a un peggioramento della loro qualità di vita e a un maggior rischio di incidenti e depressione. A Londra sono responsabile di progetto per uno studio clinico mirato ad individuare marcatori precoci di epilessia.  Una ricerca innovativa e una mia personale iniziativa che sono riuscita a portare avanti grazie al Prof Matthew Walker dell’Institute of Neurology in UCL. La collaborazione con la Dottoressa Ilaria Belluomo ci ha poi portato alla possibilità di chiedere dei fondi per ampliare lo studio».

Ha dedicato i suoi studi alla neuroscienza. Come ha maturato questa scelta?
«Ho cominciato ad appassionarmi alle neuroscienze durante l’ultimo anno della triennale di biotecnologie. Ho quindi continuato con modelli più complessi fino ad avere l’opportunità di interagire personalmente con pazienti all’ospedale di neurologia a Londra. Qui ho veramente capito cosa questi pazienti andassero giornalmente incontro e quanto sia importante che quella parte della ricerca, che si occupa di terapie, rispecchi i loro bisogni».

Da Imperia, per la precisione da Villa Viani, la sua carriera è radicata al 90% all’estero. Come l’ha costruita?
«Dopo gli studi al liceo scientifico Vieusseux, mi sono laureata in biotecnologie medico farmaceutiche all’università di Genova. Partecipando al progetto Erasmus ho studiando sei mesi a Dublino, nel Royal College of Surgeons, dove, per la prima volta, ho collaborato ad un progetto traslazionale insieme a decine di altri scienziati provenienti da altre culture e altri ambiti. Dopo il master sono stata scelta per una borsa di studio Marie-Skłodowska-Curie all’University College of London. Il dottorato e’ stato una sfida contro l’altra giorno dopo giorno, ma ho imparato molto dai miei fallimenti e sviluppato una resilienza notevole che aiuta anche nella vita vera».

Cosa suggerisce ai ragazzi e agli studenti della provincia di Imperia, che per tradizione, per necessità e per imposizione sono abituati a pensare troppo “local”?
«Penso che ci voglia anche tanto coraggio a restare, a continuare con le tradizioni familiari e possibilmente a reinventarsi o cominciare un nuovo business in una realtà più provinciale che non offre cosi tante occasioni in determinati ambiti. Il mio suggerimento, per coloro che invece vogliono provare a fare qualcosa di diverso, è che cambiare è tante volte una buona idea; di non spaventarsi di ciò che non si conosce, di trovare sempre aspetti positivi in un’altra cultura e di avere un atteggiamento dinamico per le sfide che verranno. Consiglierei ai ragazzi di essere gentili con il prossimo, a prescindere da quanto le persone davanti a loro siano diverse. Un altro aspetto importante il “problem solving”, cioè che non esistono problemi senza soluzioni, basta solo avere un buon metodo e strumenti per affrontarli. L’umiltà è spesso una dote sottovalutata, ma bisogna imparare ad accettare criticamente i consigli altrui ed ammettere che spesso se si ha torto. E infine bisogna divertirsi, restare desiderosi di sapere e aggiornati per tutte le novità che arrivano nel proprio settore. Magari la strada finale non e’ esattamente come la si aveva programmata, ma potrebbe essere ancora migliore».

 Nel suo curriculum ha dedicato alcuni anni della sua vita alla scrittura e alle pubblicazione. Come pensa dovrebbe essere oggi la comunicazione scientifica?
«E’ un ottimo punto, la comunicazione scientifica sta solo recentemente raggiungendo l’importanza che le spetta. Personalmente ho avuto la bellissima possibilità di organizzare eventi per un’iniziativa chiamata “Pint of Science” dove portavamo professori e scienziati nei pub a spiegare cosa fanno nel loro lavoro giornaliero. Penso sia molto importante che gli scienziati siano in grado di ridare indietro qualcosa al pubblico e di coinvolgerlo, anche perché’ e’ molto motivante sapere che le persone sono interessate a quello che facciamo».